Alla Galleria nazionale d'arte moderna
La pittura contro
Roma rende omaggio a un maestro dell'arte irregolare: Pablo Echaurren. Il segno della pace, la falce e martello, i simboli del I Ching: un artista eccentrico ma sempre libero
Artista eccentrico, a volte ondivago, curioso di sempre nuove esperienze, Pablo Echaurren ha conquistato ampi traguardi di successo. Eppure non ha mai rinunciato a cercare il nuovo, a sperimentare incontri, a impegnarsi. A protestare, certo: come quando per anni abbandonò i pennelli per buttarsi nelle generose e folli imprese degli indiani metropolitani, di Lotta continua, del movimento. Non era il tempo di cesellare quadri. Carte raccolte poi in casse e lasciate a dormire per anni, mentre i pennelli venivano ripresi, come la strada delle sperimentazioni artistiche. Questo anche certifica la mostra che gli ha dedicato la Galleria nazionale d’arte moderna, Contropittura. Sarebbe forse stato meglio dire “Pittura contro”: lo testimoniano le carte dell’epoca, le fanzine, i volantini, le pagine di giornale. Ma anche i quadri recenti, che strappano dai muri di periferia i loro linguaggi forti e spicci, e li traducono con uno sguardo colto e raffinato in segni energici e efficaci.
Il segno della pace, la falce e martello, i simboli del I Ching, I teschietti che formano lettere e segni, le scritture una sull’altra ormai cancellate di senso ma vitali, forti. L’ombra delicata dei fiori disegnata a matita e la tavolozza di colori ricavati da petali e foglie strofinati sulla carta, quasi acquarelli.
Registri diversi, nessuno scontato, nessuna tentazione di quiete. Chi non ha in testa le copertine a quadretti separati del Pane e le rose, collana anni ’70 di Samonà e Savelli, quella di Porci con le ali prima di tutte? Non era solo illustrazione, come testimonia la rassegna di quadri esposti alla Gnam, alcuni in collaborazione con il suo maestro, Gianfranco Baruchello. Era uno stile, una cifra precisa, pronta ad essere superata e trasformata. Passando per il futurismo, il dada, il pop.
Non è scontata la curiosità per la street art, implicita ma ovvia soprattutto negli ultimi anni. Non è scontato neppure l’incontro fecondo con il Maam, il Museo dell’altro e dell’altrove inventato da Giorgio De Finis che ha trasformato l’ex Fiorucci, – fabbrica di salumi sulla Prenestina, occupata da un gruppo eterogeneo di senza casa, molti i bambini – in un singolare catalogo in progress del meglio dell’avanguardia di strada e di accademia.
È questo che mi piace, la capacità di mettersi in gioco. L’ho conosciuto giovanissimo, compagno di una mia amica di scuola – allora non era Pablo ma Paino, che a Roma significa acchittato, vestito bene, e invece no, vestiva male come tutti noi – e l’ho poi seguito da lontano nel suo lavoro. O meglio, le nostre vite hanno seguito strade separate ma parallele. L’impegno, il movimento e gli anni della speranza, il riflusso, ancora qualche fiammata, i tempi deprimenti del berlusconismo e quelli diversamente deprimenti di oggi. Mai arresi, mai rassegnati, sempre alla ricerca di una strada che porti fuori dal guado. come i suoi quadri. Come la scelta del titolo per la sua mostra, “contro”, nonostante sia in realtà la consacrazione in una delle istituzioni culturali più prestigiose d’Italia. Un grande onore, certo, ma senza rinnegare nulla, senza rinnegarsi. Ancora in inquieta ricerca.