Ricordo (personale) di un Maestro
Scola e il ping pong
Era un intellettuale delle cose che si fanno, della vita che si vive. Un po’ come John Ford avrebbe potuto dire «Sono Ettore Scola, e faccio film». Perché conosco la vita
Quando seppi di lavorare per Cineteatro, una trasmissione in onda su Radio1 negli anno ’90, provai una gioia indescrivibile. Non solo per il privilegio di lavorare con una persona splendida come Gigliola Fantoni, ma anche per la possibilità, che intravedevo all’orizzonte, di conoscere suo marito, Ettore Scola. Conoscevo tutti i suoi film, le sue sceneggiature, ma mi mancava quel passaggio decisivo. Quel materiale umano che mi avrebbe fatto capire da cosa derivava quella sagacia, quella sensibilità, quella ironia e quella bonarietà che ravvisavo in ogni suo lavoro. L’unica cosa che sapevo di lui, professione a parte, era che condividevamo lo stesso segno zodiacale, e già questo me lo faceva sentire vicino.
Inutile parlare dei suoi film, lo abbiamo fatto moltissime volte, lo faranno tutti, lo faremo moltissime volte ancora. Ci preme qui raccontare quella sensazione di complicità domestica che scaturiva da ogni incontro, da ogni intervista. Come quella volta che nella sua bellissima abitazione in zona Parioli realizzammo una lunga intervista su Gli anni ruggenti, il film diretto da Luigi Zampa e sceneggiato dal regista con Scola e Ruggero Maccari.
Ebbene, durante tutte le riprese due suoi nipoti giocarono ininterrottamente a ping pong nel giardino adiacente. Quando il fonico fece notare che il rumore della pallina “entrava” nell’audio delle riprese, Scola disse che andava bene così, che quel tocco sporcava sì l’intervista ma la faceva diventare più vera. E a fronte di una osservazione del genere fatta da un regista come Scola non si può controbattere nulla. L’intervista andò in onda con quel fastidioso, ma “necessario” rumore di sottofondo.
Ma i fonici non erano mai stati un suo bersaglio… gli intellettuali, loro sì, spesso massacrati, a volte con ironia ma mai con accondiscendenza. Per questo Ettore Scola ci fa venire in mente un altro grande dello spettacolo, da lui molto diverso, anzi, diverso in tutto, che noi citiamo spesso: Giorgio Gaber. Che degli intellettuali, tra le altre cose diceva: «Gli intellettuali fanno riflessioni, considerazioni piene di allusioni, allitterazioni psico connessioni, elucubrazioni autodecisioni». Ecco, Ettore Scola invece era il tipo di intellettuale, perché che lo fosse nel senso migliore del termine è evidente, del tipo migliore. Era un intellettuale delle cose che si fanno, della vita che si vive. Un po’ come John Ford avrebbe potuto dire «Sono Ettore Scola, e faccio film». Perché conosco la vita.