Danilo Maestosi
Alla galleria Puls arte puls di Roma

Mutazioni d’arte

Franco Ferrari, Giovanbattista Cuocolo e Stefania Lubrani sono i protagonisti di una bella mostra a tema dedicata all'analisi dell'«Essere in mutazione»

Il mondo cambia a velocità vertiginosa. E cambia anche noi con la stessa accelerazione. Il timore è che ci stia imponendo una mutazione irreversibile, recidendo il filo che governa la condizione umana e lega ognuno di noi alla sua essenza più profonda. La speranza è che l’arte, che vive la stessa ansia di spaesamento ma è più attrezzata per vocazione a muoversi dentro e fuori gli abissi della razionalità e dell’emozione, possa indicarci una via di fuga e di riscatto. O almeno di riflessione. È in questo vortice stimolante di dubbi, profezie, agnizioni che ci precipita la mostra L’essere in mutazione, curata da Ida Mitrano e Rita Pedonesi, in scena fino al 23 novembre negli spazi del centro culturale «Puls arte puls» in viale Mazzini 1. Lo stesso titolo incornicia e mette a raffronto i lavori recenti di tre pittori di rango, molto diversi tra loro ma accomunati da un’analoga tensione di ricerca e dall’adesione a un sodalizio, L’«Associazione In Tempo», fondata da Ennio Calabria, per trovare e offrire nuove misure, nuovi strumenti di comunicazione, nuovi orizzonti all’umanità afasica e in crisi di questo inizio di Terzo millennio. Ad ognuno di questi artisti è possibile associare come bussola e chiave di lettura un colore dominante.

Franco ferrariQuello di Franco Ferrari è un blu intenso (nella foto accanto), luminoso e avvolgente alla Yves Klein, che fa da fondale e imprime ad ogni scena la ritualità di un affaccio su un altrove enigmatico, racchiuso. Magnetico come un palcoscenico che ti si spalanca davanti appena si alza il sipario. Una sorta di schermo, delimitato da bordature di rosso, bianco, nero, che a volte appare immobile come un monitor acceso, un computer o una tv  in funzione, a volte si prolunga e si dilata verso il basso o verso l’altro a suggerire altri spazi di vertigine. Su questo specchio danzano come fantasmi corpi o teste di figure bendate, mummie inquietanti fasciate di veli, bossoli di farfalle, ectoplasmi che stanno prendendo o sfilacciando forma. E poi ombre, segnate da campiture nere senza sfumature, che estendono il volume dei corpi, lo rimodellano in contrappunti di paesaggi, nuvole, manti dispiegati. Teatrini di gesti sospesi, apparizioni che inchiodano lo sguardo nell’incertezza dell’attesa. Cosa succederà? La trasfigurazione di una mutazione in arrivo o la lenta dissoluzione della morte? La dimensione del mistero è come la vita umana un copione tessuto solo di infinite domande senza risposta.

Giovanbattista cuocoloLe tonalità che raccontano la pittura più astratta di Giovanbattista Cuocolo (nella foto accanto) emergono invece dal chiarore gessoso e sfarinato di tinte e trasparenze più chiare, da cui nascono le forme che si imprimono con maggiore evidenza nello sguardo. Una fantasia cromatica di bianchi, gialli, rosa, arancioni che insegue le infinite metamorfosi di un cosmo, catturato nelle varie fasi di un ininterrotto bing bang .L’attimo della creazione, della trasformazione che prende corpo sulla tela come la traiettoria di un volo d’uccello. Il segno come coreografia dell’invisibile.

Il colore che impregna i lavori di Stefania Lubrani è invece il nero (nella foto accanto al titolo). Sia le sue sculture che le sue tele disegnate a china con fitti intrecci di segni, sono opere al nero, processi da alchimista antico che coglie la trasmutazione non come il transito verso una dimensione eterea e immateriale ma come il transito da un corpo ad un altro, da un’anatomia all’altra . L’uomo che si ridesta dal suo letargo e si ritrova insetto, uno scarafaggio come il Gregor Samsa di Kafka. Anche il guardarsi dentro, il dare voce ai propri incubi notturni è per questa artista e poetessa visionaria una sorta di barocca immersione in un immaginario di zoologia fantastica, popolato di bruchi, arti chelatinosi, sensori filamentosi.

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