Pasquale Di Palmo
Pubblicato il diario di Prevel

Vivere con Artaud

Poeta vissuto nella miseria e nell’isolamento e morto pressoché sconosciuto, Jacques Marie Prevel ha assistitito fino alla morte il grande teorizzatore del “théâtre de la cruauté”. Annotando ogni momento dell’intensa frequentazione

A volte nel nome di un uomo sembra si annidi il suo stesso destino. Prevel appare come una sorta di singolare pseudonimo, un misto tra Prévert e Crevel che finirà per penalizzare il suo stesso autore. Nato nel 1915 a Le Havre, Prevel arriva a Parigi durante l’occupazione nazista e si stabilisce nel Quartiere Latino che diventerà la sua roccaforte esistenziale. Vissuto nella miseria e nell’isolamento, rinuncia a tutto per scrivere ma non riesce a trovare un editore che sia disposto a stampare i suoi versi. Pubblica a proprie spese tre raccolte poetiche: Poèmes mortels (1945), Poèmes pour toute mémoire (1946) e De colère et de haine (1950).

L’incontro decisivo della sua vita sarà quello con Antonin Artaud nel 1946. Artaud è stato da poco dimesso dall’Ospedale Psichiatrico di Rodez, dove ha subito 51 elettrochoc che l’hanno prostrato sia fisicamente che moralmente (arriverà a pesare intorno ai 50 chili a fronte di un’altezza di m. 1,71). Un comitato di intellettuali, tra cui la saggista Marthe Robert e il drammaturgo Arthur Adamov, deve garantire il suo sostentamento a Parigi, dopo che l’autore è stato rinchiuso per quasi un decennio in vari manicomi (Sainte-Anne, Ville-Évrard, Rodez). Artaud vivrà nella struttura psichiatrica di Ivry-sur-Seine, nella banlieu parigina, diretta dal dottor Achille Delmas che gli lascerà la più totale libertà di movimento. Con il tempo gli verrà assegnato un padiglione che Artaud erroneamente considera come quello in cui è vissuto Gérard de Nerval.

Copertina PrevelFino alla sua morte, avvenuta a Ivry-sur-Seine il 4 marzo 1948, Prevel assisterà quasi quotidianamente il poeta marsigliese a cui si lega di profonda amicizia, procurandogli il laudano o la droga che Artaud gli richiede. Tiene un diario delle sue frequentazioni artaudiane che verrà pubblicato postumo soltanto nel 1972, a cura di Bernard Noël per Flammarion: En compagnie d’Antonin Artaud. Il seguente passaggio, tratto dal diario di Prevel, mi sembra al riguardo rivelatore dell’ammirazione nutrita nei confronti del suo eccentrico maestro: «Ero preso come in un turbine. Lo seguivo come un sonnambulo. Quando lo lasciavo a Jussieu o in qualche altro posto durante la notte, ritornavo ebbro, stranamente ammaliato dalle sue parole, dai canti che salmodiava, dal suo volto inimitabile, dal suo sguardo pungente. Camminavo per Parigi senza pensare o, piuttosto, non pensavo che a lui. La mia vita era trasformata, illuminata. C’era Antonin Artaud. Io vivevo». In questo diario Prevel annota scrupolosamente tutto quello che Artaud fa o dice, le lettere che scrive agli amici, la straordinaria gestazione delle sue opere «estreme» dove qualsiasi disciplina viene rinnegata alla stregua della paradossale concezione del «corpo senza organi» che diventerà l’unico vero strumento di conoscenza dell’ultimo Artaud. Prevel, minato dalla tubercolosi, sopravvivrà al suo idolo soltanto tre anni, spegnendosi a Parigi, pressoché sconosciuto, nel 1951.

