La Domenica: itinerari per un giorno di festa
Pasquetta alla Landriana
Lunedì dell’Angelo ai Giardini creati, per volontà della Marchesa Taverna, dall’architetto paesaggista Russel Page. A 35 chilometri dalla capitale, a ridosso del litorale laziale, un’oasi lussureggiante divisa in “stanze”. Un vero museo botanico
Tremila tipi di piante provenienti da tutto il mondo in dieci ettari a ridosso del litorale laziale. Un territorio che fino a sessant’anni fa era piatto e insignificante, se non fosse per i pini che svettavano allegri. Un territorio che recava la memoria delle paludi pontine eliminate dalla grande bonifica, quella narrata dal premio Strega Antonio Pennacchi in Canale Mussolini. Che conservava nelle sue viscere i resti delle bombe e delle mine, testimonianza della battaglia ingaggiata dagli Alleati dopo lo sbarco di Anzio con i tedeschi asserragliati sui colli Albani. Assolato e squassato dagli anni Sessanta dal boom edilizio delle seconde case. Ebbene in questo terreno, una tenuta acquistata nel 1956 a un’asta dal marchese Gallarati Scotti e dalla moglie Lavinia Taverna, è avvenuto il miracolo della creazione dei Giardini della Landriana, oasi lussureggiante di arbusti, fiori, colori, acque che ogni anno attira, nelle fiere di primavera e di autunno, migliaia di visitatori. E che quest’anno apre per la prima volta al pubblico nel lunedì dell’Angelo, con visite guidate (ore 10, 12, 15 e 16,30) e la possibilità di pranzare en plein air nel punto ristoro.
Che cosa fa di questo giardino situato a 35 chilometri a sud di Roma, nel comprensorio di Tor San Lorenzo (Ardea) un posto stupefacente? Appunto il suo rigoglio inatteso in una brulla campagna romana. Perché c’è un tocco inglese che non dispiacerebbe a un Windsor. E che proviene dalla progettazione di Russel Page, l’architetto paesaggista d’Oltremanica, il quale fu chiamato dalla marchesa Taverna a dare ordine e senso a quanto aveva piantato negli anni precedenti e che aveva attecchito con insperato successo. Page ha dato una caratteristica precisa ai Giardini della Landriana (devono il nome a una delle donne della famiglia): li ha divisi in “stanze”, ciascuna caratterizzata da una specie botanica. Ecco la valle delle rose antiche fiera del proprio lago, ecco il giardino degli aranci, quello degli ulivi, la vasca spagnola. E ancora, questo museo botanico possiede nell’ottagono centrale sotto un albero di carrubo una collezione di sempreverdi; una collezione di eriche australiane; un angolo delle magnolie tra le quali le orientali fioriscono proprio in questi giorni. Già, incombe la primavera e si schiudono, nella loro “stanza”, i viburni e i tulipani rosa; sotto i meli e i ciliegi in fiore sboccia un prato di margherite. E non manca la memoria dei giardini all’italiana in un settore ornato da verbena lilla e file di magnolia grandiflora.
Fu il conte Donato Sanminiatelli, amante del giardinaggio, a suggerire a Lavinia Taverna il nome di Russel Page, che stava curando la sua tenuta a San Liberato. Egli lavorò alla Landriana nel 1967 dando forma al giardino. Ma la marchesa era un’accanita coltivatrice, sicché qualche anno dopo il paesaggista dovette rimettere mano a quanto attuato. Alle specie mediterranee si erano aggiunte quelle australiane e californiane, oltrepassando gli spazi delineati dall’architetto. Il giardino dunque si allargò e continuò a farlo negli anni successivi, con la realizzazione del Viale Bianco, una scalinata rettilinea a fianco di una collinetta che deve il nome alle bordure di arbusti e rose bianche e rosa chiaro. E con altre zone suggestive, il prato blu o il giardino grigio che alterna ai cisti, alle lavande, alle artemisie le rose “iceberg”.
Alla scomparsa di Lavinia Taverna, nel 1997, seguì un periodo di stasi, poi la nuova cura dell’oasi verde a cura dell’erede Stefania Aldobrandini e l’apertura degli spazi al pubblico. Sono nati i due appuntamenti stagionali, Primavera e Autunno alla Landriana, con mostra mercato di rarità botaniche, corsi di giardinaggio, incontri con gli esperti, estensione delle conferenze alle colture più pregiate in gastronomia. I bambini possono effettuare visite guidate all’insegna dei “cinque sensi”. E i fan che tornano ogni anno trovano il giardino rinnovato, come vuole la manutenzione di tanto patrimonio verdeo. A gennaio 2015 sono cominciati i lavori di ringiovanimento. Grandi magnolie, le siepi di Lauro Nobilis del giardino all’italiana, le piante grigie sono state potate. E fervono i lavori per il flower show di primavera, fissato dal 22 al 25 aprile.
Un modo diverso per guardare questo angolo di Lazio, che subisce a partire da queste settimane l’assalto dei patiti della tintarella e delle partite a racchettoni sulla spiaggia. A proposito, proprio sul mare di fronte alla Landriana c’è un monumento che varrebbe la pena di osservare: è la torre cinquecentesca di San Lorenzo, che si erge a cento metri dalla battigia. Una del sistema di bastioni che da Nettuno e fino a Ostia servivano ad avvistare sul mare i pirati. Sulla sommità delle moli, difese da merli, si accendevano fuochi per avvisare Roma, cuore dello Stato Pontificio, dell’imminente pericolo. La Torre di San Lorenzo, ora proprietà degli Sforza Cesarini, è tanto imponente e bella, tra i cespugli di oleandri, tamerici, tra le agavi e i fichi d’india, che i turchi nel 1570, avvistandola dalle loro imbarcazioni, la chiamarono La Pomposa. Il compilatore di una seicentesca Carta dell’Agro Romano, l’Eschinardi, dice sia stato Michelangelo a disegnarla. Ora protegge col suo vincolo paesaggistico uno dei piccoli tratti di duna che l’edilizia non ha toccato. Un altro miracolo.