Gioacchino De Chirico
A proposito della manifestazione romana

Una piccola fiera?

S'è aperta la quattordicesima edizione di "Più libri più liberi": un'appuntamento molto amato dai lettore ma che rischia di chiudere in un ghetto la piccola editoria

Quattordici anni fa, si teneva la prima edizione di “Più libri più liberi” l’ormai celebre mostra-mercato dedicata ai piccoli e medi editori. All’epoca, entusiasmo e aspettative erano giustamente alti. Da molte parti era forte la consapevolezza che proprio questa tipologia di editori rappresentasse la vera novità del panorama editoriale italiano. Questo grazie alla loro capacità di individuare autori italiani e stranieri di talento che rimangono “nascosti” alla grande editoria commerciale, grazie alla cura che mettono nelle edizioni e alla relazione con un pubblico di lettori motivato, competente e fedele. In questi giorni che la fiera ha riaperto i battenti è giusto fare un bilancio per capire se questa editoria sia stata “normalizzata” oppure abbia mantenuto la sua carica innovativa.

Proviamo allora ad analizzare la situazione utilizzando alcuni “indicatori” che elenchiamo qui di seguito.

La risposta del pubblico dei lettori, in termini di acquisto di libri ma anche in termini di lettura pura e semplice attraverso le biblioteche e i gruppi di lettura che sempre più si diffondono a Roma e nel paese.

La capacità della rete vendita di rappresentare quella “bibliodiversità” che costituisce circa la metà del fatturato dell’editoria italiana contemporanea.

La qualità degli autori e, nel caso dei libri per ragazzi, degli illustratori che questa editoria è in grado di proporre.

Infine la capacità del format della fiera a rappresentare tutto questo.

Per un ragionamento di scenario, ci è di aiuto mantenere uno sguardo anche sulla città di Roma che non solo ospita la manifestazione, ma è anche la città con un formidabile circuito di circa quaranta biblioteche, che vanta una serie di piccoli editori e di librerie indipendenti come non ve ne sono eguali per quantità e qualità nel resto del paese.

Più libri Più liberiIl primo indicatore, quello dedicato ai lettori, va valutato oltre la sufficienza. Già dal primo giorno, la fiera, è stata affollata nonostante il giorno feriale, un parziale sciopero dei mezzi di trasporto pubblico e l’imposizione delle targhe alterne. È vero che gli organizzatori avevano distribuito in città molti biglietti omaggio, ma resta il fatto che le persone hanno scelto di andarci. Questo comportamento non può prescindere dalla qualità della proposta editoriale, dal grande lavoro di diffusione della lettura che fanno le biblioteche e dalla vivacità dei gruppi di lettura che sono sorti in città, spesso sostenuti proprio dai librai indipendenti.

Nonostante le difficoltà e l’assoluta mancanza di sostegno di interventi pubblici, i librai indipendenti, da anni, si stanno distinguendo per spirito di iniziativa e capacità di coinvolgimento dei loro utenti riscuotendo spesso la complicità di autori e editori.

C’è poi la questione degli autori. E qui il giudizio sulla fiera raggiunge a stento la sufficienza. Non perché gli editori presenti non pubblichino libri interessanti e di valore, spesso sostenuti da ottime traduzioni. Ma perché i nomi da incontrare sono troppo pochi. Non parliamo certamente delle celebrità televisive che ovviamente pubblicano quasi esclusivamente con i grandi editori commerciali, ma parliamo dei tanti autori che i piccoli editori non hanno la forza economica per invitare e, in mancanza di qualche sostegno, sono costretti a farne a meno. Ecco allora che l’occasione culturale potenzialmente costituita dalla fiera, si indebolisce per lasciare spazio solo alle “bancarelle”. È pur qualcosa ma non basta.

A questo punto viene la domanda sul format della fiera che sempre di più sembra essere diventata una piccola fiera invece che una fiera di piccoli editori. Una sorta di salone del libro di Torino di dimensioni più contenute. Ma questo non va bene perché si nega nei fatti quello che a parole si vorrebbe promuovere. La responsabilità è da individuarsi nelle scelte di politica culturale che governo e enti locali compiono nei confronti di questo settore produttivo che non è sostenuto in alcun modo. Ma c’è anche un problema storico di approccio a questa realtà da parte degli organizzatori.

Quando costoro si domandano a cosa possa servire la piccola editoria di qualità, essi rispondono puntualmente che serve a far crescere i grandi editori perché la piccola editoria è in grado di individuare talenti che i grandi non vedono. Dopo quattordici anni la situazione purtroppo non è cambiata. Nella comunicazione istituzionale della fiera gli editori presenti vengono definiti piccoli “ma” agguerriti, competenti e dinamici. Ebbene c’è un errore: al posto di quel “ma” ci doveva essere scritto “e”; una congiunzione positiva e non una avversativa.  È vero che, in altri momenti, gli stessi organizzatori affermano che la manifestazione vorrebbe essere un “incubatore” per i piccoli editori. Ma un “piccolo” cresce bene solo se ha la possibilità di un destino autonomo.

La questione dell’approccio è il vero punto debole di tutta la faccenda. In un momento che vede il mondo editoriale schiacciato da pochissimi gruppi sempre più grandi e sempre più aggressivi, come dimostra la vicenda Mondazzoli, solo la piccola editoria artigianale e di qualità ci potrà salvare.

L’ultimo rapporto Censis uscito in questi giorni afferma che “la ripresa passa dai piccoli gruppi”. Speriamo che anche chi ha responsabilità nei confronti del mondo editoriale se ne faccia una ragione.

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