Visioni contromano
Il caso Tarantino?
“The Hateful Eight», il nuovo film di Quentin Tarantino, è un western perfetto, con inquadrature rigorose e personaggi pieni di sfaccettature. Tutto il resto sono chiacchiere
Esce l’ottavo (ottavo?) film di Quentin Tarantino, molto atteso per motivi diversi e legittimi. Per avere la conferma che sarà il solito film “disturbato”, violento e compiaciuto, e perché sarà l’ottava (ottava?) conferma del genio del regista di Pulp Fiction. È una di quelle occasioni in cui ci torna in mente il principio, invero molto applicato tutt’oggi, anche in questo caso, che per parlare di un film non sia necessario vederlo. Anzi. Siamo tutti molto bravi a farci convincere delle nostre convinzioni. Allora chiariamo subito, a noi The Hateful Eight è piaciuto, molto. Innanzitutto perché ci piacciono molto i western, e poi perche tenere otto personaggi dentro un saloon per oltre due ore e mezzo senza annoiare lo spettatore (ci riferiamo a noi stessi) non è davvero cosa da poco. Un appunto, a proposito del western, Tarantino sostiene che il vero genio del genere fosse Sergio Leone, e noi siamo molto d’accordo, ma sostiene anche che i film di John Ford fossero noiosi. Ecco, questa è una di quelle cose che definiamo intollerabili, una di quelle poche situazioni in cui sarebbe giusto derogare al principio che i gusti non si discutono: per John Ford dovremmo inventare un’eccezione perché, per come la vediamo noi, EGLI è l’unico che non si discute, anche se un noto dizionario di cinema valuta i suoi film in maniera così avvilente che, fatta la media delle “stellette” non lo colloca nemmeno tra i primi 100. Addirittura Tarantino viene prima di lui, e ancora prima, almeno questo, si piazza Sergio Leone.
Una delle accuse che più frequentemente vengono rivolte e Quentin Tarantino riguardano la violenza dei suoi film. In una intervista rilasciata all’uscita di Django Unchained gli venne chiesto: «Come puoi essere sicuro che non ci sia un nesso tra godere della violenza nel film e godere della violenza nella realtà?». A noi questa domanda sembra quantomeno bislacca, per non dire provocatoria, e di certo poco funzionale a chi vuol capire il cinema di un regista. Non a caso Tarantino rispose. «È come chiedere perché si fanno commedie». La violenza di un film è un film, è fantasia, la violenza viene istigata in ben altre maniere. Ma il punto è anche un altro. A dimostrazione che la storia non insegna nulla, seguendo questo ragionamento si ripropongono le stesse situazioni che vengono peraltro raccontate da un film di prossima uscita, L’ultima parola – La vera storia di Dalton Trumbo. Nel periodo immediatamente precedente al maccartismo, dopo la seconda guerra mondiale, a Hollywood si iniziavano a perseguitare tutti coloro che fossero appena sospettati di simpatie per il partito comunista. Quando al grande sceneggiatore Dalton Trumbo chiesero se ne facesse parte o ne avesse fatto parte questi così rispose: «Vorrei prendere visione di ogni prova che giustifichi tale domanda». È come se un film con scene violente giustificasse l’accusa di violenza nei confronti del suo autore. Quelle scritte da Trumbo erano storie, queste scritte da Tarantino sono storie, punto.
Entriamo piuttosto nel merito del film, della pellicola, dove non solo è legittima la discussione, ma addirittura auspicabile (ripetiamolo: solo su John Ford non si discute). La storia è semplice, come ogni bel western. C’è un cacciatore di taglie che deve consegnare una assassina perché venga impiccata e alcuni non identificati complici della stessa che vorrebbero liberarla. In più, elemento di disturbo ma centrale della storia, la figura di un ex soldato di colore dell’Unione. Avremmo potuto dire un ex soldato interpretato di Samuel L. Jackson ma quel “di colore” è determinante ai fini del racconto. Non vi diremo altro, tranquilli. Tutta la storia si svolge all’interno di un saloon, dove tra colpi di scena e morti violente si svelerà una trama con molte sorprese. Il film è girato in maniera impeccabile, non c’è una inquadratura che non sia funzionale al racconto, ogni dialogo, e in questo Tarantino è impareggiabile, è scritto da un autore che ama i suoi personaggi. Anche i più abietti (è una colpa?), e ce ne sono, hanno sempre una dimensione psicologia ben definita. The Hateful Eight non dà mai la sensazione di essere un film bi-dimensionale, ha una struttura se vogliamo persino primitiva, elementare, ma compiuta e logica in ogni suo approdo. Le riprese risultano impeccabili, in particolare durante alcuni snodi della storia in cui è fondamentale il punto di vista dello spettatore. Questo il film, per il profilo psicologico del suo autore rivolgersi altrove.