Every beat of my heart, la poesia
Due passi a Elea-Velia
Continua l’omaggio all’archeologo Mario Napoli a quarant'anni dalla morte. Questa volta con il racconto in versi di Giorgio Bassani in visita all’acropoli riportata da Napoli alla luce nel 1964
Come anticipato sabato scorso, “Every beat of my heart” pulserà per quasi un mese su uno dei grandi capolavori dell’arte e uno dei luoghi di ebbrezza spirituale e mito, la pittura greca o magno greca Il Tuffatore di Paestum. E sul suo scopritore e interprete, il grande archeologo Mario Napoli. Oggi una poesia su un’altra importantissima scoperta di Napoli, la Porta Rosa, nella città di Velia da lui riportata alla luce. Curiosa coincidenza: la battezzò “Rosa”, per l’impasto inconfondibile di pietra e luce che creano uno splendore fermo, tenue, rosaceo. Combinazione, ripeto, combinazione: la moglie di Mario Napoli, peraltro figlia di un grande archeologo, si chiamava e si chiama Rosa.
La poesia è di Giorgio Bassani, magnifico romanziere italiano, autore di opere memorabili, come Il giardino dei Finzi Contini e altre. Un grande narratore (di cui ricorre il centenario della nascita) che fu anche poeta. Intenso, segnato nel verso dal passo narrativo, sempre necessario nella cultura poetica. Giorgio Bassani giunge a Velia, l’Elea di Parmenide, grazie ad Alfonso Gatto che lo presenta a Mario Napoli. Lo scrittore dell’epopea padana dei Finzi Contini vi arriva con la sua compagna («alta e bionda e straniera e di roseo sangue») e rimane incantato dall’epopea mediterranea raccontata dalle pietre della città magnogreca disvelata in quegli anni proprio dal «bravo ospite Soprintendente». La sintonia, quasi una sorta di complicità che si legge in questi versi, tra Giorgio Bassani e Mario Napoli è spontanea, sono «diversamente impuri italioti» ambedue.
La Porta Rosa
Quando mi rimproveri di non occuparmi nei miei libri
che di Ferrara e del territorio immediatamente limitrofo
Reno e Po a sud e a nord non osando io varcarli che di rado e di straforo
e l’Adriatico ad est non facendocela in pratica
a giammai raggiungerlo
dovresti ricordarti della nostra gita dell’estate scorsa alle rovine
di Velia
di come t’era piaciuto camminare accanto a me e al bravo
ospite Soprintendente
alta e bionda e straniera e di roseo sangue tu pura
fra noi due diversamente impuri
italioti
incantata in ascolto mentre salendo adagio verso la matematica
fulgida Porta parmenidea ritta sopra la cima
del colle giusto a
cavallo
venivamo noi uomini favoleggiando insieme degli aristocratici
coloni greci per secoli e secoli
lassù sopravvissuti in faccia al deserto del Tirreno incistata
asciutta stirpe carnivora di intellettuali sdegnosi d’intrattenere
rapporti con le plebi aborigene dell’entroterra
lucano
– tutti bassi costoro e di corte gambe nonché di grandi
deretani da divoratori d’amidacei e di
carboidrati –
che non fossero rigorosamente pratici e affatto
funzionali
superbamente beati essi dal primo all’ultimo della loro
perfetta solitudine
Come t’erano piaciuti i nostri discorsi come
ti sentivi tu pure greca partecipe in qualche modo e
depositaria
tu pure di un’aurea lingua particolare ed esclusiva
da adoperare esclusivamente fra rari eguali quasi divini dinanzi agli sbalorditi
umidi occhi nerissimi del semiservile
contadiname circostante
e come invidiosa anche e gelosa apparivi – così dichiarandomi
nel solito stile tuo che tuttora
m’ami –
del fatto che l’ellenica Porta suprema alla cui fresca ombra frattanto
nemmeno troppo affannato il trio nostro mirabile oramai ristava
l’eccellente archeologo l’avesse – non appena accadutogli
di restituirla intatta al bel sole e all’azzurro dell’antico privilegiato
straniamento ausonio –
battezzata Rosa – come spiegò – dal nome dell’ancor giovane sua
sposa conscia consorte negli studi congeniali e madre
dei suoi figli!
Non lasciarmi solo a scavare nella mia città a resuscitare
grado a grado alla luce
ciò che di lei sta sepolto là sotto il duro
spessore di ventimila e più giorni
è là Rosa mia mia Regina che io sono giovane e bello e puro
ancora
là l’esclusivo padrone e signore per sempre il solo
Re
Giorgio Bassani
(Da Epitaffio, Milano, Mondadori, 1974;
nell’immagine di apertura: Teresa Maresca, particolare dal “Tuffatore)