Dopo la kermesse del contemporaneo
La piazza dell’arte
Bilancio di Arte Fiera Bologna: con il focus sui "classici" del Novecento, gli affari vanno a gonfie vele. Ma le nuove tendenze non sono più qui; sono a SetUp, la rassegna "rivale" delle contaminazioni e della globalizzazione
Raffinata, accattivante. Una passeggiata tra opere d’arte ed autori “familiari”, allestita con gusto e rassicurante. Forse fin troppo. «Arte domestica o meglio addomesticata», ha ironizzato Achille Bonito Oliva, che, in questa edizione 2016 di Arte Fiera che ha festeggiato i quarant’anni di attività (non di vita, visto che la manifestazione è nata nel 1974) l’ha fatta da protagonista ingombrante, portando un pizzico di sana polemica in un contesto celebrativo allineato su scelte tradizionali e di facile richiamo. «Il fascino discreto della borghesia», è la definizione che ha dato un altro critico e curatore di rango, Francesco Bonami, che ha puntato l’indice sugli artisti del Belpaese «che riflettono tutti la dimensione privata e borghese del collezionismo italiano» e «che rivelano al tempo stesso la forza e la debolezza del sistema arte italiano». Che dire? In fondo la fiera di Bologna è, per sua antica natura, una sorta di check up annuale sullo stato dell’arte, un luogo di contrattazioni nazionalpopolare che strizza l’occhio a più portafogli con offerte che vanno dai cinquecento alle centinaia di milioni di euro. E i collezionisti, piccoli e medi, si sentono garantiti, prediligendola a kermesse di tendenza come Artissima a Torino.
È la ragione di un successo, ma anche un limite. Dovrebbe riprogettarsi, osare di più, intercettare le nuove produzioni, stimolare la sperimentazione. Lo dicono gli stessi galleristi che desidererebbero un pubblico più avventuroso e meno colleghi improvvisati, insistendo sul numero esagerato di espositori, ben 222 spalmati sui ventimila metri quadri allestitivi. Lo sollecita Luca Beatrice, critico e curatore dall’analisi feroce, che, invece, lamenta l’assenza di idee: «Gli artisti under 40? Carini, educati e mosci, non danno fastidio a nessuno e si vendono bene».
Guardare al futuro. È quanto fa la “rivale” SetUp, firmata Simona Gavioli & Alice Zannoni nel segno delle contaminazioni e della globalizzazione. Il format (quarta edizione, tema «Indipendenza è sapere dove andare») ha aperto le porte, all’Autostazione delle Corriere, a galleristi, curatori e artisti under 35: quaranta stand nazionali ed internazionali; un cartellone ricco di appuntamenti tra performance, happening, progetti speciali, musica, video, presentazione libri e talk a cura di Algoritmo Festival; l’internazionalizzazione con una finestra sulla vivace Santander rappresentata da quattro atelier che hanno coinvolto artisti interessanti come Antonio Dìaz Grande, Hondartza Fraga, Daniel R. Martin e Nacho Zubelzu che usano il disegno come medium privilegiato. Spettacolare, effervescente e piacevolmente disorientante. Atmosfera festosa e pubblico tiratissimo tarato sull’avanguardia stilistica. Qui c’è ancora voglia di stupire, riflettere, discutere, scoprire talenti e innamorarsi di opere, non griffate, ma che invogliano all’acquisto. Nel comitato scientifico c’è la brava Silvia Evangelisti, curatrice, direttore artistico di Arte Fiera, fino al 2012, e ideatrice – era il gennaio 2015 – della lunga notte dell’arte con musei e dimore storiche bolognesi illuminati dal soffio fresco della contemporaneità. Ora gira per le Accademie a caccia degli artisti di domani. Un lodevole impegno che dovrebbe essere preso ad esempio.
Torniamo alla fiera madre, conclusasi il primo febbraio dopo il taglio del nastro col botto, il 28 gennaio, padrino una star, il coreografo e mimo Lindsay Kemp che ha ricordato David Bowie. Il bilancio è positivo: 58mila visitatori (+10 del 2015), migliaia di persone per gli oltre 70 eventi di Art City e i 140 di Art White Night, in una città, negli ultimi anni spenta, che per miracolo si è rianimata. C’è stata più gente, è vero. La gran parte, però, spinta dalla curiosità. Stranieri pochi, in numero crescente, al contrario, gli imprenditori: l’arte è un valore e conviene investire nel settore. Lo dimostrano le vendite: il commerciale è andato bene già dal primo giorno, chiaro segnale di ripresa, anche se si sperava in qualcosa di più. «Sono soddisfatta – commenta la napoletana Lia Rumma – soprattutto per l’impatto di quest’evento sul mercato dell’arte». Le fa eco il veneziano Stefano Contini: «Si è riacquistata la fiducia negli acquisti». Felice Helene de Franchis di Studio La Città di Verona, che nel 2012 aveva deciso di chiudere l’esperienza fieristica a Bologna intrapresa nel 1975, conferma: «Questa è la vera Campionaria dell’arte italiana, è stato un piacere ritornare, funziona ancora da catalizzatore». Entusiasta il milanese Luca Tommasi, alla sua prima volta: «Mi è andata bene». Ha fatto da volano, ne è convinta Annamaria Gambuzzi, presidente Associazione italiana Gallerie d’arte moderna, la scelta dei direttori artistici, Giorgio Verzotti e Claudio Spadoni, di mettere in scena tutta la storia dell’arte del Novecento, dal futurismo alla metafisica, passando per l’arte cinetica, la pittura analitica, l’arte concettuale, fino ad arrivare all’arte povera ed alla transavanguardia. Addirittura c’è chi ritiene che forse la fiera 2017 andrebbe riformattata entro questi confini.
