Al Vascello di Roma
Laika e San Pietro
Ascanio Celestini porta a teatro la cagnetta morta nello spazio, ma ne fa una sorta di Gesù "laico". Inseguendo la sua vena consolidata di raccontatore surreale
Ascanio Celestini è un cantastorie surreale, un narratore che evoca immagini in modo poetico, talvolta con acuminata ironia. Il suo lavoro più recente, messo in scena in questi giorni a Roma, nel Teatro Vascello, porta il titolo di Laika: la cagnetta spedita nello spazio dai russi nel ’59 che non fece più ritorno. Ma laica è anche la presa di posizione dell’autore che va oltre la religione: è l’auspicio illusorio di spogliarsi dai pregiudizi per riuscire a cogliere la vera essenza delle cose.
Infatti il palco (nella rappresentazione, un monolocale di periferia) è praticamente vuoto: una tenda rossa, lampade accese ai lati e cassette della frutta accantonate alla buona. Su una di queste siede Pietro (Gianluca Casadei) che con la fisarmonica suona in sottofondo motivi popolari accompagnando i monologhi del protagonista; resterà sempre muto, la voce registrata della giovane Alba Rohrwacher (in realtà la voce di Pietro), con accento romano, interverrà poche volte rivelando ciò che vede e sente per strada, al di fuori dell’appartamento. Al centro della scena un povero cristo pazzo, finto cieco che si ubriaca di Sambuca, che indossa una maglietta rossa e un lungo cappotto stropicciato. Costui è osservatore del mondo; un Gesù contemporaneo che ritorna in terra. Nel suo delirio racconta ciò che vede attraverso storie tragicamente comuni che si intrecceranno in un unico finale: un barbone negro che dorme davanti a un supermercato, si lava a una fontanella e piscia dietro i bidoni della monnezza; una vecchia che ogni giorno gli lascia qualche moneta mentre dorme; un facchino che sposta scatole undici ore al giorno; una donna con la testa “impicciata”, impazzita per la perdita del figlio in un incidente; una puttana che da piccola voleva diventare suora e ora brucia copertoni per scaldarsi.
La cecità fittizia del protagonista diventa sempre più rivelatrice nel corso del racconto. Come nel famoso romanzo di Saramago l’amara meditazione è sulla mancanza di solidarietà dell’essere umano verso gli altri, l’indifferenza che ci rende cinici spettatori del degrado etico –sociale. La metafora della cecità è spesso ripresa in letteratura: penso al personaggio di Eugenia nel racconto Un paio d’occhiali di Anna Maria Ortese: la bambina vede ciò che la circonda in modo sfocato, indefinito, finchè la zia le comprerà gli occhiali da vista tanto desiderati ed è solo indossandoli che si renderà conto della miseria che la circonda sbriciolando la purezza della sua ingenuità di fanciulla.
Celestini affronta tematiche riprese spesso nei suoi spettacoli: la religione come potere che annega la spiritualità; il capitalismo che ha ridotto l’uomo a una macchina, a un individuo abbrutito da lavori estenuanti fino alla rovinosa guerra hobbesiana di tutti contro tutti. Drammaticamente suggestiva è l’immagine della prostituta che brucia copertoni fino a diventare lei stessa un copertone bruciato da altre prostitute.
Gesù era e resterà un rivoluzionario, ucciso da chi comanda ma come il cane Laika non potrà ritornare in vita. È la consapevolezza a dover risorgere: la ricerca e quindi l’affermazione dell’immortalità dei valori morali. E’ solo con la disobbedienza al sistema, attraverso una rivoluzione senza armi, che si può sopprimere lo sfruttamento atavico delle masse.
C’è uno slittamento della volta celeste, non vedi Pietro? ripete il protagonista fino alla fine, insistente come una cantilena; il cielo e quindi tutto ciò che non è razionalmente spiegabile, si avvicinano sempre più alla terra fino a fondersi nella sola cosa vera che è la realtà: questo è il messaggio salvifico che niente ha a che vedere con la preghiera o la speranza cristiane. E’ l’indignazione, silente da qualche parte dentro di noi, che deve emergere nella sua pienezza restituendo dignità all’individuo.