Ella Baffoni
«E tu slegalo subito»

I post-manicomi

Malgrado Basaglia, malgrado la “sua" legge, la nostra sanità continua a "legare" disabili e pazienti "difficili". Contro questa pratica barbara parte una campagna sociale, artistica e politica

E tu slegalo subito è il titolo della campagna lanciata nei giorni scorsi dal Forum Salute mentale. Slegalo chi? Chi è legato, nella civile Italia? Il nome dei proponenti fa pensare si tratti di questione psichiatrica, gran rimosso nella coscienza dei più. È così, ma purtroppo non solo. Ad essere legati, “contenuti”, non sono solo i malati psichici. Sono i tossicodipendenti nelle comunità di recupero, i bambini con gravi handicap fisici o mentali ospitati nei centri, gli anziani in certe case di riposo: alcuni perfino autosufficienti e in sé ma costretti a letto quando non ci sono abbastanza operatori per garantire il servizio. Poi, certo, ci sono anche i “matti”: E tu slegalo subito era la frase che diceva Franco Basaglia a chi gli raccontava dell’uso cronico delle fasce per legare ai letti braccia e gambe dei “pazienti”. Ed è anche il titolo del recente libro di Giovanna Del Giudice (animatrice della conferenza permanente per la salute nel mondo Franco Basaglia) appunto sulla contenzione.

Il fatto è questo: se i manicomi di quaranta anni fa con il loro orrore non ci sono più, la pratica della contenzione è tutt’altro che superata. Anzi, è la prassi nei luoghi dove la pratica medica è solo ambulatorio e farmaci e ospedalizzazione e Tso (trattamento sanitario obbligatorio). Nelle scuole di specializzazione, per di più, si insegna ancor oggi come si inchiodano al letto i pazienti per renderli inermi. Una vecchia ricerca del ministero della Salute nel 2004, l’ultima però, dimostrava come si legasse in più del 80% dei reparti, sopravvivenza patente di una pratica manicomiale. Del resto solo 20 su 320 servizi psichiatrici di diagnosi e cura non usano fasce e legacci: pochissimi, ma mostrano che la libertà è un gran fattore di guarigione. Che evitare umiliazioni e dolore a persone già sofferenti è possibile. E va fatto.

Se nei carceri o nei Cie (i centri di detenzione e espulsione per immigrati) legare i prigionieri è pratica visibile, nei reparti geriatrici o sanitari no, e la contenzione non viene mai menzionata nelle cartelle cliniche. Eppure, dice Angelo Righetti, nelle case di riposo «il 40% degli ospiti viene usualmente legato. Dei 25.000 disabili gravi larga parte viene contenuta. L’ideologia delle strutture protette fa crescere violenza e disuguaglianza». Più che responsabilità diretta degli operatori, spesso è la struttura, i tagli selvaggi, le “razionalizzazioni” e l’abbandono di pratiche mediche serie e innovative ad avere come conseguenza i legacci. Per questo il senatore Luigi Manconi propone di «avviare una Commissione di inchiesta parlamentare per monitorare un fenomeno così occulto e diffuso». Occulto finché non diventa cronaca, la cronaca drammatica – ad esempio – della morte del maestro Francesco Mastrogiovanni, una terribile agonia durata quattro giorni e registrata dalle telecamere di sorveglianza. Proprio quelle immagini sono l’ossatura del film 87 ore di Costanza Quattriglio.

Inutile ricordare quanto la contenzione susciti rabbia, impotenza, umiliazione. Sopratutto in chi avrebbe bisogno invece di un sorriso, o di una carezza, i nostri anziani resi fragili dall’età, i bambini inermi, gli adolescenti rabbiosi alle prese con le bombe ormonali, i disperati, i senza risorse. Sul crinale sottile della sofferenza una violenza può decidere lo scacco di un’anima, il destino di una vita.

A sostenere l’appello (per aderire o chiedere informazioni ecco la mail: etuslegalosubito@​gmail.​com. C’è una pagina Facebook, un account Twitter e un sito) una trentina di realtà, associazioni, comitati. Tra cui Cgil, Unasam, Fondazione Basaglia, Libera, Antigone. Tra i primi firmatari avvocati, magistrati artisti, da Caparezza a Claudio Bisio, da Paolo Virzì a Fabrizio Gifuni, da Tommaso Zanello (er Piotta) a Lella Costa e Marco Delogu.

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