Un romanzo pubblicato dal Saggiatore
Il caso Schumann
Filippo Tuena, perseguendo la sua ricerca sulla "biografia romanzata", ricostruisce il disagio di Robert Schumann e la sua consuetudine con le illusioni e la creatività (del Novecento)
Filippo Tuena è, nel panorama letterario italiano contemporaneo, uno scrittore atipico, che oltre a essere tra i migliori narratori degli ultimi dieci anni, prosegue e persegue una strada molto personale, lontano dalle mode e dai modi imperanti. La sua scrittura, se volessimo tentare una definizione non agevole, si propone – kafkianamente – come un «denudarsi davanti ai fantasmi», con una narrativa di genere biografico che s’interroga su figure storiche e su ciò che le loro assenze evocano in chi resta. Ma allo stesso tempo, sia che ripercorra la vicenda di una ricca e colta famiglia ebraica nella Parigi di inizio Novecento, destinata a restare vittima della Shoah, come nel notevole Le variazioni Reinach (Rizzoli, riedito quest’anno da Nutrimenti), sia che ricostruisca la spedizione fallimentare del capitano britannico Robert Falcon Scott verso il Polo Sud, come in Ultimo parallelo (Il Saggiatore), o tracci una galleria di ritratti di artisti, scrittori, generali e musicisti famosi, come in Stranieri alla terra (Nutrimenti), Tuena raccontando le vite degli altri riflette anche sui meccanismi stessi della scrittura, smontandoli e rimontandoli, e sul genere del romanzo più in generale.
In questo senso Memoriali sul caso Schumann, il suo ultimo titolo (Il Saggiatore, pagg. 252, euro 19) rappresenta l’apice di questa parabola e insieme un bilancio conclusivo. Qui, infatti, i fantasmi diventano reali, personaggi che si materializzano sulla scena allestita con perizia attorno alla follia del compositore Robert Schumann: diventano voci irridenti, persecutorie, dispettose, o evocazioni ora inquietanti ora rassicuranti, o spiritelli ispiratori di una musica, in particolare le misteriose Geistervariationen, ovvero Variazioni del fantasma, l’ultima opera originale composta da Schumann di cui ci sia rimasto spartito, a suo dire dettatagli dallo spettro di Schubert, che è anche il vero leitmotiv – e cuore di tenebra – del romanzo di Tuena.
Il libro prende avvio dall’evento che sconvolge la vita della famiglia di Schumann e delle persone che più gli sono vicino. Il 27 febbraio 1854, il compositore, da giorni in preda alle allucinazioni, eludendo la sorveglianza dei familiari fugge da casa sotto la pioggia, in pantofole e vestaglia, e si getta nelle acque fredde del Reno. Salvato miracolosamente, chiede di essere rinchiuso nel manicomio di Endenich, dove morirà pazzo, due anni e mezzo dopo, perseguitato da visioni spettrali e da voci che lo accusano di non essere l’autore della sua musica. In questo periodo a fargli visita occasionalmente sono i suoi due giovani amici e discepoli: il violinista Joseph Joachim e il compositore Johannes Brahms. Quest’ultimo solo un anno prima si era recato in casa Schumann, a Düsseldorf, per farsi conoscere, con una lettera di presentazione dello stesso Joachim. Il maestro era stato subito conquistato da quel bellissimo ventenne dal volto angelico, i lunghi capelli biondi e gli occhi azzurri, e dal talento prodigioso, che intuì geniale al primo ascolto di una sua sonata. Schumann lo appoggerà senza riserve, presentandolo come il musicista del futuro – allo stesso modo in cui aveva presentato anni prima Chopin – e lo avvierà a una carriera folgorante, smuovendo amicizie e conoscenze.
