Italia, 13 novembre 2015
I croissant di Aristotele
Quanto vale una vita ora? Cos'è diventato l'umano? E cosa lo separa dalla bestia, dall'ameba o dal niente? Decalogo personale per non cadere nel baratro dell'odio. O della nostalgia
Ci penso. Non riesco a pensare ad altro. Invidio chi vi riesca. Continuare la propria esistenza, non lasciarsi scalfire, non ne sono capace. Mi sento inghiottita. I confini si slabbrano. E sono ombre, gigantesche sopra le cose, ombre e fantasmi. Non voglio odiare. Mi stanno inducendo a farlo. Non voglio cadere nel pensiero persecutorio. Ma mi guardo le spalle per strada quando vedo due camion della polizia antisommossa attraversare via Ostiense mentre vado all’università. In metro fisso gli occhi. Quelle che ieri mi apparivano ordinarie oggi sono facce strane. Volti oscuri, minacciosi. Cerco le ferite negli occhi degli altri. Non può essere che una ferita troppo grande, una ferita non rimarginabile a condurti alla via del non ritorno. Una ferita aperta e insozzata da forme di educazione al massacro. E questo guardarli, i volti, le mani, le vesti, i colori, le distanze, le alterità, è esso stesso pericolo. Questo guardarsi intorno sospettosi rende ogni volto una minaccia.
Come guarderemo da oggi le alterità, le differenze, le culture altre? Un velo è già errore. La pelle scura una minaccia. Una lingua che non posso comprendere è segno d’allerta. Ma posso dirmi sicura che questo sentire non sia complice di quelle ferite?
All’università sono al sicuro. Mi rifugio nei libri, nell’antica consolazione della filosofia. Scopro con Foucault il coraggio della verità. La parresia politica che lascia il posto alla parresia etica, incarnata dalla figura di Socrate: il più sapiente tra gli uomini, difatti sapeva di non sapere e sottoponeva le altrui convinzioni alla prova del fuoco della verità (parresia). Lui sapeva interrogare e con ironia e maieutica era capace di cavar fuori dall’altro, persino dagli uomini di potere, quelle verità che lui vedeva nella parte più profonda di sé. Non era un insegnare quanto un interrogare sull’essenza delle cose, un lasciar venir fuori, in un processo aleteico, la verità intima sull’umano: nessuno sapeva. Forse per questo l’hanno condannato, la democrazia l’ha messo a morte con l’abilità sofistica della persuasione (avendo anche l’ardire di imputare a lui tale accusa). Così come adesso ci persuadono i mezzi di comunicazione di massa a credere alla loro verità. Non giudico, d’altronde non vi riesco, anch’io non so poi nulla (sui fatti, i volti, i nomi, i mandanti, quelli veri).
Vorrei non cadere ora nel dominio dell’insensata emotività, ciò da cui già Aristotele, nel IV secolo a. C., metteva in guardia. «La scelta è il principio d’azione, nel senso di “ciò a partire da cui” ha origine il movimento, e non nel senso di “ciò in vista di cui”, mentre il desiderio, e il ragionamento in vista di qualcosa sono i principi della scelta. Per questo non vi è scelta senza intelletto e pensiero, senza uno stato abituale del carattere, infatti l’agire bene e il suo contrario non si danno senza pensiero e senza carattere.» (Etica Nicomachea, Libro VI)
Senza pensiero non si dà deliberazione. Pulsioni, desideri, passioni, fantasmi (con Lacan), demoni (con Socrate), se non accompagnati dalla scelta, sono strumenti in mano altrui. Nella dinamica a catena guerra-terrorismo-terrorismo-guerra, i fantasmi e le pulsioni più basse delle popolazioni sono strumenti. L’odio diviene strumento così come la dinamica del terrore, vivere nella paura, nella paranoia, nella xenofobia.
