La Domenica: itinerari per un giorno di festa
L’Odissea a Sperlonga
Meta turistica estiva in bikini e ciabatte, il borgo laziale è invece “poco pubblicizzato” per il suo tesoro archeologico. Da non perdere perciò la visita al museo dove sono riuniti i resti dei personaggi dell’epopea omerica, scolpiti dai maestri dell’ellenismo per volontà dell’imperatore Tiberio
Andateci adesso, perché il mare ancora freddo schizza la schiuma delle onde sulle antiche pietre ma le ginestre, il fico, il lentisco sono verdi di primavera. Andateci ora, perché i gitanti fissati con la tintarella non bivaccano già sulla sabbia. Andate adesso a Sperlonga, non quella del turismo in bikini e ciabatte ma quella che racconta le radici più lontane. È la Sperlonga della villa di Tiberio, alla fine della spiaggia a falce di luna che comincia sotto al porticciolo. Una passeggiata di due chilometri sul bagnasciuga ed ecco l’incontro con l’impero di Roma e con i miti che incantarono la gens Iulia. E ancora, nel nostro secolo, con uno dei tanti fortuiti e sensazionali ritrovamenti archeologici. E con le contese per il possesso e per l’esposizione.
La storia del Bel Paese che raccontiamo e vediamo qui cominciò nel 1957. L’Italia del boom che costruiva strade, quella della Cassa del Mezzogiorno, realizzava la via Flacca, la fettuccia sulla costa più bella del Lazio, da Terracina a Gaeta e a Formia. All’altezza di Sperlonga il piccone e le ruspe inceppano su marmi scolpiti. Si scava, vengono fuori frammenti di statue. Teste, braccia, mostri marini. Centinaia, migliaia di pezzi. Indecifrabili, ma raffinati. Si comincia a ricomporli, si propone di spedirli a Roma. E qui la gente di «spelunca», la grotta che stregò l’imperatore Tiberio ritrovata con la campagna di scavi, si impunta, anticipa le barricate di Reggio o di Cartoceto, quando non volevano mollare i «loro» bronzi. Le sculture restano nella cittadina marinara, si ricompone il puzzle di 5 mila frammenti. E si capisce che fanno parte di una «Odissea» scolpita dai maestri dell’ellenismo Agesadro, Atenadoro e Polidoro. Gli stessi artefici del Laocoonte dei Musei Vaticani. C’è Ulisse che acceca Polifemo, l’assalto di Scilla alla nave del furbo greco, l’eroe mentre trascina il corpo di Achille, poi quando ruba con Diomede il Palladio. E ancora, Ganimede rapito dall’aquila di Zeus.
Perché l’antologia omerica è qui? Perché le statue erano i personaggi che Tiberio (con la gens Iulia discendente da Enea, ma anche della stirpe Claudia, cominciata col figlio di Ulisse e di Circe), aveva voluto mettere in scena nel punto più suggestivo della sua villa, che digradava all’ombra dei monti Aurunci fino all’azzurro. Così, dentro una grotta a pelo d’acqua aveva sistemato eroi, mostri e dei. Scenografia perfetta: nel fondo il gruppo di Polifemo, attorno gli altri protagonisti, in cima all’antro il bel Ganimede. Una piattaforma al centro permetteva all’imperatore e agli ospiti di godersi l’allestimento. Con una piccola barca potevano poi avvicinarsi ai personaggi di marmo mentre un novello aedo declamava Omero. E triclini e letti per il riposo e l’amore erano sistemati attorno a una vasca ricca di pesci e frutti di mare.
Dal 1963 l’Odissea di marmo ha trovato casa in un museo minimale, tutto bianco, che ha l’ingresso sulla via Flacca e apre le vetrate verso il mare, oasi protetta dal Wwf. Dalle sue stanze popolate dai volti del mito si esce nel giardino mediterraneo che digrada verso la Grotta di Tiberio. Sulle terrazze i resti della villa testimoniano di un lungo portico e di un padiglione per la coenatio, il banchetto estivo. Il museo è aperto tutti i giorni. Ma più che gli italiani lo affollano gli stranieri, portati dai pullman. Gli ingressi sono aumentati dal 24,5 per cento nel 2015, sono state realizzati visite in notturna e incontri. Ma i biglietti staccati (costano solo 5 euro) non raggiungono i cinquantamila l’anno, troppo pochi per tanta suggestione. Che potrebbe accrescersi per i ritrovamenti di tracce dell’uomo di Neanderthal, in seguito alle ricerche effettuate da Marisa de’ Spagnolis, che ha diretto il luogo per oltre quarant’anni e alla cui attività di archeologa si devono molti rinvenimenti d’epoca imperiale.
Il giacimento del paleolitico medio sarebbe stato assai più consistente se gli architetti di Tiberio non avessero distrutto ciò che trovarono sottoterra durante la realizzazione della piscina dell’imperatore. Lamentava alcuni anni fa la de’ Spagnolis: «I turisti di Sperlonga vengono in queste sale solo quando piove. Invece dall’estero fanno a gara. Un artista canadese, Andrè Durand, è qui col cavalletto per dipingere “Il sogno di Polifemo”. Una comitiva dalla Germania ha fatto tappa al museo senza neanche passare per Roma».
Altre campagne di scavo avvengono in questo periodo a cura dell’università di Milano e, in subacquea, da parte dell’università di studi di Napoli l’Orientale. Ne è fiera Elena Calandra, succeduta nel 2014 alla de’ Spagnolis. Ma le recensioni dei visitatori, tutte positive, lamentano la scarsa valorizzazione del sito. «Poco pubblicizzato», scrivono in Rete. Insomma, snobbare Polifemo e Ulisse per una mattinata stesi sul telo da spiaggia è peccato mortale. Questo posto godetevelo anche quando il tempo è bello. Dal bianco del museo popolato di mitiche presenze al buio della grotta, il percorso è una meraviglia. Lo hanno fatto l’altro giorno una coppia di danesi. Venuti dalle nordiche brume al luccichio del Mare Nostrum.