La Domenica: itinerari per un giorno di festa
Il cucuzzolo del Lazio
Viaggio a Cervara, il più alto Comune della nostra provincia, alfa del Parco dei Monti Simbruini che si contende il primato con l’omega Filettino. Uno skyline da libro delle fate, una località che con le sue praterie, le baite, il silenzio, ispira il Maestro Morricone
Settanta chilometri da Roma, un’ora di viaggio. E trovi aria, alberi, panorami da Grande Nord. Cervara è il più alto Comune della nostra provincia. Vanta 1053 metri sul livello del mare, che diventano 1.450 nella frazione-prateria di Campaegli. Per soli dieci metri non è la sede civica del Lazio più vicina al cielo. Le ha scippato il record regionale Filettino, nel Frusinate. Ma Cervara e Filettino sono accomunate anche per un altro motivo. Sono l’alfa e l’omega del Parco più esteso del Governatore Zingaretti, quello dei Monti Simbruini, che appunto spazia dai confini con l’Abruzzo, dov’è Cervara, e la mole di Campo Catino, che fa la fortuna di Filettino. Cervara però ha uno skyline da libro delle fate. Guardate le foto: sale verso il cielo con lo sperone di roccia carsico-dolomitica, un dente aguzzo che artiglia l’azzurro e fa ombra al presepe di case che si stende sotto. D’estate l’aria è sopraffina, ma in questi giorni il termometro sfiora anche i -10, parola di sindaco, Giovanni Mitelli, asserragliato con il suo Consiglio, in una sede comunale che segue, con la sequenza di scale e scalette che portano agli uffici, il saliscendi del paese.
Già, le scale. La cifra di Cervara, croce e delizia di un posto sospeso nel cielo, affacciato com’è nell’«abisso» della valle dell’Aniene. L’automobile si lascia all’ultima curva prima dell’ingresso in paese. Poi via, su, piano piano, gradino per gradino, fino alla piazza col belvedere. E ancora – sotto archi dalle pietre grezze, mentre le case si stringono come in un labirinto e poi lasciano spazio a scorci inattesi – fino alla chiesa di Santa Maria della Visitazione e alla fortezza voluta nel Medioevo dagli abati di Subiaco, padroni di Cervara per investitura papale, contro gli attacchi dei Saraceni.
Viene il fiato grosso, ma l’occasione per fermarsi c’è e consola la mente. Perché i muri regalano poesie, ceramiche, dipinti, sculture. A Cervara, nell’Ottocento e poi dopo la seconda guerra mondiale, sono saliti tanti artisti. Cominciò a disegnare il suo paesaggio Bartolomeo Pinelli e il francese Ernest Hébert dipinse Les Cervaroles. Dalla vicina Anticoli Corrado, il paese delle modelle, il pastore-pittore Mario Tozzi portò qui l’espressionista Oscar Kochosca. La fama di buen retiro ormai «la città dei cervi» – che vivono allo stato brado nell’area protetta di Prataglia – l’aveva in pugno. Ecco, a soggiornarvi, Sante Monachesi e Domenico Purificato. Ecco la «Scalinata degli artisti» con le pietre scolpite e le ceramiche di Mastroianni, Fortunato, Piscopo. Ed ecco la schiera dei poeti: Ungaretti, Raphael Alberti, Elio Filippo Accrocca, Luciano Luisi, Pagliarin, Bugatti, Pasolini. A molti di loro Cervara ispira versi. Che sono diventati «pagine» incastonate nei muri. «Cervara di Roma/ vive sola, scolpita in cima/ a una montagna di pietra./ È una scultura nel cielo,/ che al cielo volerebbe/ se l’aria la sostenesse…», scrive Alberti. E Renato Merlino declina in romanesco il rito dell’ascesa alla Fortezza: «So 171 li scalini/ che portano a Cervara./ Li primi 30 è un gioco da ragazzi/ schizzi come li razzi/ e vai a tutta callara…», attacca. E poi conclude: «So 171 li scalini/ l’hai fatti tutti e adesso all’improvviso/ te pare d’esse annato in Paradiso».
C’è anche uno spartito di musica, murato sulla scalinata. È «Notturno e Passacaglia per Cervara», firmato da Ennio Morricone. Il Premio Oscar, che anche in questo 2016 si è aggiudicato la nomination per la colonna sonora di The Hateful Eight di Quentin Tarantino, per trent’anni ha trascorso le vacanze nella sua baita a Campaegli, la frazione più a monte, a 1450 metri, tra le praterie. Il silenzio, le mucche e i cavalli che vanno al pascolo da soli, l’intrico degli abeti, delle querce, dei faggi, il silenzio armonico della neve. E le partite a bridge, e le fettuccine servite dagli osti nei piatti di legno. Un mondo a parte che ha fatto scrivere a Morricone, nella dedica del Notturno: «Io e mia moglie abbiamo trovato un posto dove c’è grande pace, ricerca dell’amicizia, e dove gli animali vivono con noi fra le baite e lungo le strade. In questo bellissimo ambiente ho trovato spesso fonte di ispirazione per le musiche che ho scritto e che vivono di questa trovata serenità…». Il Maestro ha diretto la Passacaglia nella chiesa di Santa Maria della Visitazione, sotto la Rocca. Era l’estate del 2006. Quando è diventato cittadino onorario di Cervara. Da qualche tempo l’associazione Simbrulife anima la sua baita. E nell’agosto scorso sono risuonate dallo chalet e in un concerto dal vivo sotto i faggi le celeberrime colonne sonore, da Metti una sera a cena ai western di Sergio Leone, e allora i turisti hanno modulato col coro quel “scion scion” (Sean Sean, il nome del protagonista della pellicola interpretato da James Coburn) che caratterizza il tema portante di Giù la testa. E non a caso perché, dopo l’exploit d’autore di Leone, nella non lontana località detta Camposecco, vegetazione brulla e cavalli al pascolo, sono stati girati tutti gli spaghetti-western.