Visto al Malibran di Venezia
Orlando alla Valtur
Arriva per la prima volta in Italia “ Les Chévaliers de la Table Ronde” di Hervé, l'inventore dell'operetta. Una versione satirica (con venature paradossali) dell'avventura di Orlando e Angelica
La gavetta aiuta il genio. Lapalissiana dimostrazione ce la dà l’ottocentesco Hervé, il francese al secolo Louis-Auguste-Florimond Ronger. Un orfano autodidatta diventato, grazie al talento musicale, organista di chiesa e poi comparsa in teatro; infine trasformatosi, con un gran balzo, nell’inventore dell’operetta, il che non è poco, anche perché la vulgata attribuisce spesso il primato al contemporaneo rivale Offenbach. Ma fu anche versatile uomo di teatro, monsieur Hervé: compositore, soggettista, librettista, cantante, attore, impresario. Certo, meno fortunato di Offenbach, che lo ostacolò perfino, si sospetta, inventandogli contro l’accusa di aver insidiato un’adolescente e in tal mondo facendolo spedire per qualche tempo in gattabuia. Ma geniale nella sua caustica irrisione del mondo, che affida all’opéra bouffe vestendola oltretutto di musica raffinata e insieme cantabile. Così, onore al merito di Palazzetto Bru Zane-Centre de la musique romantique française con sede a Venezia di aver prodotto la messinscena di Les Chévaliers de la Table Ronde (opera del 1866) mai vista in Italia e che ha debuttato nella domenica di Carnevale al Teatro Malibran di Venezia (repliche fino al 13 febbraio).
Un ritorno alla saga medievale più leggendaria e praticata, dai cui rivoli sono germogliati i capolavori rinascimentali dell’Orlando Furioso e dell’Orlando innamorato, e che dopo Ariosto e Boiardo ispirò i tormenti del Tasso nella Gerusalemme Liberata. Per non dire dell’iconografia, che vanta tra l’altro i dipinti di Dominique Ingres al Louvre e di Giovanni Lanfranco alla Galleria Borghese. Un ciclo, quello arturiano, capace di cavalcare i secoli e di riproporsi fino ad oggi. Ecco le illustrazioni di Gustave Doré, la firma di Italo Calvino, il rivoluzionario Orlando televisivo di Luca Ronconi.
In un elenco infinito, Hervé si colloca nel versante satirico della saga, quello che fu dell’Ariosto e che è – nei Chevaliers visti al Malibran dopo una lunga tournée oltralpe e in attesa del capodanno 2016 quando saranno in scena a Parigi – il più suadente per l’odierna sensibilità. Il compositore francese è un virtuoso del rovesciamento della realtà. E con essa dei luoghi comuni, delle tradizioni, dell’establishment. E infatti, chi sono i suoi protagonisti, così come li hanno portati in scena gli strepitosi interpreti della compagnia Les Brigands? Orlando e Angelica, per cominciare. Lui è un vitellone irretito dalla maga Melusina, che lo fa suo amante e lo confina nel proprio castello dal quale l’eroe emerge non più in armatura ma in short e accappatoio della Valtur, bigodini in testa e ferri da calza in mano. Lei è una cicciona finto-ingenua che il papà in bolletta, il duca Rodomonte, mette in palio come terzo premio (i primi due sono una coppia di candelabri e un orologio rotto) di un rodeo riservato ai cavalieri. I quali, in pantaloncini e maglietta numerata come calciatori, sono Amadigi, Lancillotto, Rinaldo e Ogier che si gasano allorché Orlando, preso da ardore per aver visto in foto la poderosa Angelica, decide di gareggiare e conquistarla.
Insomma, un mondo dove il re è nudo e ogni carisma è ossidato. Una società di pataccari, come quelli oggi ai vertici della finanza se non della politica e delle pubbliche amministrazioni. Perfino la corona di Rodomonte è fasulla: quella d’oro se l’è impegnata la moglie Totoche per andare dal sarto, sostituendola, con l’aiuto del mago di second’ordine Merlino, con una copia in zinco. Hervé costruisce l’”operazione scherno” con le parole e la musica, che continuamente scivolano dall’aulico al popolare, dai toni alti a quelli bassi. Già davanti al castello di Rodomonte compare il manifesto “Divieto d’affissione”. E poi gli oggetti più preziosi vanno in saldo, il duca borbotta onomatopeicamente “guai guai guai”, gli equivoci e i mascheramenti sono l’indice di una società in tilt. Le note fanno lo stesso: romanze e arie da melodramma lasciano il posto perfino a una sorta di popolare Marsigliese, che quando i Chevaliers debuttarono – era il 1866 – i francesi canticchiavano in strada. Se ne stupì Wagner, negli stessi giorni oltralpe per il suo Tannhauser. E tuttavia fu preso da ammirazione per Hervé “il suonato”, come lo stesso compositore francese si definiva.
L’allestimento di Les Brigands supporta il compositore. Gli interpreti sono insieme provetti cantanti lirici, diretti fragorosamente dal Maestro Christophe Grapperon, e insieme attori funamboleschi. Si muovono simili a clown alla Fellini (peraltro evocato dal regista Pierre-André Weitz), indossano costumi a strisce bianche e nere come in uno stabilimento balneare primo ‘900. E il pubblico applaude e ride.
Del resto, di parodie il ciclo arturiano ne ha viste tante. Al cinema il Santo Graal dei Monty Phyton, ma anche il Merlino svagato della disneyana La spada nella roccia. Ora, memore anche del successo dei maghi di Harry Potter, prepara The Merlin Saga, incentrata sull’apprendistato dello stregone. Mentre spopola in Francia la serie tv intitolata Kaamelott.
Conformisti, pare suggerire il folle Hervé, una risata vi seppellirà.