«La passione di essere nel mondo»
Contro l’Hotel Gramsci
Diego Fusaro ha scritto una biografia di Antonio Gramsci non solo ripercorrerne le idee e le avventure, ma soprattutto per riaffermare il primato della filosofia sul consumo
Antonio Gramsci, la passione di essere nel mondo (Feltrinelli, 2015, pp. 174, euro 14) di Diego Fusaro è un libro inattuale che, oltre a ripercorrere le tappe fondamentali della vita e delle opere, con particolare attenzione alle Lettere e ai Quaderni dal carcere, del pensatore comunista sardo, dispiega in modo coraggioso e dissidente la possibilità di ripensare criticamente il tempo presente a partire da una riattualizzazione della filosofia della praxis gramsciana che dal «pessimismo della ragione» conduca a un «ottimismo della volontà».
Il testo è suddiviso in undici capitoli che guidano, con un viaggio parallelo nel presente, nella filosofia e nella storia, un percorso attraverso un fil-rouge tra eredità e attualità del pensiero gramsciano. Parte con una triste e sarcastica constatazione. «Nel 2014 si è diffusa la notizia che, in piazza Carlo Emanuele, a Torino, sulle ceneri della casa in cui Antonio Gramsci abitò dal 1919 al 1921, fondando l’ “Ordine Nuovo” e gettando le basi del futuro Partito comunista, sarebbe dovuto sorgere un albergo di lusso. Dotato di ogni comfort, ostentatamente sfarzoso, dislocato su cinque piani, il nuovo albergo si sarebbe chiamato “Hotel Gramsci”». Con questo incipit Fusaro traccia le linee di quella che potrebbe essere definita la mistificazione capitalistica connessa con la reificazione di un pensiero, un uomo, uno scorcio di storia volutamente distorto, travisato, masticato e reimmesso sul mercato in modo da raffigurare un martire santificato piuttosto che un vero pensatore, con il tentativo, da parte di quell’ideologia dominante che si appropria della storia e la stravolge, di rendere inoffensivo il suo pensiero. A partire da questo paradosso, tutto interno alle contraddizioni del tempo presente, l’autore volge una critica all’odierna sinistra, che liquida i suoi eroi rendendoli icone o martiri ma obliando il portato del loro pensare e agire.
Fusaro definisce Gramsci il Marx italiano e nel corso del libro, citando alcune commoventi lettere, ricostruisce la sua biografia prima, durante e dopo il carcere. Dal difficile rapporto con la moglie Giulia, caduta in depressione, all’impegno per l’educazione dei figli cui Antonio Gramsci sembra tenere moltissimo tanto da scrivere loro delle fiabe attraverso alcune tra le più belle sue lettere, dall’impegno politico, al sospetto per il tradimento dei compagni. Ma non si tratta di un semplice saggio bio-bibliografico, perché l’impegno filosofico e pratico di Diego Fusaro, proprio seguendo quell’attitudine gramsciana alla praxis, è quello di partire dalla memoria per giungere al nostro presente.
Con riferimento all’epistola scritta alla madre il 10 maggio del 1928, entra nel vivo della personalità coraggiosa ed estremamente coerente del pensatore sardo che ha saputo mantenere quella coerenza, quell’impegno, quell’assoluta comprensione umana e impegnata anche nei momenti più bui della propria esistenza, in cui si sentì irretito in una doppia carcerazione: il carcere fisico e quello causato dalla distanza dagli affetti e dalla vita politica, ma anche dalla maturazione di un sospetto che a lungo lo tormenta. Ripercorre la vicenda della carcerazione, le motivazioni e i sospetti circa le responsabilità del PCI della sua mancata liberazione.
Affronta il cuore pulsante del pensiero gramsciano a partire dall’editoriale del 1917, pubblicato sul giornale La città futura, dal titolo Odio gli indifferenti, con il tema del rifiuto dell’indifferenza politica, inquadrata come grande responsabile degli eventi e in particolare di quel senso fatalistico per cui la realtà viene presentata come immutabile e dunque naturale.
