Paolo Randazzo
Il nuovo libro del filosofo

Paura del limite

Remo Bodei, nel suo nuovo libro, analizza il "limite", ossia il punto d’arrivo e di partenza di ogni nostra attività intellettuale. Un punto che spostiamo sempre più avanti per vincere lo spettro della morte

C’è stato un tempo in cui la filosofia, prima d’essere soltanto o soprattutto pura teoresi o discorso accademico, è stata, sostanzialmente, incessante ricerca di umana saggezza. Una saggezza che si proiettava nella considerazione e nell’interpretazione della natura, della storia, del rapporto tra gli uomini, nella ricerca della felicità individuale o in dimensione collettiva; o piuttosto scaturiva da esse, poco importa. E forse, in fondo, è ancora così o forse no, ma sta di fatto che fa bene al cuore leggere il piccolo e densissimo saggio di Remo Bodei Limite (Il Mulino, pp. 128, euro 12,00).  Fa bene al cuore non solo perché affronta con una semplicità adeguata all’ampio target di lettori immaginato per la collana “Parole controtempo”, ma soprattutto perché nello scorrere le pagine di questo libretto si avverte una certa partecipazione emotiva dell’autore rispetto a quanto può provocare nel lettore la sana (leopardiana) durezza di ciò che viene esposto.

remo bodei limitePerché negarlo, del resto? Ci sono cose che tutti gli uomini sanno da sempre, ma preferiscono dimenticare o lasciare in ombra e silenzio per paura. Per paura si vive, oggi più che mai, immaginando che il nostro corpo possa non invecchiare, per paura non si pensa che prima o poi toccherà a noi di morire, per paura non si avverte che è appunto “il limite”, ogni limite, il punto d’arrivo e di partenza di ogni nostra attività intellettuale. Il limite, o meglio l’essere consapevoli di esso, è insomma in ogni tempo la prima scaturigine di ogni umana saggezza. Bodei s’interroga anzitutto sui nostri limiti fisiologici: sulla percezione che abbiamo di essi in relazione alle scoperte della medicina e delle biotecnologie, sul tentativo contemporaneo di spostare il più avanti possibile il momento della morte, un tentativo concreto che supera la sola soglia del desiderio senza tuttavia varcarla definitivamente, sulle ricadute culturali e psicologiche che ciò comporta. Quindi ad essere affrontato è il concetto di limite nel rapporto tra natura e civiltà: ovvero nel suo dispiegarsi nel pensiero filosofico occidentale antico e moderno, nel suo sostanziare internamente la straordinaria stagione delle scoperte geografiche, nel suo reale o apparente disgregarsi nell’età della globalizzazione: «Come orientarsi e dar senso alla propria esistenza in situazioni caratterizzate da un costante allargamento degli orizzonti individuali, ma anche, simultaneamente, dall’incremento esponenziale del tasso di complessità e conflittualità tra persone e popoli? Come inserire la coscienza del singolo nella trama concettuale in fieri del proprio tempo, aiutandolo a trovare un qualche equilibrio tra la dimensione psicologica privata e quella pubblica, renderlo sempre più aperto alle vicende comuni e più capace di fronteggiare il corso non sempre piacevole degli avvenimenti?».

L’esito di questa interrogazione non può che sfociare, nella terza parte del libro, in un ragionato invito a “Imparare a distinguere”: a osservare cioè e a discernere con intelligenza critica il resistere, il disgregarsi, il trasformarsi dei limiti esistenziali, dei riti di passaggio, delle frontiere geo-politiche, delle differenze e delle misure. Forse, al rispetto e all’entusiasmante e inesauribile scoperta dell’alterità si affiancherà nell’uomo la nascita (o meglio la rinascita) di un senso di “ulteriorità” e di onnipotenza al quale si potrà (si deve già adesso) contrapporre soltanto «l’attitudine a riconoscere e a distinguere i limiti lasciandosi guidare nello stesso tempo dall’adeguata conoscenza delle specifiche situazioni, da un ponderato giudizio critico e da un vigile senso di responsabilità. Ma, di nuovo, fin dove spingersi nelle proprie scelte? Si potrebbe rispondere che ciò dipende dalla capacità di commisurare gli obiettivi alle energie intellettuali e morali di cui si dispone e sostenere la tesi di Max Weber secondo cuoi, se gli uomini non tentassero continuamente l’impossibile, il possibile non verrebbe mai raggiunto. Eppure, non saremmo già moderatamente soddisfatti se tutti seguissero il monito che Marco Aurelio, padrone di un immenso impero, rivolgeva a se stesso: – E non attendere la giusta Città di Platone; ti deve bastare una cosa: un po’ di miglioramento, anche minimo -».

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