Cartolina dall'America
Prospettiva Obama
Il viaggio di Obama a Cuba è un evento storico che cementa la grande statura della sua presidenza. Si chiude una stagione nella quale la Casa Bianca ha puntato più sui diritti che sulla primazia degli Usa nel mondo
Siamo davvero in un mondo globalmente e totalmente mediatizzato che fa ormai poca differenza tra informazione e show business. O forse, ancora meglio, dove l’informazione è divenuta essa stessa show business. La testimonianza più evidente di ciò sta in come è stato annunciato il viaggio a Cuba di Obama. Un evento storico di portata epocale dopo 88 anni che un presidente americano non metteva piede sull’isola. L’ultimo era stato infatti Calvin Coolidge nel 1928.
Prima che domenica il presidente arrivasse c’è stata, venerdì sera, una gag di un famoso comico cubano, Luis Silva, nei panni di Panfilo che in una delle trasmissioni più seguite sull’isola Vivir del cuento fingendo di chiamare la Casa Bianca, per conoscere le condizioni metereologiche durante la partita di baseball tra cubani e americani, finisce per parlare con Obama, quello vero. Insomma, durante il video il comico, che ripetutamente in precedenza nello show aveva cercato di raggiungere il presidente americano, questa volta ci riesce. E dà dei consigli a Obama prima di atterrare sull’isola, pregandolo di non portare troppi bagagli, altrimenti verrà fermato all’aeroporto. E lo invita, in caso non trovi posto, a stare a casa sua. Divertente, ma non solo: viste alcune implicite e velate critiche al regime cubano che vengono tuttavia presto superate dall’espressione di felicità che il comico manifesta per la visita di Obama. Che davvero a Cuba è molto amato. «Sono davvero contento che verrà in visita qui così potrà conoscere Cuba e la sua gente» dice Panfilo. A lui Obama risponde «Non vedo l’ora. Il popolo americano e quello cubano sono amici». Lo show che va in onda il lunedì alle 20,30 ha un’audience pari ai due terzi della popolazione cubana ed è facilmente immaginabile l’effetto positivo che produrrà sull’opinione pubblica.
Un’altra notizia, questa riportata dal Miami Herald,ci annuncia che durante questa settimana, parallelamente ad Obama anche un grande uomo di spettacolo atterrerà sull’isola: Mick Jagger. Insieme ai Rolling Stones. Ma quello che è interessante è come viene annunciata la notizia e come i due vengano equiparati e considerati come due showmen. «L’inarrestabile trasformazione di Cuba – scrive il giornale americano – subisce un’accelerazione questa settimana con l’arrivo di due dei più famosi uomini del mondo, Barack Obama e Mick Jagger. Domenica Obama atterrerà con il suo Air Force One… e parlerà davanti a più di un migliaio di persone al Gran Teatro Alicia Alonso. Jagger e i Rolling Stones che hanno il loro aereo privato terranno, con entrata gratis, un concerto dove saranno attese più di 40,000 persone. Ovviamente questa non è più la Cuba di Castro».
E se ci si riferisce alla repressione dei dissidenti che ancora continuano a essere generalmente perseguitati e alla condanna del capitalismo Usa e dei suoi perversi strumenti di seduzione come il mondo dello spettacolo, queste pratiche non potranno più essere perseguite a lungo e con la stessa pervicacia. E l’invito a Mick Jagger ne è la prova. Perché, a parte le denunce di un giornale come il Miami Herald che in questi anni ha fatto emergere le malefatte del regime cubano, adesso ci sarà un’osservazione più attenta della vita sociale e politica dell’isola caraibica non solo da parte degli Sati Uniti, ma da parte del mondo democratico. Se Miami è, infatti, la capitale degli esuli cubani che dagli anni ’60 sono sbarcati in grandi numeri sulle coste della Florida e di cui sono esponenti di spicco due candidati repubblicani alla presidenza, Ted Cruz e Marcio Rubio, non sarà più possibile essere, come invece sono i due uomini politici, favorevoli alla continuità dell’embargo che in questi cinquant’anni non ha portato a nessun risultato. Con il lifting dell’embargo infatti si apriranno non solo i rapporti commerciali tra i due paesi, ma ci saranno relazioni diverse tra gli Stati Uniti e tutto il centro ed il sud America. Dunque lo sbarco di Obama e di tutta la sua famiglia, moglie, figlie e suocera incluse, nella piccola isola dei Caraibi porterà a trasformazioni epocali che non saranno visibili immediatamente, ma che sono destinate a lasciare una traccia evidente nelle prossime generazioni.
Ma il capolavoro di Obama appare proprio il suo discorso congiunto con il presidente Raoul Castro. Dove l’accento è stato posto in maniera garbata ma ferma proprio sui diritti umani, sul concetto di democrazia, sui rapporti economici, sulle politiche agricole dei due paesi, su internet e sugli scambi culturali. Obama ha parlato di tutti questi temi e del fatto che se le trasformazioni non saranno immediate saranno tuttavia destinate a mutare profondamente non solo i rapporti tra i due paesi ma in tutto il continente americano. Obama ha affermato inoltre che alcune delle critiche che sono state mosse dal presidente cubano al sistema americano come le disuguaglianze sociali e il razzismo sono di grande valore per una democrazia che voglia definirsi tale. E dunque gli Stati Uniti faranno bene a tenerne conto. E sull’embargo infine ha affermato che non è più realistico continuare a tenerlo in piedi e che spera il Congresso voglia toglierlo al più presto perché questo velocizzerebbe le trasformazioni di cui tanto si parla.
Dunque, un evento storico che mostra, come ho affermato più volte su Succedeoggi, la forza della strategia di politica estera che Obama ha sempre perseguito e che adesso, alla fine del suo mandato, si rivela in tutto il suo spessore. E che rappresenta, come si dice in inglese, la sua legacy. Una legacy importante e di grande valore non solo per gli Stati Uniti, ma per il mondo intero. Una risposta non solo ai molti critici che in patria e non, il presidente ha avuto fino a ora per i suoi rapporti con l’Iran, con il Medioriente, con l’Afghanistan e il Pakistan, e infine con Cuba. Cuba non è più tra gli stati nella terror list, ma si aprirà alla democrazia in un tempo relativamente breve. Un evento insperato fino a poco tempo fa e una risposta a tutti quei corrispondenti (italiani) negli Stati Uniti che non hanno fatto che deprecare fino alla noia la politica estera di Obama senza avere lo sguardo abbastanza lungo da poter vedere dove il presidente andava a parare con le sue mosse a lunga gittata, accecati forse da qualche posizione troppo di parte, ma dal fiato corto. Che tuttavia ha permesso loro, in qualità di esperti, di fare qualche comparsata nei talk show televisivi di turno. Tanto ormai tutto quanto fa spettacolo anche l’incompetenza. O forse soprattutto quella. Almeno nel nostro paese.