La delusione di un fan
Lo sbadiglio della Forza
La nuova puntata della saga iniziata nel 1977 è lunga e noiosa: ripete i vecchi schemi senza fantasia e senza adattare storia e personaggi al mondo di oggi. Il conflitto planetario ormai è solo un videogioco, altro che Star Wars!
Sarà che al cinema, a teatro, persino a tavola bisognerebbe sempre sedersi con l’umore giusto. E mica è facile scacciare il malumore. Un Natale precario e inquinato da targhe pari e dispari. I bambini dei migranti che continuano ad annegare nell’Egeo, cinque o sei al giorno, battezzati ormai solo da numeri che non muovono sdegno o pietà. Il faccione ridente di Renzi che un giorno sì un giorno no ci spiega che tutto va per il meglio. L’Europa che sa inseguire solo indici e cifre, come la finanza che ci spossessa di futuro, come le banche che continuano a rapinarci, come i partiti del sempre contro che avanzano inutili e minacciosi. E così via, persino il Papa che fa flop col suo Giubileo della pace e la sua lotta contro i vescovi reazionari e corrotti nel nome di un Cristo da vivere qui in terra.
Sarà che sono mesi che covavo l’attesa insieme a mia figlia, 30 anni, che la saga di Star Wars l’ha adottata più tardi e recuperata a ritroso, ma con i manifesti ci ha tappezzato casa e ha battezzato col nome di Chewbacca il suo gatto. Sarà che in sala, un sabato alle 19, ho trovato solo quattro gatti. Sarà che m’ero illuso: se c’è riuscito Dumas a rimettere in scena i suoi moschettieri Vent’anni dopo…
E invece, anche a far doverosa tara di questo bagaglio di malcontento e speranze, il settimo episodio di Guerre Stellari che esce a 37 anni dalla prima puntata mi è sembrato davvero un’occasione sprecata: un polpettone lungo, inutile senza alcun sussulto di fantasia. Per le ragioni che qui provo ad elencare. La prima è l’ingresso in scena come mente produttiva della Disney che ormai, tradendo lo spirito e il gusto del suo fondatore, è diventata una corporation acchiappa tutto che si impadronisce di macchine d’immaginario inventate e messe in pista da talentuosi outsider creativi e ne annacqua ogni guizzo per errati calcoli di marketing planetario. È successo con la Pixar, sta succedendo anche con l’epopea galattica di Lucas di cui la Disney ha rilevato la conduzione e i diritti. L’errore più vistoso è stato il tentativo di sottrarre questa rivisitazione all’usura del tempo lavorando solo in superficie, limitandosi cioè a richiamare alla ribalta gli eroi delle prime puntate di Star Wars. E a mostrarceli con le rughe e le trasformazioni impietose dell’età per poi assegnar loro le stesse parti che avevano all’epoca.
Riecco il comandante Han Solo, un Harrison Ford più avvizzito ma sempre vispo, che semina truffe in ogni pianeta, perde e ritrova la sua astronave da rottamare, spara e combatte con la stessa foga di prima. Unico tallone d’Achille il rimpianto di una paternità malgestita. Riecco Leia, una Carrie Fisher meno smorfiosa del solito per via di un lifting malriuscito che le increspa il sorriso in un ghigno da nonnina. L’hanno retrocessa da regina a comandante delle truppe della resistenza che ora si è votata alla repubblica. Riecco Chewbacca, l’unico che per via dell’ammasso di peli riesce a nascondere gli acciacchi. Riecco Luke, l’ultimo Jedi, cui il copione riserva solo una apparizione in posa che prepara il film successivo. Non sarebbe stato male offrire a questi personaggi sfumature e avventure nuove, calibrate su caratteri inevitabilmente mutati. Magari prendendo ad esempio Sean Connery che in un bellissimo sequel di tanti anni fa impersonava un Robin Hood ormai sessantenne costretto a tornare in pista scricchiolante e imbolsito. Qui invece i divi li hanno usati solo come specchietti delle allodole per i fans d’una volta. E per rassicurare questa platea di tifosi quelli della Disney hanno pensato bene di ripetere anche il copione classico di altre puntate precedenti: l’impero che si ripresenta con la solita mega-astronave apparentemente invincibile e la solita arma letale destinata a polverizzare come una bomba atomica ogni parvenza di ostilità. Una macchina infernale che però come quella precedente continua a perpetuare gli stessi difetti, offrire le stesse lacune difensive che la faranno implodere. Insomma la fine è già nota.
