Intervista con il grande sociologo
Totalitarismo prossimo venturo
Alain Touraine (che ha appena vinto il Premio Nonino): «Con la dissoluzione del sociale, determinata dalla fine del capitalismo industriale e dalla nascita di quello finanziario, il potere tende a cambiare natura: diventa totale»
Qual è la natura propria della nostra società? Se lo chiede Alain Touraine, il sociologo francese novantenne, mentre riceve a Percoto-Udine, nelle distillerie della grappa più famosa del mondo, il Premio Nonino “A un Maestro del nostro tempo” (gli altri riconoscimenti sono andati al poeta Lars Gustafsson, al progetto “Nati per leggere” e ai preparatori d’uva Simonit&Sirchm ). In questa età della vita Touraine è soddisfatto e triste, stanco e operoso, collocato in una dimensione nuova, ha scritto nel suo blog. Eppure egli – che ha insegnato a Parigi e in Sud America, ha analizzato il movimento operaio e la sociologia industriale – è stato il primo a individuare, trent’anni e passa fa, la trasformazione del capitalismo e a coniare il termine di “società post industriale”.
Allora, professore, qual è oggi la natura della nostra società?
Dato che la sua attività centrale non è più la produzione di beni materiali ma di rappresentazioni, opinioni, decisioni, cioè l’universo della soggettività, il potere in questa società non può essere quello che è stato fino a un decennio fa, né tecnocratico, né solamente finanziario. E’ necessariamente totale, voglio dire economico, politico e culturale allo stesso tempo. Propongo perciò di chiamare i poteri più importanti imperi totali.
Totali è a un passo da totalitari?
Non sono tutti totalitari. Dei tre imperi più attivi attualmente due lo sono: l’impero cinese e il piccolo ma super attivo Daesh, lo Stato Islamico. Il terzo, gli Stati Uniti, non è totalitario, ma dopo l’Undici Settembre e il potere dei neocons è più aggressivo di quanto lo sia stato nella lunga tradizione dell’american way of life.
Quali riflessi nella società?
La conseguenza della trasformazione del potere è che i difensori delle categorie popolari nel campo politico, culturale ed economico, non possono più organizzarsi né in movimenti sociali, come nella società industriale, né in movimenti politici o propriamente rivoluzionari, come nel Seicento o nel Settecento, ma in movimenti allo stesso tempo etici, di difesa del soggetto umano contro il potere totale, e democratici, contro la tendenza a una dominazione totale.
Nel suo blog ha anche scritto di essere approdato ora, dopo avere studiato tanto a lungo le società industriali, in una terra nuova e finora sconosciuta.
È appunto la terra dell’etica. Quella dove si deve affermare il soggetto umano, la sua dignità. Per questo il mio nuovo libro si intitola Noi, soggetti umani. Un lavoro al quale mi sento più vicino che a tutti quelli precedenti. Forse sarà il mio ultimo, ma vorrei che fosse stato il primo.
Ma l’etica del soggetto umano non rischia di trasformarsi in individualismo sfrenato?
Il potere totale, ribadisco, controlla oltre che la dimensione oggettiva del reale anche quella soggettiva. Penetra nelle coscienze e nei comportamenti degli individui. Del resto, allorché al capitalismo economico che investiva sulla produzione si è sostituito quello finanziario e speculativo, che ha sottratto capitali a quegli investimenti, si sono svuotate le categorie di Stato, Nazione, Democrazia, Classe, Famiglia. Così si è regrediti verso pseudo-religioni, pseudo-politica, pseudo-ideologia e l’edonismo ha alimentato la violenza contro gli altri e contro se stessi. Ora, se la società industriale era fondata sull’idea di relazione con l’altro, in quella post-industriale la priorità è nella relazione con se stessi. L’individuo diventa attore sociale non passando attraverso la politica, degradata, o il concetto di classe, inesistente. Ma appunto da se stesso, a partire dai propri diritti.
Quali diritti?
Per esempio, quelli delle donne. Che appunto sono diventate attrici di politica rigenerata. L’etica impedisce una loro posizione subalterna. Ma per affermare diritti negati gli individui erano diventati attori sociali già a Praga nel 1968, in piazza Tienammen o nel Sudafrica di Mandela.
Che ruolo ha in questo la cultura?
L’attuale è l’epoca non della comunicazione ma della soggettivizzazione e della de-soggettivizzazione, della coscienza degli esseri umani di essere i creatori o i distruttori dei loro diritti fondamentali. Hannah Arendt sosteneva che l’uomo ha diritto ad avere dei diritti. Condivido e rilancio: i diritti, proprio perché universali, sono al di sopra delle leggi e della politica. Soprattutto la scuola deve sviluppare la capacità e la volontà dei giovani di diventare creatori di diritti e di rispettare la dignità di ogni soggetto umano.