Giuseppe Giglio
Un esordio convincente

La colpa di vivere

Crocifisso Dentello, con "Finché dura la colpa", racconta la storia di un clown malinconico che scende con leggerezza nel vortice del grigiore della "normalità", in Brianza

Si era abituati (in quella piazza virtuale piena di realtà che è Facebook) alle incursioni di Crocifisso Dentello: a quel suo instancabile andirivieni tra vita e arte, tra vita e letteratura, soprattutto; a quel suo insaziabile dire innervato di slanci e passioni, di giudizi e polemiche; a quella sua rigorosa e seguitissima finestra, che dai tanti, tantissimi libri letti quel siciliano nato in Brianza continuamente apriva (e apre) sul vivere. E sempre da quella finestra lo stesso Dentello annunciava il suo primo romanzo, Finché dura la colpa, che adesso è in libreria per i tipi di Gaffi (244 pagine, 16,90 euro).

Un esordio sorprendente, che tradisce, pirandellianamente, un narratore di cose. Un narratoreche ha dentro un vortice di storie: quelle che gli vengono dai libri (dai buoni libri: di quelli che, nel bene e nel male, inverano la vita di ciascuno di noi); e quelle che dalla quotidianità (con tutte le sue ombre) egli ha assorbito. Epperò Finché dura la colpa pare distillato da un Dentello un po’ diverso, rispetto all’appassionato polemista facebookiano. Da un Dentello più intimo e dimesso, che dà corpo e sangue ad un apprendista di solitudini e veleni, di ipocrisie e di colpe: Domenico Laurana, un ventenne misantropo, che passa le giornate a casa o in biblioteca, a divorare un libro dopo l’altro, e che non riesce a trovare posto nello «splendore tumefatto» di una Brianza di fine millennio, popolare e decaduta, in quell’angolo di mondo che può benissimo coincidere con molti altri. Domenico è un «figlio inetto» di emigranti siciliani, lì giunti negli anni Sessanta: un padre (un muratore rude e autoritario) che schiaccia la famiglia col peso che gli viene dai soldi che riesce a portare a casa; una madre debole e rassegnata, più protettiva che comprensiva; c’era anche un fratello di Domenico (più piccolo soltanto di un anno): scomparso, forse rapito, quando era ancora un bambino.

crocifisso Dentello finché dura la colpaE se quel giovane si immola sui libri per sfuggire al caos di cemento, di aridità e di alienazione in cui gli tocca vivere (rifiutando anche il lavoro in fabbrica che il padre, compromettendosi con un politico locale, gli aveva procurato), proprio i libri si mutano per lui in occasioni di vita, se non in destino: dall’incontro con Anna (in una stazione interrata), una ragazza (come lui innamorata delle poesie di Pasolini) alla quale si lega, e che lo apre a responsabilità prima impensabili; all’imbattersi in Agosto (in biblioteca, complici i versi di Rimbaud), un personaggio ambiguo e sinistro, che realizza una terribile vendetta  scaraventando il giovane Laurana in una viscida spirale criminale.

Un narratore di cose, dunque. O di colpe: laddove la colpa (la colpa che viene da un crimine, o dall’inadeguatezza alla vita; o addirittura, nel segno di Kafka, è la vita stessa a farsi colpa) diventa una specie di mezzo di contrasto, che scivola efficacemente tra le acque torbide del vivere. E non appartiene, questa colpa, soltanto a chi, come il protagonista, sembra condurre la vita con gli occhi chiusi: appare anzi piuttosto diffusa, è una pericolosa e contagiosa malattia. E si ha l’impressione – leggendo Finché dura la colpa, dove pure Dentello cita il Tozzi di Con gli occhi chiusi – che un malinconico clown scenda con leggerezza nel grigiore di tanta normalità: da certi interni famigliari da cliché usurato, ai tanti giovani ridotti a «bestie che vivono di istinti primari», a quel bieco conformismo generazionale che pare senza rimedio. Incede piano, in punta di piedi, quel clown, e come se ascoltasse continuamente questo adagio di Savinio: «In fondo la differenza fra tristezza e malinconia è questa: che la tristezza esclude il pensiero, la malinconia se ne alimenta». Ed è un pensiero con un che di religioso, che scorre dentro una scrittura asciutta, tersa, immaginifica: a cercare la complicità del lettore. Agli occhi del quale le immagini sembrano acquisire quella stessa trasparenza che guadagna la neve quando si va sciogliendo, mentre lascia intravedere un proditorio buco, o un fiore che, non ancora bruciato, può forse ricominciare a vivere.

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