Delinea il quadro del rapporto contraddittorio con Benedetto Croce e della stessa poi riappropriazione alquanto parziale e strumentale da parte di Croce del pensiero e degli scritti di Gramsci. Fusaro entra nel vivo della questione filosofica, trattando in primo luogo il tema della necessità per la filosofia di divenire pratica e quindi politica. A partire di qui si dipanano le questioni: dell’influenza della filosofia di Marx e di quella di Feuerbach sul pensiero di Antonio Gramsci, della distanza rispetto al liberalismo e al determinismo economicistico e della controversa questione dell’affrancamento del comunismo dalla sua malattia infantile, il fatalismo deterministico. Compie un’analisi di quel che per Gramsci significa, nel profondo, rivoluzione e in che modo si configura quel che definisce “il nuovo risorgimento”. Contrappone inoltre alla rivoluzione passiva risorgimentale, che non muta il corso della storia, il concetto di praxis che presuppone la rivoluzione culturale, prima, politica, poi, sempre a partire da un’elaborazione del senso comune, tema centrale nei Quaderni.
Inoltre, importante è ricordare il concetto di eguaglianza e parità, da un punto di vista pedagogico e gnoseologico, che Gramsci attribuiva all’essere umano: «“Ogni uomo infine, all’infuori della sua professione esplica una qualche attività intellettuale, è cioè un filosofo, un artista, un uomo di gusto, partecipa di una concezione del mondo, ha una consapevole linea di condotta morale, quindi contribuisce a sostenere o a modificare una concezione del mondo, cioè a suscitare nuovi modi di pensare”».
L’autore affronta la questione dell’autonomia del politico rispetto all’economico, della necessità dello Stato e ancor più della Nazione, in assenza della quale nessuna universalizzazione è possibile. È a partire da tali considerazioni che si apre l’ultimo capitolo: Ripartire da Gramsci, in cui emergono i temi più cari al pensiero di Diego Fusaro, il quale più che un libro biografico e apologetico, come ce ne sono tanti, intendeva, ed è perfettamente riuscito nell’intento, costruire un testo dalle cui basi partire per ripensare gramscianamente il presente. Ed ecco che giungiamo al sottotitolo: La passione di essere nel mondo. Contro l’uniformante edonismo degli «ultimi uomini» nietzscheianamente intesi, la necessità di riscoprire il valore culturale della propria comunità-Nazione, riconferire potenza alla Cultura e alla politica contro l’egemonia dell’economico (incarnato dall’Unione Europea, dalla moneta unica e dall’inglese obbligatorio), abitare il mondo attraverso la praxis e far sì che il pensiero divenga azione, riconsiderare la categoria del futuro e della possibilità contro l’ipostatizzazione del presente e della postmoderna fine della storia, quindi riscoprire l’obliato marxismo e sostituire alle passioni tristi, al fatalismo, la lotta in vista di una trasformazione dell’esistente.
È certamente un saggio, questo, che si presta a molteplici possibilità di lettura. A un livello profondo c’è l’analisi filosofica che entra nel vivo di argomenti quali l’eredità del marxismo e i conflitti a lei interni. Ma può essere letto anche da chi non è pratico di filosofia, considerando principalmente il piano storico, in quanto ripercorre le tappe più importanti di un fondamentale momento della storia del Novecento e di una personalità che merita di essere ricordata e assunta come esempio.
«È la splendida rosa della vita tenace di Gramsci, che fino in fondo – nella desolazione e nella tristezza – ha saputo resistere, pagando sulla propria pelle il coraggio dello spirito di scissione. Ma è, poi, anche la rosa della città futura – frutto dell’intelligenza della volontà – che, pur nella “terribile insolazione” del deserto della barbarie che non ha smesso di avanzare, continua tenace a sopravvivere presso chi non si rassegna».