Contro l'editoria commerciale
Distilleria letteraria
Nasce una nuova iniziativa editoriale: i romanzi "Distillati”. Ossia tagliati. Vuol dire che, normalmente, la narrativa è piena di pagine inutili? O che il lettore si stanca troppo presto?
Sulle pagine dei quotidiani, un’inserzione pubblicitaria invita a scoprire una nuova iniziativa editoriale, che porta sugli scaffali delle librerie i libri distillati. Si tratta, come recita anche l’elegante sito di riferimento, del «meglio della narrativa italiana e internazionale in meno della metà delle pagine dell’originale». Volumi meno voluminosi, in cui si lasciano inalterati, almeno così assicura chi ha ideato l’iniziativa, «la trama, i personaggi, le emozioni», lo stile dell’autore. Insomma, si parla di libri «distillati, non riassunti».
Si può credere che i tagli (che riguarderanno, mettiamo, le descrizioni, i personaggi secondari, i momenti di stanca della narrazione) siano impresa di specifiche figure professionali, di chi per lavoro si occupa della cura editoriale di un’opera, in breve degli editor. Del resto non potrebbe essere diversamente. Possiamo immaginare che ad agire siano gli stessi professionisti che agli autori suggeriscono, di fronte a una storia che funziona, a personaggi credibili, di ampliare la narrazione, per arrivare ad un numero di pagine in grado di soddisfare le esigenze editoriali. Viene fatto di ritenere che, dopo la precedente dilatazione, con l’intervento riparatorio della distillazione, il romanzo ritorni alle sue dimensioni di partenza.
La scelta della riduzione però induce anche a cattivi pensieri: spinge a giudicare cioè che poche o molte pagine dei libri di narrativa di quelli di maggiore successo, siano di fatto superflue. L’operazione ha quindi l’obiettivo di cancellare quello che non serve, che risulta inutile o che addirittura è brutto. Ne deriverebbe che il «meglio della narrativa» contiene in effetti un peggio, di cui si può fare a meno. Ma allora perché tanto impegno nella costruzione di romanzi così corposi? Un altro cattivo pensiero porta a credere che nella ricetta alla base della composizione di un best seller sia inserito anche l’obbligo di infarcirlo di materia eccedente. Per piacere al grande pubblico insomma si deve essere sovrabbondanti. Non è chiaro se gli autori interessati siano d’accordo con l’iniziativa, della quale comunque non possono non essere informati. Come avranno reagito all’idea che vengano tagliati i loro romanzi? Qualcuno di loro avrà suggerito i brani da espellere, semmai nel tentativo di tornare all’originale modificato dal proprio editor?
Sta di fatto che esistono già romanzi brevi e racconti, che potrebbero quindi contentare chi cerca narrazioni meno imponenti, ma, a detta degli editori, sono prodotti che “non si vendono”, perché gli italiani non amano le storie che non siano particolarmente ricche di intreccio, o perché (è il caso del romanzo breve) il libro di poche pagine genera dubbi sull’importanza del suo contenuto. Tra i pochi autori che riescono a pubblicare romanzi brevi a catena è Erri De Luca. In questo caso però l’editore decide di utilizzare caratteri tipografici visibilmente più grandi del consueto, con sentita riconoscenza da parte degli affetti da presbiopia e con l’effetto di rendere almeno accettabile il numero delle pagine, tanto che l’oggetto in questione possa chiamarsi libro. Certo, si potrebbe optare per la pubblicazione di tre o più romanzi brevi nello stesso volume (come è spesso accaduto in passato), ma la scelta, oltre che portare ad un evidente nocumento economico, potrebbe far risaltare la ripetitività che caratterizza le opere.
I primi romanzi italiani ad essere ridotti saranno Venuto al mondo di Margaret Mazzantini e La solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano, che inaugurano anche un possibile cursus honorum in tre fasi, romanzo/film/distillato. Nel caso del libro di Giordano, che tra l’altro non è un romanzo particolarmente massiccio, forse l’opera del distillatore potrebbe arrivare ad isolare i primi due capitoli, che hanno già titolo autonomo, L’angelo della neve e Il Principio di Archimede. Si tratta di due splendidi racconti, tra i più belli della narrativa italiana degli ultimi anni. Ma sono appunto racconti, di cui immagino il solerte editore abbia chiesto a suo tempo l’ampliamento, lo sviluppo in un intreccio ampio, abbia raccomandato di dare un seguito agli eventi, altrimenti troppo repentini e dunque meno invitanti.
Infatti, si sa, nessuno legge i racconti, quindi è meglio allungarli a dismisura, farli diventare romanzi ingombranti, e poi accorciare i romanzi.