Roberto Mussapi
Every beat of my heart, la poesia

Una creatura ai confini dell’Io

Giuseppe Conte, che compie 70 anni, uno degli innovatori del pensiero poetico italiano, ha ridato cittadinanza al Mito quando altri lo irridevano. E quel messaggero che lo attende sulla porta di casa è parte inarrivabile di noi...

Quando uscì Dialogo del poeta e del messaggero lo lessi senza fiato, commosso dalla prima parola all’ultima. Me ne procurai subito un’altra copia, e chiesi a Giuseppe di dedicarla ai miei genitori, a cui la donai. Non sono letterati, anche se mio padre mi leggeva con passione e accanimento. Quello fu l’unico libro di poesia non mio che regalai a mio padre e mia madre, con la dedica e la firma dell’autore. Non sbagliavo, fu compreso e amato. È per me il più bello dei non pochi libri importanti del poeta Giuseppe Conte. Meno celebrato di quelli che lo portarono velocemente alla luce, L’Oceano e il ragazzo, Le stagioni, libri importanti, per l’autore e per la poesia italiana che con pochi altri stava rigenerando. Oggi esce raccolto negli Oscar Mondadori, mentre Conte, come Maurizio Cucchi, che abbiamo qui onorato, compie settant’anni: siamo tra quei cinque o sei che hanno cambiato il pensiero poetico, non solo la poesia, tra gli anni Settanta e Ottanta. Conte poi ha introdotto nuove visioni e modalità di pensiero, come il recupero del mito, il desiderio di Bellezza, con l’introduzione del demone nella poesia e nella vita.

Ermes, il messaggero degli dei greci, disperatamente impossibilitato a spostarsi dal suo compito, l’Angelo Custode cristiano, gli esseri demonici del mondo bizantino e quelli angelici che vivono tra materia e spirito nella mistica islamica… Conte ha esperimentato questi messaggeri, buttando a mare una cultura dominante che rideva delle forze medianiche, dei messaggeri, che parlava di laboratori e programmi in poesia, come il dottor Mabuse e il dottor Jekyll. Ci sono tutti questi messaggeri, qui, in questo dialogo in cui lirica e poesia drammatica si fondono esemplarmente. Ma quella di Conte è una creatura nuova, inusitata, non un altro sé, come semplificherebbe un freudiano dogmatico. E nemmeno un vero angelo. Certo, una parte dell’anima del poeta, dell’uomo, è quella figura apparsa sulla porta di casa, sulla soglia, al confine dell’io e del cuore. È un altro, operò, giunto da non sappiamo dove, ed è parte inarrivabile di lui. Non ho ancora capito chi sia il messaggero, ineffabile e lampante come tutti i personaggi creati dall’autentica poesia. Ma oggi, aprendo l’Oscar intonso, il dito è entrato a pagina 145. L’inizio del libro che intendevo proporvi. E trascrivo per voi l’incontro con il messaggero, le sue prime parole.

 

giuseppe-conte

Il primo messaggero

Mi aspettava davanti a casa mia, sulla porta.

Alto, curvo, senz’ali, gli occhi socchiusi:

io lo vedevo per la prima volta,

 

ma lo pensai, che era lì per me.

Curvo come se avesse portato

sulle spalle smagrite un tronco

 

d’albero, come se venisse da troppo

lontano, il corpo di una sostanza

più simile alla cenere che alla carne.

 

Gli occhi socchiusi, quasi dentro una giovane

rosa bianca: una camicia sbottonata

al collo, una giacca impolverata

 

né dalla ghiaia né dagli aghi di pino,

i capelli radi e schiariti: “Giuseppe,

sei tornato” mi disse. Era appena

 

passato mezzogiorno, di primavera.

Il cielo urlava tanto aveva luce.

Posai la borsa dove cadeva l’edera

 

spumosa, ai piedi del muro,

di là degli oleandri e del susino.

Parlava a voce bassa, il messaggero.

 

COSA SALDA

La conosco, Giuseppe, la tua angoscia

di non essere sostanza, cosa salda.

La vedo nelle tue mani, incapaci

 

di afferrare, di avere presa,

nei tuoi occhi abitati da furiose

gioie e malinconie troppo veloci.

 

Vorresti sentirti vero, vivo

come è viva la pietra, come sono

vivi gli alberi, vive le onde

 

quando soffia il levante. Cercare

il sole come lo cerca il geco

la pioggia come l’erba, la zolla,

 

e il cielo come le gazze, folli

di voli verticali. Vorresti

per te la certezza della luce

 

che apre l’universo e si squaderna

in lui, l’istantanea, l’eterna

carne di Dio nella tua carne.

Giuseppe Conte

(Da Dialogo del poeta e del messaggero, 1992)

 

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