Cartolina dagli Usa
Le lacrime di Obama
È la prima volta che il volto di un presidente americano mostra un'emozione così forte. Il pianto in diretta di Obama è un segno di forza morale in un paese vinto da troppi interessi
Non mi è mai capitato di vedere grandi emozioni sul volto di un presidente degli Stati Uniti. A volte indignazione, un po’ di rabbia, un po’ di tristezza. Ma mai le lacrime. Ebbene Obama con la sua caratteristica, come ho già scritto su queste pagine, di “impeccabilità”, le ha versate. Senza scadere nel patetico, mostrando una pietas che è tipica del suo modo di fare politica e del suo modo di essere. Un politico, unico nel suo genere che sconfessa la filosofia cinica dei Frank Underwood di House of Cards che popolano oggi ovunque il mondo della politica, restituendole una dignità che ha perduto ovunque. Un uomo ancora capace di mostrare emozioni che ha mantenuto vive, a dispetto dei suoi capelli imbiancati sotto il peso di enormi responsabilità e di scelte difficili.
Si è commosso parlando delle vittime che ogni anno, 30.000 negli Stati Uniti, muoiono a causa delle armi da fuoco. Che il problema del controllo delle armi sia sempre stato a cuore a Obama non è un mistero, ma vedere piangere di commozione un presidente degli Stati Uniti, mentre ricorda tutti gli episodi recenti e meno che hanno registrato vittime innocenti è davvero qualcosa di insolito. Circondato dai parenti di molte vittime, annunciato dal padre di un piccolo morto nella strage della scuola elementare Sandy Hook in cui morirono 20 bambini e 6 insegnanti, una strage che lo scosse molto e che portò alla sconfitta al Congresso della sua proposta di limitare l’uso delle armi, Obama nell’ultima conferenza stampa ha spiegato i provvedimenti che il suo governo ha scelto di prendere per porre un temporaneo rimedio alla situazione.
Seppure i quattro provvedimenti che verranno adottati con un decreto governativo saranno temporanei e a discrezione del nuovo presidente che si insedierà alla Casa Bianca in poco più di un anno, rappresentano tuttavia un tentativo di freno al proliferare indiscriminato delle armi.
1) I commercianti di armi dovranno avere una licenza federale e fare un background check su chi le acquista controllando anche che non siano affetti da malattie mentali. 2) Saranno inoltre resi più efficienti i controlli. Per questo saranno assunti 230 agenti speciali dell’ FBI che si occuperanno di questo assieme agli uffici del ATF( Alchool, Tobacco and Firearms). Ci saranno controlli governativi per chi cerca di acquistare armi particolarmente pericolose per esempio attraverso le compagnie di lavoro o i fondi di trust, oltreché controlli sulle armi rubate o perse per saper dove sono finite. “Dobbiamo migliorare l’efficienza e i tempi di risposta del sistema” ha affermato la ministra della Giustizia Loretta Lynch.
3) Inoltre il Ministero della Salute cercherà di potenziare (e qui entra in gioco il Congresso) il controllo e l’assistenza a chi soffre di malattie mentali.
4) Infine saranno creati fondi di supporto a una tecnologia che possa rendere le armi più sicure riducendo il rischio d’incidenti.
Come si vede misure non estreme in grado di generare una coscienza diffusa rispetto al problema e di aiutare a ridurre la violenza. Perfino il New York Times in un editoriale forte e netto reagisce alle prese di posizione dei repubblicani che per voce di Paul Ryan, Speaker of the House e del senatore Ted Cruz accusano Obama di voler restringere la libertà degli americani. «Il presidente non ha mai rispettato il diritto di proprietà legale e sicura delle armi da fuoco cha la nostra nazione ha sempre venerato dalla sua fondazione… le sue parole e azioni rappresentano una forma di intimidazione che minaccia la libertà», ha affermato Ryan. E Cruz rincara: «Questo è un presidente che per sette anni ha abusato della sua autorità costituzionale. Non si sconfiggono i cattivi eliminando le armi, si sconfiggono usandole». Il New York Times spiega che questi due uomini politici non solo non ascoltano il presidente, ma specialmente Cruz non riesce a distinguere tra quello che Obama «fa e non fa». E l’editoriale conclude con un pesante affondo: «Data la situazione, è difficile immaginare una conversazione seria riguardo alle armi fintanto che i politici in combutta con la lobby delle armi (leggi NRA, ndr) sceglie di fraintendere quello che coloro che sostengono le leggi per una sicurezza maggiore, dicono. Questi sostenitori, tra l’altro includono il 90% degli americani che sono a favore di un controllo generalizzato per chi acquista armi». E il giornale conclude il pezzo ricordando tutti i massacri che uno dopo l’altro si sono succeduti in tempi recenti da quello degli studenti di Virginia Tech alla scuola elementare del Connecticut, alla sala di cinema del Colorado agli uffici della California.
Nella stessa conferenza stampa Obama ha inoltre detto che la guerra contro la violenza delle armi da fuoco non si vince da un momento all’altro, “overnight”. Ci vorrà molto tempo, ma prima o poi accadrà come sono accaduti eventi che non si pensava potessero mai accadere come il voto alle donne o le lotte per i diritti civili o quelle a favore degli omosessuali. Eppure sono accaduti. Perché sono inevitabili.
Le lacrime di Obama non sono dunque, come qualche giornalista italiano ha scritto, lacrime di frustrazione o quelle di uno sconfitto, per non essere riuscito a far approvare la legge, ma di vera e propria commozione per altri esseri umani che non si sono salvati da una violenza insensata. Forse in generale il suo sogno di cambiare lo status quo globale non si è avverato, ma non certo perché l’America ha smesso di essere il gendarme del mondo. Altre sono le ragioni e spesso, specie rispetto alla crisi in Medio Oriente, risiedono in Europa o nei paesi arabi il cui cammino verso la democrazia sembra essere più lungo e tortuoso del previsto. Anche perché i lacci insanguinati del colonialismo sono difficili da spezzare e si ritorcono contro l’occidente che per secoli ha depauperato quella parte del mondo. E proprio nella direzione di un abbandono di questo sfruttamento ha tentato di muoversi la politica estera di Obama. Lo smarcarsi da una politica di controllo militare e politico nel medio oriente è uno dei risultati più importanti della sua presidenza. Senza brighe collaterali e senza neanche menfreghismo. E se la posizione di Riad lo preoccupa non può certo questo essere un buon motivo per ripristinare tout court una cinica ragion di stato. Bisogna inoltre ricordare che alcuni gesti eclatanti di politica estera come la ripresa dei rapporti con Cuba e l’apertura all’Iran hanno restituito al mondo il rispetto che l’America aveva perso sotto la presidenza Bush. E se questo ultimo anno sarà indubbiamente difficile per Obama penso che quando lascerà la Casa Bianca potrà testa alta affermare di avere tenuto fede ad uno dei punti più importanti della sua legacy : quello cioè di avere restituito alla politica una dimensione etica.