Every beat of my heart, la poesia
Un cuore lacerato
È tempo di affrancare Dario Bellezza dalla damnatio memoriae. E rileggere il suo canto intriso di tormento e estasi, di trascendenza, di verità. Sulle orme di Catullo e di Baudelaire…
Dario Bellezza, nato nel 1944 a Roma, dove visse sempre, morendo ancor giovane di Aids nel 1996, è un caso su cui dobbiamo fermarci, e intervenire. È un poeta di importanza assoluta, di quella generazione che, come spesso qui ripeto, ha salvato e rifondato la poesia in Italia negli anni Settanta e Ottanta. Bellezza ottiene subito notorietà, favorita dalla benedizione di Pasolini, che lo presenta come voce fondamentale. Non sbaglia. Il risultato è arma a doppio taglio, da un lato mette in primo piano Bellezza sulla scena poetica italiana, dall’altro suscita in alcuni il sospetto che egli sia una sorta di filiazione del suo prestigioso mentore. Non è così: Bellezza, che non ha la statura intellettuale indiscutibile di Pasolini, artista e pensatore a tutto campo, testimone straordinario, è, come autore di versi, anche superiore al suo maestro. Nella dimensione pura della poesia Bellezza è potentemente lirico assoluto, frutto di Catullo e Baudelaire, di differenti e altissime disperazioni che generano poesia lancinante… Nessun indugio teorico simile a quelli del grande Pasolini, nessuna riflessione spesso cerebrale sul Partito comunista o la Chiesa cattolica… nessun dilungamento riflessivo nei versi. Solo vita, carnale e, in modo unico, trascendente.
La stessa omosessualità, ostentata, sofferta, straziante di Bellezza, da un lato ne incrementa una piccola mitologia, dall’altro ingenera il sospetto di una posa letteraria. È provocatorio, polemico, veste volentieri l’abito del maledetto. Perché, da grande attore, recita il vero, maledetto è per il travaglio della sua vita, e benedetto, insieme, per il dono della sua poesia, che svela un’anima buona, lacerata ma mirante alla bellezza. Sbagliava chi, davvero malignamente, disse: «Con un nome così non può durare». Quel nome invece era un segno, nomen est omen. Caparbio, sofferente, fragile. Non fragile il suo verso, tormento ed estasi che salgono verso il cielo, sporcati e intrisi di vero sangue.
Accettò e recitò onestamente la sua vita come scandalo, laddove non vi fu, nel profondo, scandalo. Dario fu umile e obbediente al fuoco della poesia, si sottomise al suo compito. Fece, dal travaglio, bellezza. Franta, addolorata, quella che ci insegna Baudelaire, quella dura e aspra con cui fare i conti. Scandalo è invece il fatto che da tempo sia obliato, e a questo i poeti (come chi scrive) che lo hanno conosciuto e apprezzato e gli sono stati amici, gli intellettuali, l’editoria, devono e possono rimediare. Non facciamo i catastrofisti. Una quindicina di anni di silenzio. Poi lo rileggi e torna presto sulla scena del dramma e dell’anima. Ne sono così convinto che non aggiungo una parola di commento alla poesia che state per leggere. Parla da sola. Non la commento, la rileggo.
Lacrima amoris
Come si fa a resistere alle lacrime?
Sono radioattive ormai come il cuore
dopo Chernobyl: oggi non piange più nessuno:
neppure i morti sono pianti, anche se la Signora
Eccelsa di nome Morte non piange. Ma io
alle lacrime non so rinunciare, alle lacrime
piante per finta o per davvero condite
di perfidi pulviscoli non so rinunciare.
Le calde lacrime che su gote amate
scendono piano o silenziose
come una mano le scalda un’altra
le butta via. Lacrime leccate, invano
succhiate che resistono alla vita,
si spargono in lacrime purulente
come lacrime venute a pioggia
da un mondo lontano e infetto.
Si piange, e chi piange nell’attesa
non può vincere il pianto. L’Intrattabile
è morto: radiazioni illacrimate
lo spensero nel diluvio della pioggia:
io non piango un pianto contaminato,
né posso raccogliere il tuo pianto
radioattivo che scende, sì, gote amate
ormai avvelenate, baciate su dita
aride e consunte, contate avido
di essere vicino alla contaminazione
finale, o Chernobvyl di morte
più mortale di un cuore desolato
e assente.
Dario Bellezza