Un saggio sui linguaggi vecchi e nuovi
Dal teatro a Wapp
Ha ancora senso difendere il teatro di fronte all'enormità sociale di Youtube o Whatsapp? Forse sì. Perché solo nel rapporto tra scena e platea scorre un flusso vitale pieno
“Cinema è Teatro” sarà il titolo di un festival che si dovrebbe svolgere tra fine Settembre e inizio Ottobre 2016 a Salerno, promosso dal Cos-Consorzio Operatori dello Spettacolo al Teatro delle Arti con le sue varie sale e spazi, ma anche aprendosi alla città o al porto, oltre a guardare, almeno in futuro, a una sinergia con la Francia (Marsiglia), la Spagna (Barcellona) e il Marocco (Tangeri). Il progetto della manifestazione sta definendosi in questa fine d’anno, sotto la guida di Maurizio Scaparro. A questo scopo, il 23 e il 24 novembre scorsi, si sono tenuti due giorni di discussione sul rapporto tra le due arti cui hanno partecipato, oltre allo stesso Scaparro e a Claudio Tortora, direttore del Teatro delle Arti, tra gli altri Moreno Cerquetelli (giornalista Tg3 Rai), Alfonso Amendola (università di Salerno), Jean Antoine Gili (Festival cinema italiano di Annecy), Claudia Aronica (Centro studi cinema italiani Università di Barcellona) e Paolo Petroni, di cui riportiamo qui le riflessioni presentate al convegno.
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Morando Morandini, maestro e decano dei critici cinematografici scomparso da poco e cui mi piace rivolgere qui un pensiero, nel suo quaderno di riflessioni sul suo mestiere, Non sono che un critico, scriveva come settimo punto di un suo decalogo per chi volesse intraprendere la professione: «Il cinema è la sintesi, o la somma, di molte arti: va a teatro, leggi, va per mostre e concerti». Oggi è facile affermare anche il contrario, ovvero che non si potrebbe parlare di tanto teatro senza conoscere il cinema e frequentarlo.
I confini tra le arti, ammesso che siano esistiti almeno formalmente, sono saltati da tempo e sono anzi una caratteristica del contemporaneo, così tra le arti c’è ormai un’interazione forte, perché ognuna sfrutta anche l’altra. Il teatro ovviamente usa la musica ma anche il cinema, riferimento culturale iconografico ma anche portato direttamente in scena, magari solo come scenografia (ma una scenografia che serve ad ampliare il senso di quel che si vede e recita), l’arte figurativa ormai sempre più performativa o fatta di installazioni, la danza coi suoi ritmi e coralità, e persino il circo e certe abilità acrobatiche.
È passato del tempo da quando Massimo Bontempelli, su Novecento, all’ombra evidentemente dei manifesti futuristi, scriveva riflettendo anche sulla nascita del cinema: «Il teatro è una cosa finita, il teatro di prosa e credo anche quello d’opera, e sentir parlare di crisi del teatro mi fa lo stesso effetto che sentir parlare di “crisi dell’epica” o di “crisi dell’endecasillabo”. A dire che il teatro è una cosa finita non ci vuole dunque grande abilità. E nemmeno occorre una profetica chiaroveggenza per capire che la nuova forma di spettacolo nascerà dal Cinematografo e dal Teatro di Varietà e da certi elementi del circo equestre». Il suo intimo amico Luigi Pirandello, solo alcuni anni dopo, all’avvento del film sonoro invece definisce «cosa abnorme e bestiale… l’eresia – che si sente dire oggi – che il film parlante abolirà il teatro; che fra due o tre anni il teatro non ci sarà più; tutti i teatri così di prosa come di musica saranno chiusi perché tutto sarà cinematografia» e quindi sottolinea: «Non è il teatro che vuole diventare cinema, ma è lei, la cinematografia, che vuole diventare teatro», così che «come ogni copia, il cinema farà sempre nascere il desiderio dell’originale». E scrive anche che, «per il film parlato, serviranno gli attori che sanno usare la voce, quelli di teatro, e così i registi non potranno essere più quelli del muto, ma quelli di teatro».
Parole anche profetiche, oggi che sappiamo come un regista quale Strehler abbia vagheggiato per anni di fare un film, mentre da Luchino Visconti a Mario Martone tanti sono riusciti con esiti diversi a misurarsi con la macchina da presa, alcuni cominciando proprio col portare testi teatrali sullo schermo per poi sganciarsi e riuscire a lavorare direttamente con idee filmiche ed esemplare in questo senso è il percorso “cinematografico” di Maurizio Scaparro che, partito dal suo Don Chisciotte con Pino Micol di inizio anni ’80, è approdato a L’ultimo Pulcinella del 2008 che, ambientato nella Parigi delle banlieues, andrebbe rivisto in questi giorni tragici per capire il valore del teatro, del cinema, della cultura.
Non a caso uno come Laurence Olivier proclamava: «Se nel 1559 fosse esistito il cinema, Shakespeare sarebbe stato il più gran produttore di film del suo tempo. Si può dire che egli scrivesse sceneggiature», afferma a proposito di Enrico V, il cui «coro d’apertura quasi invita alla creazione del film» e testo in cui l’autore invita gli spettatori a usare la fantasia, conscio delle «limitazioni paralizzanti del palcoscenico». Del resto una delle differenze tra cinema e teatro è, direi, che il primo trascina lo spettatore dentro la propria fantasia, mentre l’opera di prosa lo aiuta a attivare la propria fantasia, a far interagire il testo col proprio mondo.
