Every beat of my heart, la poesia
Oltre la mano
Sulle orme di John Donne, nei suoi versi Gabriela Fantato tratta il sacro e il divino attraverso i gesti e le cose del quotidiano. Che svelano sempre, a saperli osservare, un mondo altro, misterioso
Gabriela Fantato è un poeta della generazione immediatamente successiva alla mia, di cui però è culturalmente coetanea per intensità d’esperienza mitopietica, per l’intenzione radicale che caratterizza la poesia di De Angelis, Cucchi e mia. Condivide del nostro mondo l’idea di poesia come necessità, e la percezione di sacralità del quotidiano e liricità dell’epifanico. Qui si rivolge a un’entità divina, non sappiamo se in toto o adombrata in una persona, se apparsa o svelata. Quello che colpisce di Gabriela Fantato, nei versi qui proposti – ma come sempre, da quindici anni -, è la forza incisiva della parola, che pare imprimersi nel piombo, in felice contrasto con la levità di immagini sfuggenti. Tratta il sacro e il divino seguendo la scuola del grande John Donne, dove in ogni ruga del volto, in ogni movimento di una mano, il mondo svela un oltre misterioso.
E ci sei
Non sei il perdono certo a ogni errore,
nemmeno il sorriso sempre aperto
sarebbe troppo facile, saresti
– un amore che si scorda presto.
Sei nella carezza incerta di Costanza
che a tre anni ha per amico un pesce
preso al mercato, morto nella rete.
Sei la foglia di mirto assorta,
stretta al sole in pieno agosto
che profuma il vento della notte.
Non sei il giudice severo della legge,
nemmeno un poliziotto,
sarebbe troppo semplice sfuggirti,
daresti una pena che alla fine si condona.
Sei invece l’isola dura d’arenaria
immersa in mare, paziente ai colpi della sorte,
onda dopo onda sei il tempo
– origine e la fine di ogni storia.
Sei la sabbia dorata sulla costa,
il coraggio di esistere nel breve spazio
di un frammento che sa intero
il monte da cui viene.
Non sei la felicità che chiede eterna pace,
una vita liscia e senza lotta,
sarebbe solo un sogno,
le Esperidi saresti, luogo di luce
immobile nel mito.
Sei il vecchio al bar che teme la fine
eppure vive dentro al suo poco spazio,
sei la nebbia che avvolge
le ginocchia sino al nuovo vento
di maggio che la prende.
Sei la madre e il padre,
anche l’ubriaco e quel bambino che ride
indicando il balzo di un colombo
– una promessa fragile tu sei
come quel cavallino di Murano
regalato un giorno per ricordo.
Lo tengo sulla mensola più alta,
lontano dalla fretta di ogni giorno.
Come quel cavallino resisti
– mi guardi da lontano anche se
a volte io non ti vedo bene .
Gabriela Fantato