Dopo l'accordo di Cop21
Il clima sta cambiando?
195 Paesi si sono impegnati ad abbattere i consumi di combustibili fossili dal 2020 e ad azzerarli dal 2050. Basterà? Dipende da chi vincerà le prossime elezioni americane
Non è un buon accordo ma è un accordo. Così si potrebbe riassumere il risultato della 21.ma Conferenza delle Parti, la riunione annuale dei paesi che partecipano alla convenzione ONU sul cambiamento climatico. Il vero successo di questa conferenza di Parigi è quello di aver messo d’accordo, per la prima volta, 195 paesi, in pratica tutto il mondo, sulla necessità di impegnarsi a combattere il riscaldamento del pianeta dovuto alle emissioni di gas serra. In particolare tutte le grandi potenze economiche – Cina, Stati Uniti, Unione Europea, India – hanno firmato, a differenza di quanto successe a Kyoto e a Copenaghen.
La svolta si è avuta sicuramente un anno fa al vertice di Pechino, quando Obama e Xi Jinping sottoscrissero un impegno comune a ridurre le emissioni di CO2. Fino ad allora, la Cina non aveva mai accettato di mettere in discussione il suo sviluppo economico, basato essenzialmente sulla produzione di energia con il carbone, di fronte a un Occidente che ha fatto un uso smodato per circa due secoli di risorse fossili come petrolio, carbone e gas. Il summit di Pechino ha segnato il mutato atteggiamento cinese verso l’impiego di combustibili fossili, dovuto alla consapevolezza che l’inquinamento dell’aria sul proprio territorio e soprattutto nelle grandi città, comporta un prezzo da pagare troppo elevato per la salute dei suoi cittadini.
La lotta al cambiamento climatico era diventata un interesse della Cina e non più una concessione ad altri paesi industriali.
L’altra grande potenza orientale, per ora soprattutto demografica, l’India, ha fatto opposizione fino agli ultimi giorni nelle discussioni di Parigi, perché ha ancora bisogno di incrementare notevolmente la produzione di energia per favorire lo sviluppo economico. Per fare questo deve aumentare l’uso del carbone, la fonte energetica più a buon mercato, e solo con grossi finanziamenti da parte dei paesi più ricchi è disposta a passare alle energie rinnovabili.
Vediamo quali sono i punti fondamentali dell’accordo di Parigi.
1) Il patto entrerà in vigore nel 2020 e prevede che il riscaldamento del pianeta sia mantenuto al di sotto di 2 gradi, rispetto all’era pre-industriale, e possibilmente entro 1,5°.
2) Entro il 2050 tutti i paesi si impegnano ad abbandonare l’uso dei combustibili fossili e a produrre tutta l’energia necessaria all’economia, ai trasporti e quant’altro solo da fonti rinnovabili. Questo significherebbe che tra il 2050 e il 2100 si dovrebbe ottenere il bilancio zero emissioni, ovvero l’assorbimento di tutte le emissioni di anidride carbonica di origine umana da parte delle zone verdi del pianeta.
3) Ogni cinque anni tutte le 195 parti si ritroveranno intorno a un tavolo per valutare gli obiettivi raggiunti nella riduzione di emissioni e, possibilmente, fissarne nuovi e più ambiziosi.
4) Dal 2020 i paesi più ricchi daranno 100 miliardi di dollari all’anno ai paesi in via di sviluppo per sostenerne la transizione verso un’economia libera dai combustibili fossili e fronteggiare gli effetti catastrofici del cambiamento climatico, come inondazioni, desertificazione ecc.
Questi i punti salienti di Parigi: a ben guardare, una bella manifestazione di buona volontà, una presa di coscienza da parte di tutti della necessità di fare qualcosa per fermare il riscaldamento del pianeta e i disastri conseguenti….
Quello che manca è ciò che rende un accordo realmente vincolante e cioè un sistema di controlli e quindi di sanzioni per chi non rispetta gli impegni!
Non dimentichiamo che gli Stati Uniti – che con l’amministrazione Obama sono stati i più attivi nell’accordo parigino – furono quelli stracciarono il protocollo di Kyoto, pochi mesi dopo averlo sottoscritto, con l’elezione di Bush. D’altra parte, proprio la delegazione americana a Parigi da una parte ha spinto per giungere a un accordo e dall’altra ha dovuto smussare alcuni punti troppo impegnativi, per evitare di sottoporre l’accordo stesso all’approvazione del parlamento, a maggioranza repubblicana.
Il partito repubblicano americano riceve notevoli finanziamenti dalle lobby dei combustibili fossili e tutti i candidati alla corsa per la Casa Bianca del prossimo anno sono contrari a qualsiasi impegno sulla riduzione delle emissioni. Insomma, se il prossimo presidente statunitense fosse un repubblicano, si potrebbe ripetere la storia di Kyoto.
Più stabile appare la posizione della Cina: il suo governo ha imboccato decisamente la strada della lotta al riscaldamento del pianeta, per i motivi che abbiamo visto, e difficilmente cambierà rotta. Potrà essere una buona guida per i paesi in via di sviluppo in questo lungo percorso per salvare il pianeta.
Quello che è sempre più evidente è che nelle popolazioni di tutto il mondo si va sempre più diffondendo una coscienza per l’ambiente e una preoccupazione per il futuro della Terra. Lo scioglimento dei ghiacci, gli eventi meteorologici catastrofici, gli allarmi per l’inquinamento insostenibile nelle città, ma soprattutto la voce dei popoli della terra ha costretto 195 governi, alcuni anche in guerra fra loro, a raggiungere un accordo.
Un piccolo passo.
Forse il clima sta cambiando.