«In teatro il gesto precede e sostiene la parola – ha scritto Vittorio Gassman –. Al cinema è il contrario, sono le parole (o altri segni didascalici) a introdurre la comunicazione visiva». Ovvero «in teatro gesto e voce dell’attore sostituiscono ciò che lo spettatore non riesce a vedere negli occhi dell’interprete – secondo una notazione di Jean Cocteau – Il cinema invece, con l’attore sgravato del testo, è l’arte delle sfumature e permette all’attore una libertà interpretativa impensabile». Certo, è anche per questo, oltre che per sbirciare nei palchi vicini, che a teatro si portava il binocolo, e oggi, certe volte, si usa in scena un ampliamento cinematografico-televisivo, si proietta magari l’ingrandimento del volto dell’attore su uno schermo, in uno scambio tra le arti che è però puramente tecnico e riguarda il rapporto del teatro con appunto la tecnica e i nuovi media.
Il cinema fissa e rende ripetibile una testimonianza di vita; il teatro è vita, inafferrabile e irripetibile, e essendo sempre in divenire non è possibile fissarlo, anche se lui stesso è una maniera per mettere sotto controllo l’imprevedibilità ansiogena dell’esistenza, per dar forma e così addomesticare un’angoscia, usando il trucco della finzione che però arriva allo spettatore con una sua verità più forte della realtà. La riproduzione tecnologica della realtà, ha allora introdotto un nuovo confine, un nuovo confronto in cui il reale-virtuale del teatro si confronta col virtuale-virtuale del video o del cinema, come ha provato a sperimentare la breve stagione del video-teatro. Ricordiamoci, come insegna l’esperienza, che la scena teatrale, quando ingloba nuove tecniche o media, tende a sottolineare, a amplificare il fattore ‘dal vivo’, il rito e la compartecipazione tra palcoscenico e platea.
La verità è che negli ultimi anni, con sempre più evidenza, la contrapposizione tra reale e virtuale sta rapidamente perdendo senso. I nuovi media e le nuove tecnologie hanno una forza d’urto inarrestabile che modifica, sta modificando profondamente il modo di percepire delle nuove generazioni. Con l’arrivo in Italia di Netfix, ormai cinema, video, serie tv vengono guardate sul piccolo schermo di uno smartphone o, meglio, di un tablet, al massimo di una televisione. La scrittura, che pareva in via di estinzione, ha invece dimostrato una sua vitalità, ma modificandosi sempre più radicalmente, con l’uso di crasi, acronimi, abbreviazioni e simboli, sorta di moderni geroglifici quali sono gli emoticon, tanto che un gruppo di linguisti internazionale ha proprio nei giorni scorsi eletto “parola dell’anno” 2015, per la prima volta non un insieme di lettere, ma appunto un tondo giallo faccino che piange dal riedere.
Noi, legati alla nostra formazione, quando leggiamo notizie come questa, o altre ancor più discutibili, ci chiediamo ansiosamente dove andremo a finire, come faranno questi giovani a avere strumenti per capire se stessi e il mondo, quali radici conosceranno della propria storia e come. Io ho smesso di farlo, davanti a quel che vedo accadere attorno a me, a quel che ho vissuto negli ultimi due decenni o poco più. Il mondo sta cambiando, è cambiato a una velocità e in un modo assolutamente imprevedibile e nuovo: è diverso e corrisponde sempre meno ai nostri parametri, per cui ci sentiamo spaesati. Stanno profondamente cambiando i riferimenti culturali. Quindi è un mondo che non abbiamo, credo, gli strumenti per giudicare. Non possiamo dire che sia peggio o meglio del nostro, ma solo che è altra cosa e chissà cosa potrà essere di qui a 50 anni, cosà potrà accadere per accelerarlo e modificarlo ancor più sostanzialmente. È diverso, noi non lo riconosciamo in gran parte come nostro, non è detto che con diversi strumenti, diversi parametri culturali, un giorno non dimostri di essere, di riuscire a fare meglio del nostro. E non sembri una provocazione, perché accanto a questo, al dilagare della comunicazione visiva, di You tube e di WhatsApp (e quel che è accaduto nei giorni scorsi, con un allarme virale girato per mezza Italia tanto da richiedere un intervento WhatsApp, sino a oggi impensabile, del Presidente del Consiglio), accanto a tutto questo il teatro, con i suoi piccoli numeri, con le poche centinaia o migliaio di spettatori a sera, a confronto con i milioni di contatti di un video o un file sonoro, resiste perché appunto è uno dei pochi luoghi in cui ancora scorre la vita, è vita, è scambio tra persone vive, dal vivo, col fascino della sua virtualità, ovvero della sua finzione. Forse accadrà come col libro di carta e le librerie date per morte, sostituiti da E-book e dai grandi Media store, che dopo anni di crisi stanno invece riprendendo piede e proprio Amazon è diventato editore anche di carta e in Usa e Europa stanno rinascendo librerie indipendenti. Forse allora anche il teatro in futuro tornerà più necessario di quel che pensiamo, se vogliamo essere ottimisti. L’importante è, pensando a creare qualcosa che metta a confronto arti diverse, il teatro col cinema e i video, di non dimenticare tutto il resto, quel che sta accadendo e come si è arrivati a questo punto.