Affascinante, non c’è dubbio, la promenade museale nella Main Section dominata dai maestri italiani: Balla, Severini, De Chirico, Morandi, Fontana, Burri, Castellani e Schifano in tutte le salse, Vedova, Afro, Manzoni, Dorazio, Nunzio, Bonalumi, Turi Simeti, Turcato, Pistoletto, Boetti, Paolini, Paladino, Uncini, Salvo, Zorio, Spalletti. Vere chicche le piccole sculture di Medardo Rosso, Pomodoro, Manzù. Cultura ai massimi livelli, vedi il tributo della galleria Russo di Roma a Mario Sironi con una mini mostra sulle sue illustrazioni per il Popolo d’Italia. Tante le icone mondiali da Picasso a Mirò, da Botero a Yves Clein, Joseph Kosuth e Hans Hartung. Apprezzabile la vetrina del modenese Emilio Mazzoli con Alex Katz, David Salle e Peter Halley. Riflettori, infine, su una scena internazionale più attuale con artisti come Gina Pane, Daniel Buren, Manolo Valdés, Rebecca Horne, Ai Weiwei, Nick Cave, Jaume Plensa. Gioco, poesia, ironia, provocazione e leggerezza dietro le quinte. Da pizzicare qua e là. Vanno citati l’American Idol di Francesco De Molfetta, una Statua della Libertà appesantita per i troppi hamburger mangiati; Zoo Keeper di Ronald Ventura, la donna giapponese su un tavolo da banchetto con animaletti neri che corrono sul corpo nudo; Pepe Profects di Laurina Paperina, profezie contenute in una biglia gigante, due euro da inserire nella macchina dispensatrice per ottenere il bigliettino d’arte timbrato con un triangolo e un occhio; la dolce Giraffa di Quentin Garel; la natura sospesa, una zolla alberata che vola verso il cielo del cubano esiliato a Mayorca Jorge Mayet che sembra dialogare con i paesaggi della memoria della maiorchese Amparo Sard della scuderia di Paola Verrengia. Tra i giovani vanno segnalati anche il salernitano Paolo Bini proposto dalla Pedana di Caserta e il napoletano Sergio Fermariello alla Trisorio.
Più stimolante – si viaggia nella direzione giusta – il percorso del padiglione 32 tra Nuove Proposte, Solo Show e Fotografia. Con la novità, vincente, della doppia presenza di gallerie ospiti consueti dei padiglioni storicizzati 25 e 26. Qui si sono sentite più libere nella progettualità e il pubblico, anche di non addetti ai lavori, ha apprezzato il coraggio. Lo indicano i critici Patrizia Fiorillo e Massimo Marchetti, molto attenti al “nuovo”. Una sorpresa è stata il ritorno alla pittura: da seguire il lavoro di Paola Angelini, pittrice di gusto espressionista nordico a cui la Massimo De Luca di Mestre ha dedicato una personale con tele di grandi dimensioni ispirate all’Ultima Pietà di Tiziano. Altri nomi da appuntare sono Letizia Fornasieri (Rubin di Milano) con i suoi oli su tela dalle poetiche linee cromatiche e i ritratti onirici di Guglielmo Castelli (Francesca Antonini, Roma). Hanno colpito Fabrizio Prevedelli, scultore di opere in cemento e marmo, punta di spicco della Cardelli & Fontana di Sarzana, Giorgia Severi che, nello spazio della Marcolini di Forlì, ha realizzato un grande wall paper in carbone, e la scultrice argentina Véronica Vàzquez con i suoi collage di fil di ferro, barre filettate e metalli vari esposti dalla galleria uruguayana Piero Atchugarry. Valida la fotografia, pur se un po’ omologata nei tagli e nei contenuti. Il padiglione ad hoc ha funzionato. «Una soluzione – ha tratto il bilancio Fabio Castelli del Mia Photo Fair che ha curato la selezione delle gallerie – premiata dall’affluenza e dagli acquisti».
È stato uno sguardo a tutto tondo che ha coinvolto opere classiche, sperimentali e d’avanguardia di autori affermati come Oliviero Toscani (Sabrina Raffaghello, Milano) ed emergenti come Gian Paolo Barbieri con la sognante Monica Bellucci (29 Art in Progress, Londra). Temi: il viaggio, l’immigrazione, il paesaggio, l’ambiente, l’architettura, l’industria, la moda e il corpo. Di immensa suggestione il progetto RiMembra di Monica Biancardi: un reportage che raccoglie le “membra” sparse per luoghi e negli anni, collegandole a spazi, fisici o mentali, tra i quali non v’è appartenenza. Dittici e trittici, immagini mutile che si ricongiungono ad altre o che ne generano altre: un paradossale collage in continuo movimento.
Le foto sono di Angelo Marra