La Domenica: itinerari per un giorno di festa
La Francia a Roma
Il trecentocinquantenario dell’Accademia francese, dal 1803 nella fantastica sede di Villa Medici, impone una visita e un tuffo nella sua storia: dal Re Sole a Poussin a Balthus. Per tutto l’anno un ricco calendario di eventi
C’è la firma di Re Sole sull’atto di nascita dell’Accademia di Francia. Il documento reca la data dell’11 febbraio 1666 e contiene lo Statuto e i Regolamenti dell’istituzione. La consegnò il ministro Colbert a Charles Errand. Ma l’originario destinatario era il pittore Nicolas Poussin, morto improvvisamente pochi mesi prima. Quest’alba della prestigiosa Accademia si celebra ora, esattamente 350 anni dopo, a Villa Medici, la fantastica sede che domina Roma da Trinità dei Monti, con quell’affaccio sui tetti e sulle cupole mediato dalla fontana nel celeberrimo dipinto di Corot. Ci saranno incontri, feste di primavera, film, mostre. Un programma fitto, articolato da Muriel Mayette Holtz, direttrice dallo scorso autunno, poliedrico personaggio, attrice e regista e amministratrice della Comédie Française, anche per questo raffinata comunicatrice.
Ma torniamo a Luigi XIV. Ferveva la costruzione di Versailles, quella che in cuor suo il re riteneva l’ideale residenza della Corona e di tutti i suoi ministri. E bisognava abbellirla anche con un tocco del fascino italiano. Opere da acquistare sul mercato romano, e ciò che non si poteva comprare doveva essere riprodotto dai più bei nomi tra gli artisti dell’epoca. Quegli stessi per i quali il Grand Tour e il soggiorno a Roma erano un momento irrinunciabile di formazione. Ecco allora che Colbert, Lebrun e Bernini suggeriscono a Re Sole di istituire un luogo deputato ai nobili scopi proprio nella Città Eterna. Il ministro spiega a Poussin che cosa volesse in una lettera del 1664: «Dato che sembra ancora necessario ai giovani che praticano la vostra professione soggiornare a Roma per formarsi lì il gusto e lo stile sugli originali e sui modelli dei più grandi Maestri dell’Antichità e dei secoli passati, Sua Maestà ha stabilito di inviarvene ogni anno alcuni, che saranno scelti nell’Accademia (reale di Pittura e Scultura) e che saranno da essa mantenuti a Roma durante il soggiorno».
Dodici furono i primi allievi. E la sede era un modesto edificio della Salita di Sant’Egidio, nel ‘700 spostata a Palazzo Mancini in via del Corso, nel 1793 saccheggiato dagli oppositori della Rivoluzione Francese. L’Accademia di Francia, che aveva aperto anche agli architetti, è soppressa per due anni. Ma s’avvia al fulgore nel 1803, allorché Napoleone Bonaparte, primo console, decide l’acquisto di Villa Medici, che deve il nome dal cardinale Ferdinando proprietario a fine ‘500, e vi trasferisce l’Accademia. Il futuro imperatore vuole anche l’allargamento ad altre discipline: la composizione musicale, l’incisione di medaglie, il paesaggio storico.
Ecco allora i nomi cari alla cultura di tutto il mondo vivere per quaranta mesi (la durata istituzionale del soggiorno, poi ridotto negli anni Settanta del Novecento a due anni) nella villa rinascimentale sorta su quella leggendaria di Lucullo e ornata da Bartolomeo Ammannati di statue e bassorilievi antichi nella candida facciata sul giardino, mentre le stanze vantano gli affreschi manieristi di Jacopo Zucchi. Sotto quelle volte, nel parco di melangoli, cachi e mele cotogne passeggiarono così Fragonard, David, Boucher, Houdon, Ingres (che decora alla maniera antica la facciata verso il bosco), Vernet, che realizza la “camera turca”. E ancora, gli scultori Carpeaux e Falanguiére, gli architetti Labrouste e Baltard. Fino ai musicisti Berlioz, Gounod, Bizet, Debussy. E fino a Balthus, nominato direttore nel 1961 da André Malraux, allora a Parigi ministro della Cultura. Regnò sulla villa per diciassette anni, dipinse qui memorabili quadri. Appunto La chambre turque, La japonaise à la table rouge, Katia Lisant. Soprattutto, affrontò il restauro della principesca dimora, secondo l’ottica di rilanciarla, di stringere il legame con Roma, di modernizzarla: per questo accolse tra i borsisti rappresentanti di fotografia, cinema, design, scenografia, coreografia, arti culinarie. In più, aprì Villa Medici a mostre, convegni, concerti, proiezioni.
Il restyling investì le strutture, gli arredi, le decorazioni, il verde. E comportò la creazione di infrastrutture capaci di garantire l’afflusso protetto e razionale dei visitatori. Villa Medici, come la vediamo oggi, porta il segno di Balthus nelle sette sale di esposizione, nella biblioteca, nella sala-cinema. Perfino nelle lampade che illuminano gli scaloni, da lui progettate. Poggiate sui gradini di granito, sono svelti steli di metallo nero, con una base a serpente arrotolato e in cima un’essenziale lampadina. Sotto i muri portati a nudo comparirono affreschi del XVI secolo. E quegli stessi muri furono ridipinti con una tecnica inventata dallo stesso direttore-artista, una sorta di spugnato ottenuto talvolta sfregando le pareti con fondi di bottiglia in senso rotatorio, per generare un effetto di vibrazione.
Fu con Balthus che Villa Medici divenne contenitori di indimenticabili mostre: Rodin, Ingres, Derain, Giacometti. E che aprì i suoi salotti a Fellini, Guttuso, Tirelli, Zurlini, Moravia. Nel trecentocinquantenario, dunque, doveroso che egli tornasse nella “sua” Accademia. Si è appena chiusa l’esposizione di opere da lui firmate. Ma il 17 marzo si aprirà la rassegna di un famoso borsista, il pittore cinese Yan Pei-Ming, dal titolo programmatico, Roma, per i lavori di grande formato con cui racconta la personale visione della città e della sua storia. Il 30 giugno sarà invece la festa dei borsisti ora residenti con perfomances che anticipano la mostra Teatro delle Esposizioni n. 7 contenente i progetti ai quali stanno lavorando negli ateliers della Villa. Che il 3 aprile aprirà gratuitamente le sue porte offrendo anche visite guidate. In luglio la rassegna di cinema en plein air, in autunno La Notte Bianca a Villa Medici e ancora in ottobre 350 anni di creatività che accende i riflettori sui lavori realizzati a Roma dai maggiori direttori e pensionnaires. Infine i Giovedì in Villa, che hanno già ospitato Enzo Cucchi e Salvatore Settis: il 3 marzo alle 20,30 sarà la volta del matematico ed economista Laurent Derobert il quale parlerà dell’“Algebra dei miracoli”. Seguiranno, tra gli altri, Valeria Bruni Tedeschi (31 marzo), Liliana Cavani (7 aprile), Yves Coppens il 19 maggio.