A quattrocento anni dalla morte
Shakespeare, probabilmente
La vita del grande autore teatrale è zeppa di misteri, leggende e supposizioni. Come dimostra una bella biografia di Peter Ackroyd, appena ripubblicata in edizione tascabile
Quattrocento anni dalla morte di William Shakespeare. Quattrocento anni di mito: lo si può affermare senza enfasi. Per la ricorrenza è tutto un pullulare di riferimenti e citazioni, anche sui “social”. Ovviamente il primato della entusiastica memoria spetta all’Inghilterra. Con aspetti originali. Per esempio, la metro ha ribattezzato, provvisoriamente, il nome di molte stazioni. Così se si vuol andare a Westminster, cuore della politica del Regno Unito, si dovrà scendere a Re Lear. Se invece ci si vuole rilassare a St James Park si dovrà passare per la prima, e più cruenta, pièce del Bardo, il Titus Andronicus, che sulla mappa è segnalato con un piccolo teschio. La cartina pone in evidenza anche i tre teatri dove Shakespeare veniva rappresentato: il Globe, il Blackfriars e il ‘Theatre and the Curtain a Shoreditch, scoperto di recente. Sono persino indicati i quartieri dove guerreggiavano Montecchi e Capuleti, uno accanto all’altro sulla Jubilee Line, rinominata Fathers & Kings Line.
Il Bardo – e spiace un po’ constatarlo – fino a oggi getta ombra sulla fama di Miguel de Cervantes, altro genio letterario, che (curiosamente) morì nello stesso giorno (23 aprile 1616) in cui spirò William. Addirittura a poche ore di distanza. Mi auguro che la Spagna abbia uno scatto d’orgoglio di marca internazionale. L’hidalgo sognatore Don Chisciotte merita spazi infiniti.
A costo di parere pedante, è giusto ricordare il perché Shakespeare è passato alla storia come “il Bardo”. Questo nome indica un antico ordine di poeti cantori – come gli aedi del mondo mediterraneo – che fiorì tra le popolazioni celtiche. Come annotò lo storico Diodoro, i bardi si accompagnavano «con uno strumento simile alla lira», cantando «ora canti di gloria, ora invettive». I contenuti: storia e leggende, questioni religiose, leggi e genealogie. Nelle Gallie scomparvero dopo la conquista romana. Ma sopravvissero in Irlanda, Scozia e Galles.
L’editore Beat (gruppo Neri Pozza) ha ripubblicato una superba biografia del Bardo, a firma di Peter Ackroyd (Shakespeare, 670 pagine, 16,50 euro). L’opera è ampia ed esauriente, e correttamente ricorre sovente al condizionale perché non sono molti i documenti certi riguardanti il percorso umano e artistico di Shakespeare. È quindi con rammarico che, per ragioni di spazio, preferisco riferire dei primi anni, con particolare riguardo ai cosiddetti “lost years”, ossia al periodo che va dalla sua nascita (aprile 1564) ai primi successi conseguiti a Londra. Periodo in cui si può arrivare a sapere soprattutto per via deduttiva.
Infanzia. Si sa quando fu battezzato a Stratford on Avon, ossia il 26 aprile, quindi a due o tre giorni dalla sua nascita che presumibilmente avvenne il 23, giorno della festa di San Giorgio. Fu il padre John a portare in braccio il neonato (la madre Mary Arden non c’era, e non si sa perché) nella chiesa anglicana. Sorge subito, tra i biografi, un dubbio: la famiglia Shakespeare era di fede anglicana per convenienza visto che i reali perseguivano i cattolici? Il pugno di ferro protestante faceva male: i cosiddetti ricusanti (coloro che non partecipavano alle funzioni) erano multati, arrestati e incarcerati, mentre i preti cattolici e i missionari erano torturati e uccisi. E la famiglia Shakespeare? Domanda più che pertinente, visto che gli antenati della madre pare fossero cattolici, e il padre John lasciò un testamento cattolico “segreto”. A soli tre mesi dalla nascita di William, nel registro parrocchiale fu scritto “Hic incipit pestis”. Morirono 237 cittadini di Stratford. Madre e figlio si rifugiarono nel vicino borgo di Wilmcote. Shakespeare. non contrasse mai il morbo, che pure infuriò a Londra. Stratford è situata nel punto di incontro delle strade che attraversano l’Avon (“afon” in celtico significa fiume), e aveva le caratteristiche del villaggio romano-britannico, con in mezzo la street romana, il decumano pavimentato. Il Bardo nelle sue opere citerà spesso il fiume, comprese le piene (si veda soprattutto Lucrezia violata). William nacque cinque giorni dopo l’incoronazione di Elisabetta I, la regina nubile (o “vergine”) che temeva oltremodo agitazioni e conflitti ma riuscì a debellare una serie di cospirazioni. Il suo regno fu epoca di esplorazioni, di rinnovamento dei commerci e della letteratura. Nei paesi della zona mercanti e braccianti lavoravano dalle otto del mattino alle sette di sera. Nessuna vacanza, se non in occasione delle festività religiose.
