Alberto Fraccacreta
L'elzeviro secco

Murillo in Siria

La rivoluzione della bellezza è l'unico antidoto alla dittatura della cronaca vuota. Provare a guardare un quadro di Murillo mentre ascoltate le notizie dalla Siria...

Dopo aver rapidamente letto la notizia dei raid francesi e russi sulla sventurata Siria, all’oscuro della già buia oscurità in cui vivo, mi sono concesso un incontro segreto. Un po’ annaspante, a onore del vero, in cotanta ombra. Dallo screen del notebook (quel puntello di diktat anglofono che prevarica) vado (dove? cammino, per caso?) alla casella Immagini, clicco (vd. supra) sulla cartella Bartolomé Murillo e attendo. Non certo che il pittore barocco, in tenuta da alcalde e con la smorfia sprezzante di un gringo d’osteria, mi strizzi l’occhio tirandomi i piedi (manovra convulsa alquanto), e dica: «Lavora, perdigiorno!»; ma quella che chiamo “invasione dell’intimo”, una forza concentrica esterna che sfalda i tubi ventricolari, aumenta vertiginosamente la pressione sanguigna, entra nel battito e lo scandisce. Tale “invasione” ha, per così dire, una sua legittimazione politica (oltre che fisica). O meglio: è una risposta politica alla lettura dei giornali, a ciò che accade nel mondo e ne segmenta le azioni quotidiane, dalla cronaca nera ai summit tra potentati e califfati, – alle bombe. È un moto flessibile che si oppone allo status quo depistandolo e, se ben indirizzato, potrebbe raggiungere eminenti risultati sociali, penetrare cioè nel tessuto organico della gente. Sangue tuo nelle mie vene. Potrebbe significare una lenta ma inesorabile rivoluzione, la cosiddetta “rivoluzione della bellezza”: «Coloro che rivoltandosi vogliono ignorare la natura e la bellezza si danno a esiliare, dalla storia che vogliono fare, la dignità del lavoro e dell’essere. La bellezza, senza dubbio, non fa le rivoluzioni. Ma viene il giorno in cui le rivoluzioni hanno bisogno di lei» afferma Camus nelle pagine conclusive de L’uomo in rivolta.

– Come? Tu sei una tarma da sgabuzzino, un clochard delle decisioni! Dal buio non può venir fuori nulla, così non si può impedire la guerra.

Murillo La Inmaculada Concepción de El EscorialQuesta forma di “rivoluzione della bellezza”, o forse di “rivoluzione accompagnata dalla bellezza”, non si combatte, ma ci si lascia vincere da essa. Ciò significa che, in tale campo di battaglia, non si ha un ruolo attivo: almeno apparentemente. Lasciarsi sfaldare l’intimo dal bello è un’operazione complicata, che richiede tempo, sforzi di ogni genere, mente locale sul puro dato visivo. La rivolta risiede appunto nell’acconsentire a questa lieta lacerazione e, per “acconsentire”, intendo innanzitutto il dire basta. Quando la coscienza dice basta alla violenza che la possiede e allo sfruttamento, entro quei meccanismi soggettuali ed esteriori che Foucault definiva come microfisica del potere, da un moto originariamente estetico si giunge ad un atto politico. La vita estetica e la vita etica sono incorporate nel punto di raccordo non previsto da Kierkegaard. Dire basta coincide allora precisamente con il ritorno all’incanto; accettare la violenza è non saper più guardare alla bellezza.

– Misera tarma da sgabuzzino, misero apostolo dell’inane!

D’accordo, e misero anche chi ha perso la possibilità di guardare alla bellezza, giacché essa è una possibilità che, un giorno o l’altro, alla fine, si perde. Miseri potenti e misere guerre. Misero tutto ciò che è violento e che uccide. Non tutto ciò che resta ferito. La politica non è il decentramento delle decisioni dall’hic et nunc verso un luogo astratto, inarrivabile, criticato per l’alto rischio di decomposizione e (irresistibile) scioglievolezza, luogo nel quale l’apporto dell’uomo comune sembra perfettamente periferico. Credo invece che politico sia il gesto di responsabilità di chiunque, poiché gli atti sono imitabili e, a volte, contagiosi. Ho in mente il diacono di un celebre racconto di Čechov, che lodava le atmosfere cupe del Caucaso durante una scampagnata: «“Dio mio, come è bello qui!…” pensò. “Come è bello… non si vedono che le pietre, le tenebre, il fuoco, un albero mo­struoso e gli uomini… ma tutto è bello…”». Il diacono aveva il coraggio – che di coraggio si tratta – di soffermarsi sui particolari. Ma non riuscire più ad esclamare “com’è bello” è la vera sconfitta, la vera battaglia persa oggi. Si esclude l’altro, perché si è morti dentro.

La bellezza dimora altresì nelle dissonanze, nel partecipare alla continua osmosi dell’esistenza e percepirne la complessità, nel guardare alla vita e agli altri con turbamento non ostile, non lasciandosi disincarnare, né svuotare da perniciose ideologie, lontane da un volto o da un muro di gesti. Un grande atto politico, in questa epoca, è forse ammirare quel manto «di un azzurro doloroso», come suggerisce Franz Werfel, lo sfondo luccicante che avvolge l’ambra, i colpi di sole sulla chioma castana, la veste così candida da scatenare abissi di bianchezza, i gigli, le rose, la falce della luna ai piedi: la reale bellezza. Ammirare e basta, dicendo tacitamente basta.

Un’ultima cosa: il quadro di Murillo in questione è La Inmaculada Concepción de El Escorial.

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