Un ampio estratto del diario di Prevel , riguardante gli appunti presi su Artaud, viene ora pubblicato con il titolo In compagnia di Antonin Artaud (Giometti & Antonello, pagine 168, euro 18,00), curato da Antonio Malinverno. Il diario di Prevel non intende avere nessun tipo di allettamento sul piano letterario ma si configura come un semplice strumento in cui sia possibile registrare impressioni che altrimenti cadrebbero irrimediabilmente nel limbo dell’oblio. «Io devo sparire, deve restare la vita» si legge in un significativo passaggio. Per questo sono riportate, in maniera quasi ossessiva, le richieste di laudano di Artaud, affetto da un tumore al retto ormai inoperabile.

Ma la parte più interessante riguarda gli estratti delle lettere, le frasi pronunciate da Artaud che vengono riportate nel contesto esistenziale da cui sono scaturite, le splendide dediche nei libri freschi di stampa: «A Jacques Prevel/ che un grande sole/ alla Van Gogh/ guarirà». Prevel descrive l’ambiente che ruota intorno a Saint-Germain-des-Prés, le frequentazioni dei caffè in cui era possibile incontrare, negli anni d’oro dell’esistenzialismo, intellettuali del calibro di Sartre, Simone de Beauvoir, Camus, Breton, Paulhan. Spesso si sofferma a descrivere il suo idolo con accenti che ricordano gli ultimi ritratti fotografici di Denise Colomb e Georges Pastier: «Sono a pochi passi da lui (lo vedo di schiena). La sua strana silhouette da uccello predatore. Indossa un vestito troppo grande datogli da Pierre Loeb, il bordo dei pantaloni arrotolati. Il corpo magro si perde galleggiando dentro alla giacca e ai pantaloni». Inoltre Prevel riporta in presa diretta alcuni grandi avvenimenti che hanno contrassegnato l’ultimo periodo di vita di Artaud come la mostra di disegni alla Galerie Pierre o la conferenza del Vieux Colombier in cui Gide sale sul palco commosso per abbracciare il poeta.

prevelPrevel (nell’immagine a sinistra, ritratto da Artaud, ndr) annota meticolosamente il comportamento di Artaud che soffia o si tocca con la matita un particolare punto della schiena al fine di scacciare le schiere di demoni che lo irretiscono, l’idiosincrasia nei confronti del sesso, i sortilegi compiuti per riuscire a sopravvivere in un mondo dominato dal profitto e dalla concupiscenza, la corte di ammiratrici di cui facevano parte l’attrice Colette Thomas e la futura curatrice delle sue opere Paule Thévenin, le grida e i silenzi, la recita degli ultimi testi accompagnata dalla percussione con un martello nel padiglione di Ivry, le invettive blasfeme contro dio a cui è stata abolita finanche l’iniziale in maiuscolo e quelle contro la psichiatria e gli psichiatri, colpevoli di averlo martirizzato per nove lunghi anni. «La maggioranza degli esseri passano la vita a non fare niente, a succhiare la vita degli altri esseri, a impadronirsi della loro coscienza» gli confida Artaud. Viene descritta la genesi dei disegni e delle ultime grandi opere artaudiane: Lettere di Rodez, Artaud le Mômo, Van Gogh il suicidato della società, Per farla finita con il giudizio di dio, Succubi e supplizi. Spesso sono riportate frasi che sembrano scaturire da uno di questi libri rabbiosi e visionari: «Lo sa chi sono, signor Prevel? […] Io sono l’uomo crocifisso sul Golgota. Ma l’uomo crocifisso sul Golgota non si chiamava Gesù Cristo bensì Artaud. La cosa d’altronde non è avvenuta come la raccontano».

Non bisognerà dunque ricordare il ruolo di Prevel soltanto come quello del pusher di Artaud ma come quello di uno straordinario testimone degli ultimi anni del teorizzatore del théâtre de la cruauté. Prevel non sarà presente al momento della scomparsa di Artaud e il suo cruccio traspare da questa lettera riportata alla fine del libro: «Ma sono stato colpito in modo brutale dalla morte di Antonin Artaud. Michel è venuto ad avvertirmi sabato mattina e sono andato immediatamente a Ivry per vederlo. Mi ha fatto molto male. Antonin Artaud era il mio solo amico. Era il solo uomo a cui volevo bene. Ora non ho più nessuno».

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