Il padre. John Shakespeare faceva il guantaio, era un abile mercante in odore di usura. Si avvicinò alla politica, ma da quella cerchia fu poi allontanato.
William affolla i suoi drammi di figure maschili autoritarie che hanno fallito. «Questa – annota Peter Ackroyd – potrebbe essere una definizione della tragedia stessa: molti dei suoi personaggi maschili centrali dei suoi lavori sono stati delusi dall’aspetto pratico degli affari del mondo; possiamo citare Timone, Amleto, Prospero e Coriolano…Shakespeare simpatizza senza eccezioni con il fallito, sia egli Antonio, Bruto o Riccardo II». Secondo il suo primo biografo, Nicholas Rowe, «fa della sua caduta e della sua rovina l’oggetto della compassione generale» (vedasi All Is True).
Pare che il figlio adolescente, seguendo il padre, avesse imparato facilmente la contabilità e parti del corpus legis. Le sue opere abbondano della terminologia legale, con particolare insistenza sulle norme che regolano la proprietà. John Shakespeare, tuttavia, era registrato ufficialmente come “agricola”, ossia agricoltore. Faceva anche il sensale clandestino di lana, o “brogger”. Firmava con un segno, quindi doveva essere analfabeta. Se non sapeva scrivere, riusciva tuttavia a leggere (due capacità che a quei tempi erano tenute distinte). I soldi sapeva bene come farli, e investì 40 sterline in due case con giardino e frutteto a Stratford. Comprò terreni a Bishopton, lasciandoli poi in eredità al figlio poeta. William, legatissimo al capo-famiglia, espresse sempre uno straordinario interesse per la figura del re.
Anni giovanili. Qualcuno sostenne che William «fu maestro di scuola da Mr. Beeston». Non era inusuale che un ragazzo intelligente e soprattutto gran lettore di libri (lo fu sempre, peraltro) trovasse lavoro come “usher”, ossia insegnante per bambini. Presa per buona questa ipotesi, non è da scartarne un’altra, che pare sorretta da testimonianze, ossia che si sia allontanato dalla casa genitoriale verso i quindici/sedici anni. Al suo ritorno a Stratford, nel 1582, dovette affrontare un futuro incerto, data la situazione del padre che si stava configurando come incerta per ragioni legal-politiche. Secondo alcune tracce, William potrebbe essere stato assunto come “noverint”, cioè scrivano di un avvocato. Chi ha esaminato le sue opere ha sempre insistito sull’evidenza di un suo tirocinio legale. Una cosa pare certa: al futuro drammaturgo di quel lavoro non gli importava proprio niente. Aveva altri sogni-progetti.
Matrimonio. Si sposò a soli 18 anni. Con Anne Hathaway, ventiseienne, figlia di un agricoltore e ricco proprietario terriero. Fu sedotto? Non proprio, visto che William era sessualmente esuberante. Anne, col tempo, subì la stessa sorte di molte mogli di personaggi importanti: circondata da calunnie in quanto donna manipolatrice (quando si sposò era incinta di quattro mesi). In un sonetto, il Bardo cancellò l’ombra di un matrimonio sopportato e difficile:
«I hate from “hate” away the threw,
and saved my life, saving “non you”.
(« “Io odio” lo affrancò dall’odio
e salvò la mia vita dicendo “Non te”»).
In quale chiesa venne celebrato, di domenica, il matrimonio? Certo non accadde a Stratford, dove, tra l’altro, non c’erano registri parrocchiali. E il rito? Si mormora che fosse stato molto vicino a quello cattolico, con messa recitata in latino. Secondo la tradizione, la sposa era a sinistra dello sposo, segno della nascita miracolosa di Eva dalla costola sinistra di Adamo. Entrambi si misero in testa pezze di lino (“care cloths”) a protezione dei demoni. Anne teneva i capelli sciolti. Era usanza che la donna portasse un pugnale o un coltello appeso alla cintura. Il motivo è oscuro. Curiosità: anche la Giulietta del dramma possedeva un pugnale (e con quello si trafisse).