Ma 37 anni fa questo dividere l’universo i due blocchi aveva almeno un senso: la guerra fredda non era ancora finita, il muro di Berlino non era ancora caduto, e la minaccia di una guerra atomica era un incubo, datato, ma ancora in circolazione. E nei primi film della serie si rispecchiava un clima in qualche modo attuale: magari più le fughe verso gli universi new age e le piccole trasgressioni degli indiani metropolitani che non la cupezza degli anni di piombo. Ma insomma si sentivano vibrare gli ultimi sussulti di speranza di cambiare il mondo e renderlo più vivibile aggrappati alla filosofia buonista degli jedi, alla magia di una forza votata al bene senza compromessi se non qualche rinuncia monastica alle passioni e al sesso. E di fronte c’era una forza oscura degna di rispetto, impersonata da un cattivo, un controeroe a tutto tondo, travestito da automa come Darth Vader.
La settima puntata della Saga e il ciclo di sequel che prepara hanno invece rinunciato ad ogni sia pure vago confronto con l’epoca in corso. L’Impero non ha più un unico regista, ma si affida a una schiera di dittatorelli alla Hitler intercambiabili e senza appeal. Persino l’esercito non è più fatto di robot e di cloni, ma di uomini prelevati alle famiglie d’origine e rieducati alle armi con il lavaggio del cervello. Il risultato non cambia: questi soldati in corazza di plastica bianca e visiera abbassata continuano a sparare malissimo, a farsi sorprendere e impallinare. E infine anche il cattivo dotato di superpoteri è ormai solo una caricatura. Un figlio degenere, passato alla sponda opposta che per essere più credibile usa gli stessi abiti di scena di Darth Vader, e calza sul viso, senza averne alcun bisogno la maschera di Darth Vader. Una pessima controfigura e un pessimo spadaccino che avrebbe bisogno di intense lezioni di scherma al laser, esposto inesorabilmente a soccombere. Poco credibile anche quando con ultimo guizzo di malvagità ci riserva l’unica variante non a lieto fine del copione. Altro che lato oscuro della forza. Quando per un attimo il sosia si toglie la maschera, appare il volto imberbe e inespressivo di un capellone foruncoloso. E capisci subito – in sala c’è anche chi ride – che un ragazzone così non potrà andar lontano.
Non parla certo alle generazioni più giovani questo remake a scoppio ritardato, cui offre tra tanti anonimi figuranti solo due modelli a loro modo positivi. Il primo è quello della ragazza che recupera e ricicla rifiuti di remote battaglie: orfana dei genitori, addestrata alla lotta libera, un passato di ricordi e incubi rimossi che tornerà utile per le prossime puntate e spiega perché sa combattere così bene anche con la spada al laser. Il secondo è quello di un nero, che si ribella agli ordini dell’impero, cuore tenero e sentimenti confusi racchiusi in un faccione tondo e inespressivo. Un uomo di colore e una donna guerriera: chissà magari nelle intenzioni due omaggi, due vaghe citazioni camuffate e indirette, all’era declinante di Barack Obama. Ma sono solo pallidi e inconsistenti rimandi. Della realtà di questo 2015 in cui la premiata compagnia di Star Wars ha scelto di fare ritorno non c’è traccia nella pellicola. Per non turbar le coscienze neanche un accenno al terrorismo del Califfato islamico, all’ondata delle migrazioni, allo strapotere della finanza, alla crisi della politica. Rinunce a priori che pesano e impoveriscono il copione.