“Amore in piazza”, un’antologia di versi
La risata di Levchev
C’è sempre «un riso libero e liberatore» nella poesia dell'autore bulgaro. Una risata ora satirica, ora spirituale, secondo le tematiche toccate: dall’invettiva politica alla lirica d’amore, dalla speculazione religiosa e metafisica al tema della frontiera, del muro, della mancanza di libertà
Spesso è la piccola editoria a riservare piacevoli sorprese, soprattutto in ambito poetico. È il caso dell’antologia Amore in piazza di Vladimir Levchev (Terra d’Ulivi, 112 pagine, 11,00 euro), tradotta da Emilia Mirazchiyska e Fabio Izzo, che raccoglie, senza testo a fronte, poco meno di una cinquantina di componimenti dell’autore bulgaro, considerato una delle voci più significative del suo paese. Levchev, nato nel 1957 a Sofia, «la capitale più tenebrosa d’Europa», come la definisce in un suo testo, ha al suo attivo sedici sillogi poetiche, di cui quattro pubblicate negli Stati Uniti dove ha vissuto per tredici anni, nonché tre romanzi, un libro di saggi e una raccolta di racconti. Fondatore nel 1989 della rivista «Glas» («Voce») che distribuiva clandestinamente, Levchev è figlio di un altro importante poeta, Liubomir Levchev, oggi ottantenne, che fu una delle figure di riferimento dell’intellighenzia bulgara durante il periodo della lunga dittatura comunista (nel 1976 uscì la traduzione italiana delle sue liriche intitolata Sentiero di stelle, illustrata da Renato Guttuso).
Vladimir Levchev (nella foto) si è trasferito negli anni Novanta in America dove ha insegnato letteratura creativa presso varie università e dove ha avuto modo di tradurre in bulgaro autori come Allen Ginsberg, T. S. Eliot e molti poeti americani. Durante il suo soggiorno statunitense, Levchev ha cominciato a scrivere versi direttamente in inglese, di cui un paio di composizioni – quelle dedicate alla tragedia dell’11 settembre – compaiono in questa antologia. Si tratta delle poesie intitolate Nessun uomo è un’isola e Cinque anni dopo l’11 settembre, composte rispettivamente nello stesso giorno dell’attentato e l’11 settembre 2006. Il primo di questi due testi, che fu successivamente riscritto in bulgaro, è ricco di citazioni (il titolo stesso è ripreso da una predica di John Donne) che vanno da Walt Whitman al Nuovo Testamento a Dylan Thomas, con esiti che si segnalano per il loro impatto realistico che nondimeno acquista una valenza quasi oracolare: «E vidi l’aeroplano dirottato dall’odio, / vidi la rapida ombra del Subconscio, / vidi l’arcangelo della morte / affondare nello specchio, / affondare nell’alta torre assolata / di Manhattan». E ancora: «… una neve di lettere, foto e scarpe / cadeva, cadeva su Manhattan».
Ma, d’altro canto, la poesia di Levchev non è improntata ad avere un taglio esclusivamente engagé, esprimendosi su più livelli che non disdegnano un tratto più intimistico o di derivazione onirica, come quando l’autore descrive alcuni sogni ricorrenti che hanno a che fare con la nudità, come recita l’incipit della poesia che dà il titolo al libro: «Da giovane facevo un sogno – / camminavo per la strada / e mi accorgevo d’essere nudo dalla vita in giù». E il medesimo sogno ricorre in altri momenti della produzione di Levchev, come in Sala d’aspetto: «Ci incontriamo nella sala d’aspetto della stazione. // Siamo nudi / sotto l’orologio e le stelle. / Poi ci vestiamo».
L’antologia, che raccoglie testi scritti tra la fine degli anni Settanta e pochi anni fa, è suddivisa in tre lunghe sezioni, emblematicamente intitolate Amore, In piazza e Dio, quasi a scandire quelle che si possono considerare, a tutti gli effetti, le tematiche principali di Levchev. Non è un caso che in un testo programmatico intitolato Manifesto si possano leggere queste parole: «L’arte deve abbracciare e baciare. Deve fare l’amore con la gente in piazza». Dalle istanze amorose a quelle politiche il passo è breve: si considerino a tal riguardo le poesie dedicate al tema della frontiera, del muro, della mancanza di libertà, come ben sottolinea Fabrizio Dall’Aglio nella sua accurata postfazione: «La traduzione, del resto, è anche un modo di abbattere le frontiere, non soltanto quelle linguistiche, e il tema della frontiera resta centrale nella riflessione di Levchev». Non è un caso che Il muro, in cui si ripercorre la situazione politica bulgara antecedente alla deriva del comunismo, sia ispirato alla musica di The Wall dei Pink Floyd, con esiti particolarmente riusciti: «Abbiamo domandato al muro: / Perché non rispondi mai quando ti facciamo delle domande? / Non ha risposto. // Il muro non sa parlare. / (Anche se alcuni muri come quello di Berlino sapevano sparare) / Il muro risponde solo quando la gente gli fa domande con un martello».
L’antologia, curata dallo stesso autore, ha una struttura fortemente anomala in quanto non procede seguendo un itinerario cronologico delle liriche accolte, bensì uno schema legato alle tematiche toccate di volta in volta dalla poesia di Levchev. Può così capitare di leggere un testo composto nel 1987 e subito dopo uno scritto nel 2009, testimoniando in tal modo quella versatilità di tono e accenti che è forse uno dei tratti salienti dell’autore bulgaro. Si passa così dall’invettiva di derivazione politica alla lirica d’amore, dalla satira alla speculazione religiosa o metafisica, accordando spesso lo stile, in un sapiente gioco mimetico, agli argomenti affrontati. Mette ben in evidenza Dall’Aglio come in questa poesia sia presente «un riso libero e liberatore» che a volte si tramuta in satira, come in Presentimento del giorno solenne o Il sogno dell’albero marcio, anche se «il riso spirituale che troviamo ne Il Risvegliato è qualcosa di diverso, è il riso della saggezza, dell’“arte che deve vivere anche quando la fucilano”, dell’uomo che può trovare sempre, all’interno di sé, il proprio riscatto».