Londra. Sta di fatto che le nozze, e la nascita della figlia Susannah, non impedirono il trasferimento di William a Londra, pare attorno al 1586-87. William e Anne ebbero in seguito due gemelli. Se si considera la lontananza di William e il fatto che a quell’epoca non esistevano mezzi di contraccezione sicuri, non è da escludere che i coniugi si fossero in seguito astenuti da qualsiasi rapporto sessuale. In certe opere del Bardo esistono riferimenti alla tristezza causata dalla separazione familiare, ma qualcuno obietta che probabilmente sono solo espedienti teatrali. Uno dei biografi scrisse: «Essendo questo William naturalmente predisposto per la poesia e la recitazione, venne a Londra, secondo i miei calcoli, all’incirca a 28 anni, e divenne attore in uno dei teatri e recitò straordinariamente bene».
Gli esordi. Non è improbabile che William si fosse unito a una compagnia di attori ambulanti di passaggio a Stratford. Non si può non menzionare i “Queen’s Men”, rimessisi insieme quattro anni prima da Lord Ciambellano al fine di fornire compagnie teatrali in grado di supportare la politica elisabettiana. Gli attori di quella cerchia erano in un certo senso dei privilegiati: ricevevano un compenso come “servitori” della regina e indossavano la livrea di “valletti di camera”. Si dice che ne fossero selezionati dodici, i più abili e versatili. Tra questi Richard Tarlton, «stupendamente facondo e gradevole». Divenne il primo grande clown inglese e l’attore comico più popolare negli anni elisabettiani. Scriveva anche commedie, tra cui Play of the Seven Deadly Sins (Commedia dei sette peccati capitali). William aveva dalla sua un’ottima e sempre rinverdita cultura classica, anche se non poté mai iscriversi all’università perché sposato con prole.
Avvicinandosi a Londra, il genio in pectore notò la cappa di fumo e un continuo e incessante brusio di fondo. Londra, che era una città in spasmodica evoluzione (si diffondeva per quaranta chilometri), aveva strade sporche e maleodoranti. Molti, ambulanti e commercianti, vociavano al margine della strada e si scambiavano pettegolezzi. Del tutto assente era la famosa privacy di stampo britannico. I londinesi vestivano abiti colorati (a seconda della professione: le prostitute usavano l’amido blu) ed erano espansivi. Uomini e donne si baciavano frequentemente. In genere vigeva la promiscuità. La città il cui centro aveva il suo assetto architettonico medioevale, continuava ad attirare migliaia di giovani. Si calcola che metà della popolazione fosse sotto i vent’anni. Mai, nel prosieguo degli anni, l’antica Londinium fu così giovanile. Si era in piena età degli avventurieri (frequenti le risse) e dei sognatori d’ogni tipo. L’ascesa della “gentry”, borghesia e classe mercantile, erodeva a poco a poco la posizione e i privilegi della classe nobiliare. Si realizzava insomma il passaggio dalla “società di lignaggio” alla “società civile”.
Londra poteva considerarsi una vera città teatrale, anzi “era il teatro all’ennesima potenza”. William pare si fosse prestato a diventare custode dei cavalli degli spettatori altolocati che raggiungevano i vari teatri (soprattutto il Globe il Theatre e il Curtain). Così facendo sperava in una qualche riconoscenza o in una raccomandazione, infilandosi così nel “corteo della fortuna”. Con i cavalli ci sapeva fare, inoltre era un giovane dal sorriso accattivante, e così attirò l’attenzione. In seguito calcò le scene, ovviamente dopo un periodo di apprendistato. Si spostò da una compagnia all’altra. I luoghi di intrattenimenti, capaci di ospitare spettacoli teatrali e musicali, erano numerosi. Quella che poteva all’inizio apparire una semplice locanda, nella realtà era una “cantina” artistica. Nel 1587, quando faceva parte dei “Queen’s Men” Shakespeare pare scrisse la prima versione dell’Amleto. Il testo giovanile scomparve. Il King Lear nacque poco dopo. Tutto questo a testimonianza della sua eccezionale precocità.