Giorni fa leggevo un libro che dovremmo leggere tutti in questo momento di rabbia, sconforto e terrore: ISIS, il marketing dell’Apocalisse, di Bruno Ballardini, a pagina 58 c’è una frase, che è riportata anche in copertina ed è la chiave di lettura poi del libro, da sola già fa molto riflettere: «È la civiltà umana, privata della memoria e del senso, che sta divorando se stessa implodendo. Ma noi non siamo l’Occidente e l’ISIS non è l’Islam. Questo non è uno scontro tra culture ma una guerra di mercato fra chi riuscirà a imporre il proprio tipo di pensiero unico. Sia “Occidente” che “ISIS” sono due prodotti estremi del marketing dell’Apocalisse. Se non si fermerà la corsa verso la distruzione e si sostituiranno questi modelli, se non sapremo ribellarci a chi ha interesse a continuare la “guerra infinita”, quella dei mercati, allora sarà l’Apocalisse, quella vera.»
Aristotele aveva sancito la medietà della virtù rispetto agli estremi, per esempio la temperanza è il giusto mezzo tra insensibilità e intemperanza, la mitezza è medietà tra scioccheria e ira. Questa capacità di stare nel mezzo si sta perdendo nei due estremi che ora l’umano vive in una confusione contraddittoria. Una razionalità strumentale di tipo economico, che fa astrazione e prescinde da qualunque etica, da qualsivoglia campo emozionale (e dunque dall’umano stesso) da una parte, e dall’altra un’esplosione incontrollata (i social ne forniscono qualche esempio) di un’emotività primitiva e primordiale che accomuna l’uomo alla bestia. Di questi sentimenti primitivi (e di come possano essere strumentalizzati da quella razionalità economica) ho paura.
E penso al piano d’immanenza di Deleuze, che contiene già in sé tutti gli eventi, in misura potenziale li presuppone in quanto possibili, e contiene anche la loro reversibilità. «Proprio perché il piano di immanenza è prefilosofico e non opera già con concetti, esso implica una sorta di sperimentazione a tentoni e il suo tracciato ricorre a dei mezzi poco confessabili, poco razionali e ragionevoli: come il sogno, i processi patologici le esperienze esoteriche, l’ebrezza o gli eccessi. Si corre all’orizzonte, sul piano di immanenza; se ne fa ritorno con gli occhi arrossati, anche se sono gli occhi dello spirito.»
Mi guardo intorno, due innamorati si baciano, c’è odore di pizza e profluvio di gas d’auto, due camionette della polizia in tenuta antisommossa attraversano via Ostiense. L’altro giorno a San Giovanni l’esercito presidiava un’entrata della Metro.
Entro nell’edificio bianco, grande, moderno. Queste aule dai soffitti alti, senza finestre. Le biblioteche sempre piene e gli scaffali, l’odore antico della carta e del cuoio. Ricordo la Sorbonne, le aule grandi, Salle de Thèse, affreschi barocchi, i ricercatori intorno al tavolo ovale, i seminari di Michel Maffesoli in cui apprendevo quanto la modernità, il suo pensiero individualista e strumentale (umanista), economico, fosse al culmine, sostituito da valori altri, reticolari e tribali. E mi rivedo per le strade di Parigi, sola e inquieta, l’odore forte di croissant lungo Boulevard Saint-Germain, Boulevard Saint Michel, Rue Vallette, e penso a quanti abbiano attraversato quelle strade e a quanti di loro non potranno farlo mai più. E a quanti progetti in sospeso, quanta esistenza potenziale non passerà mai all’atto.
Sono a Roma Tre adesso, viva, integra, piena di pensieri che poi sono assolutamente inutili. Come me, come tutti noi che continuiamo indomiti a srotolare le nostre esistenze, senza che nulla si fermi, senza che il nostro piccolo e futile mondo sia scalfito dalla tragicità degli eventi. Voglio parlarne con i colleghi e con i prof. Aspetto in un’aula vuota l’inizio della lezione di Percorsi dell’Etica. Chiudo gli occhi. E se tutto questo in un lampo non ci fosse più?
Non mi interessa il sensazionalismo, la sensorialità del terrore, per quello basta aprire un quotidiano a caso o guardare un Tg. Quel che m’importa è il concetto. Il concetto di uomo, di umanità, che sia metro e cifra del tempo nostro.
Così la ragione abbandona la continuità del pensiero. Resta qualcosa di freddo. Senso d’impotenza, vuoto.