Le false trasgressioni del presente
Il Carnevale smascherato
Il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, mette i tornelli alla città e chiede ai vigili di togliere le maschere ai turisti di Carnevale. Hanno vinto la paura e l'opportunismo della politica
Giù la maschera. È l’editto del sindaco di centrodestra Luigi Brugnaro che si è abbattuto sul carnevale di Venezia. Per entrare in piazza San Marco nei giorni e nelle sere più calde della festa bisognerà superare un varco in cui i vigilanti dispiegati sul campo per l’occasione obbligheranno tutti, compresi i bambini al seguito (l’ordinanza non prevede e sembra dunque non consentire eccezioni), a togliersi la maschera. E mostrarsi a viso scoperto. Come a un posto di frontiera.
È una misura, magari concordata col ministro dell’interno Alfano o più probabilmente in concorrenza con lui per strappargli il primato dell’invenzione più balorda, che trova implicita giustificazione nel clima anti-tutto scatenato dagli attentati dell’Is a Parigi. Inutile notare che è una decisione che sa di sconfitta: una resa a un nemico che la paura, le infinite fantasie che la paura innesca, rende ubiquo e dunque invisibile, consentendogli oltre le sue stesse intenzioni di derubarci ovunque persino della normalità dello svago. Inutile rilevare che è una precauzione che crea più allarme che rassicurazione.
Proviamo invece a immaginarci la scena. Ad immedesimarci nel vigilante che attenendosi agli ordini ferma i passanti e chiede loro di esibire la faccia nascosta. Come dovrà regolarsi? Quali sono i segnali di pericolo che dovrà rilevare? Il colore della pelle? Gran parte degli abitanti del Mediterraneo e dei deserti mediorientali hanno un colorito scuro e olivastro: vanno fermati tutti? O i capelli? Soprattutto quelli scuri, increspati? Quanti italiani, spagnoli, greci, francesi rischiano l’alt? E come metterla con i bianchi non abbronzati, pura razza ariana, tra i quali – lo abbiamo visto in molti video – l’Is ha spesso assoldato i suoi boia? E come comportarsi se ci si trova di fronte a un viso dipinto? Tra i modi più usati per camuffarsi non c’è forse quello di annerirsi con carbone e nero fumo la faccia? Soprattutto qui a Venezia, antica capitale marinara, crocevia di gente e di etnie, dove era tradizione diffusa scegliere tra le tante licenze di diversità per sfilare in piazza maschere, abiti e tinture da re magio o da turcomanno.
E poi, via, se voi foste un terrorista e doveste aggirare l’embargo, non sarebbe meglio indossare abiti e sembianze di un supereroe da fumetto occidentale come Batman o Superman? O una parrucca da drag queen? O un volto imbellettato e caricaturale da gay? O, più ligi ai copioni della commedia dell’arte, un abito a losanghe multicolori da Arlecchino, un saio bianco e un cappuccio da Pulcinella, una gualdrappa da Pantalone? Tutti indiziati, non ci sarebbe scampo. E file sempre più massicce ai tornelli del sindaco Brugnaro.
Il Carnevale trasformato in una Quaresima di attese e sospetti. Tradito e rinnegato nella sua essenza, nell’ebrezza di capovolgere i ruoli, cambiare almeno per un giorno identità, trasgredire le regole. Il povero che diventava il re della festa, il ricco che provava lo sfizio senza costi del fingersi povero, indossando i suoi stracci, imitando persino la sua sporcizia, il sano che si ostentava malato, un malato incurabile e contagioso, calzando la maschera a becco dei medici della peste, la donna che si fingeva uomo, e viceversa l’uomo che adottava abiti femminili e belletto.
Non è più così, il rito si è inflazionato, le maschere fatte in casa sostituite da posticci e malfatti souvenir da turisti in vendita in ogni bottega lungo le calli, lo sberleffo spontaneo della festa di strada rimpiazzato dalla satira dei pupazzi che sfilano sui carri, il popolo di improvvisati attori ridotto a platea di spettatori dietro le transenne. Tanto vale rinunciare alle maschere, a quei cloni di maschere, accettare in questo clima di insicurezza il divieto del sindaco – argomenta la scrittrice Melania Mazzucco in un commento uscito nei giorni scorsi su La Repubblica – per evitare che piazza San Marco si svuoti, per salvare del rito almeno la quantità della folla che vi assiste. Insomma, giù le maschere, che il pubblico si rassegni a far da comparsa. Come fa già ogni giorno, almeno qui in Italia, espropriato da tutto, persino dal gioco, vien da obiettare.
Ma a quel punto molto meglio che Venezia rinunci a celebrare il Carnevale, che pure è diventato una delle attrazioni più gettonate del suo cartellone invernale, un appuntamento turistico di livello europeo. Era già successo a Venezia di spegnere le luci di questa festa. Per il Carnevale sulla Laguna, celebrato da scrittori, artisti, viaggiatori del Grand Tour, era scattato dagli Anni Sessanta un letargo che sembrava irreversibile: prima le ferite del dopoguerra, poi il contagio affaristico del boom nell’Italietta democristiana in cui trasgressioni e licenze della cultura popolare erano imbavagliate dalla censura, escluse dalla vista come le statue di Veneri nude nascoste per la visita del leader iraniano in Campidoglio.
Il risveglio avvenne all’inizio degli anni ’80. La straordinaria intuizione di un regista teatrale, Maurizio Scaparro, sulla scia di quelle esperienze dell’effimero che avevano restituito la Roma di Renato Nicolini e delle sue estati romane all’attenzione del mondo: resuscitare il rito del Carnevale con una massiccia iniezione di azioni spettacolari, eventi di teatro, momenti di animazione all’aperto. Mimi, giocolieri, attori: un’intera città che si metteva in maschera, invitando la gente a fare altrettanto in un coro suggestivo e coinvolgente di provocazioni e rimbalzi. Tra i ricordi più belli il martedì grasso a piazza San Marco: dal campanile calava una maglia luminescente di fili rossi, la gente era invitata a srotolarli, avvolgerli attorno al corpo e a quello dei vicini fino a disegnare una dilatata fantastica ragnatela che abbracciava l’intero piazzale. Uno show urbano sorretto da due pilastri: i canovacci calcolati del teatro appunto e i copioni imprevedibili della piazza. Gli spettatori trascinati a dare con la loro partecipazione attiva nello spettacolo. Un successo inimmaginabile su cui Venezia ha continuato a campare, finché, cambiati i tempi, cambiati i registi, la festa pur continuando a far cartellone ha perso mordente, gli spettatori-attori sono stati ricacciati in platea.
Giù la maschera, ordina ora il sindaco Brugnaro. Bene, allora cominci lui a dare l’esempio. Si tolga i suoi travestimenti da politico che cavalca l’opportunità e le barriere di esclusione della paura. E si metta a nudo. Dovrebbero farlo in tanti in questo nostro paese di trasformisti e sedicenti rottamatori. Credo che a frenarli sia più che un calcolo di convenienza, la paura. Il timore che tolta la maschera, le decine di maschere che calzano per ogni occasione, appaia il niente. Il vuoto di un potere che non può più guardarsi allo specchio. I fantasmi, si sa, non lasciano tracce.