Brahms gli sarà riconoscente, omaggiando sempre il maestro, disseminando le sue opere di citazioni, frasi musicali, rimandi. Ma fece anche molto di più: quasi sostituendosi a Schumann, già durante la degenza in manicomio e anche dopo la sua morte, si prese cura dei figli, si occupò delle finanze familiari, e soprattutto amò la moglie, la bravissima pianista Clara Wieck, di una passione sfuggente, quasi certamente platonica, che legò entrambi fino alla morte, pur senza mai unirli. Più che una relazione fu, come lo stesso Brahms lo definì, un «fedele servizio», attraverso il quale, forse, l’allievo proseguiva il suo rapporto ambivalente con il maestro assente, ma in realtà sempre presente nella sua vita.
Su questo rapporto complesso tra Brahms e Schumann, Tuena costruisce un romanzo come un’affascinante masquerade: ricorrendo a una struttura polifonica, l’autore dà voce – usando diari, corrispondenze e monologhi – a sei testimoni del precipizio psichico nel quale scivolò Schumann negli ultimi anni di vita, ovvero l’amica di famiglia Rosalie Leser e la sua dama di compagnia Elise Junge, il violoncellista Christian Reimers, che condivideva la passione di Schumann per le sedute spiritiche, il figlio del compositore Ludwig, che ebbe la medesima sorte del padre, finendo internato nel lugubre manicomio di Colditz, lo stesso Brahms e la giovane Katarina (unico personaggio inventato in un romanzo che si prende poche ma significative licenze rispetto alla verità storica di ciò che racconta).
Tuena dimostra qui una notevole abilità nel maneggiare e usare i documenti, e nel riproporre qualcosa di completamente nuovo dalle fonti a cui attinge. Gli uomini e le donne che stanno attorno a Schumann cercano di indagare sulle cause di questa follia perturbante, e sulle proprie eventuali responsabilità (cosa si poteva fare per evitare la tragedia? Com’è stato possibile non accorgersene o sottovalutare i suoi sintomi?), e lo fanno a modo loro, ciascuno rinchiuso nella sua incapacità di comprendere una verità che sfugge, si nasconde, o molto probabilmente è perduta per sempre. È come un girare a vuoto, o attorno a un baratro senza volerci guardare dentro. Per questo gli sforzi di tutti i personaggi sono votati al fallimento. E non è un caso che tutti soffrano di qualche menomazione – affettiva, fisica, psichica – che li rende impotenti a trovare la soluzione dell’enigma. Il solo Brahms vi si avvicina, nel suo (bellissimo) memoriale senile, in cui si abbandona ai ricordi, e ai rimorsi, e scopre dentro se stesso le ragioni profonde di un rapporto speculare – simbiotico e vampiresco – con Schumann ripercorrendo la suggestiva genesi delle «Variazioni del fantasma» (pubblicate solo nel 1941 a Lipsia) attraverso una serie di colpi di scena avvincenti come un giallo.
Il romanzo si propone così come un ghost novel di fattura raffinatissima e di impressionante mimetismo, memore della tradizione gotica e della lezione di Henry James, che con la tecnica del punto di vista circoscritto certificò di fatto l’impossibilità di conoscere la realtà oggettiva, condannando i suoi personaggi (e i lettori e la narrativa del Novecento) a una definitiva frustrazione gnoseologica. A sottolineare – e condividere – questa impasse, Tuena rinuncia al narratore (ma anche alla maggior parte degli orpelli descrittivi della narrazione), si affida alla sottrazione e direttamente alle voci dei personaggi, si fa regista, medium, e, all’occorrenza, funambolo: si cala perfettamente – direi anche gioiosamente, nonostante la cupezza del tema trattato – nell’Ottocento degli ultimi bagliori romantici, ma in realtà guarda avanti, anche più avanti di molti colleghi scrittori che presumono di raccontare il presente, realizzando un libro che è un arguto divertissement e insieme una riflessione profonda sul mistero e la solitudine dell’artista, e più in generale sull’impossibilità di comprendere davvero l’altro, ma che è anche, e forse soprattutto, un impietoso requiem sul genere del romanzo.