Luca Fortis
Come leggere la crisi islamica/2

L’Isis e Tamerlano

Non esiste una guerra in Siria, Iraq, Libia, Yemen o Nigeria, ma solamente una guerra diffusa tra estremisti e moderati. Stato Islamico sta vincendo grazie alla strategia della paura

Le antiche rovine di Palmira vengono fatte saltare in aria nel più totale disinteresse, con esse va in fumo quel poco di coscienza che rimaneva ai mediorientali e agli occidentali. Tra le pietre che restano in piedi si muovono bambine yazide, cristiane, sciite o alawite, schiave che soddisfano i piaceri sessuali di guerriglieri che le stuprano in nome di Dio. Sotto terra, i cadaveri degli uomini diventano piano piano ossa, mentre sopra migliaia di disperati fuggono o vivono sotto il dominio di guardie dai riflessi nazisti. Tutto questo non scuote più di tanto le nostre coscienze, cosi come non lo fanno le macabre torture volutamente mediatizzate dall’Isis. L’occidente e il Medio Oriente continuano a negare quella che, a molti, sembra una semplice constatazione.

Non esiste una guerra in Siria, Iraq, Libia, Yemen o Nigeria, ma solamente una guerra diffusa che si gioca su scacchiere differenti. Ma in cui gli attori che tirano le fila sono sempre gli stessi. Il mondo islamico di oggi sembra ormai immerso in una “guerra mondiale”, con alcuni attori che oggi fanno scoppiare conflitti dall’Africa fino all’Asia a seconda delle opportunità che si aprono. Oltre le scintille tra sciiti e sunniti, con l’Arabia Saudita che si scontra, con le armi o politicamente, con l’Iran in Yemen, Iraq, Siria, Libano, vi è poi un conflitto tra i fondamentalisti islamici e gli islamici che credono ancora nella tradizionale libertà di interpretazione, guerra che travolge anche tutti i laici e le minoranze religiose come i cristiani. Questo scontro tra due diverse visioni religiose ha partorito attacchi terroristici dalla Nigeria fino alla Cina o nuove entità statuali come lo Stato Islamico tra Iraq e Siria, o in parti della Libia. Inoltre, vi è una guerra per procura tra le tre potenze sunnite, Arabia Saudita, Qatar e Turchia, che pur essendo tutte alleate degli Stati Uniti si combattono in Libia, e in modo più sporadico in Egitto e Palestina per la supremazia nel mondo sunnita. Tutti questi attori spostano le loro armi, i loro finanziamenti e i loro soldati a seconda di dove si aprono nuove opportunità.

palmira3Quello che rende ancora più sconcertante il quadro, è che poco meno di 200 mila ragazzi partiti da tre continenti, Europa, Asia e Africa, con il “romantico” sogno dello sterminio del nemico religioso e un armamento leggero, abbiano potuto sconfiggere le maggiori potenze mondiali. Sorgono spontanei molti dubbi sulla reale volontà, in una prima fase, di queste potenze di combattere davvero l’Isis. Infatti, sembra più probabile che il califfato abbia vinto semplicemente perché il mondo non si sia voluto schierare in quella che sembra essere la vera guerra in corso in Siria e Iraq, quella tra Sunniti e Sciiti. Fermare velocemente l’Isis avrebbe creato un vuoto di potere che il mondo non avrebbe saputo come colmare, ecco perché è probabile che si sia preferito lasciare bollire l’Isis nel suo brodo, bombardandola quando diventava troppo aggressiva e sperando che implodesse pian piano su se stessa, in attesa che si trovasse un possibile accordo tra Iran, Arabia Saudita e Turchia sul futuro siriano e iracheno.

Poco importa se i governi che potrebbero nascere in futuro nei due paesi a seguito di intese che mettano d’accordo Sunniti, Sciiti, Alawiti e Curdi, troveranno qualche fossa comune piena di migliaia di essere umani che avevano l’unica colpa di far parte di una minoranza religiosa o di essere liberi. In fondo Parigi vale bene una messa.

L’Isis ha già vinto perché ha capito che se si ha un esercito meno armato e potente delle nazioni che si intende sfidare, l’arma migliore è far tremare di paura i nemici e farli scappare ancora prima che inizi la guerra. Lo Stato Islamico usa la tattica dei mongoli o di Tamerlano: il terrore. Nessun presidente occidentale sarebbe mai disposto a mandare soldati sapendo che le opinioni pubbliche, terrorizzate dalle immagini che vedono, non accetterebbero mai di mandare i loro figli a rischiare la testa in Siria. Se lo facesse perderebbe le elezioni. La tattica dell’Isis si è dimostrata estremamente raffinata e tutt’altro che arcaica. Postando i video con le decapitazioni sapeva benissimo che sarebbero diventati virali. Infatti, anche se censurati, i filmati sono circolati ovunque. Il risultato è che gli Stati Uniti e i suoi alleati bombardano la Siria e l’Iraq dall’alto, aspettando che lo Stato Islamico lentamente imploda su se stesso. La tattica occidentale in Siria si è dimostrata del tutto fallimentare perché ha indebolito volutamente gli unici due eserciti che stavano combattendo sul terreno. Gli Stati Uniti hanno infatti messo un embargo sulle armi contro Bashar al Assad, perché inviso ad Arabia Saudita, Qatar e Turchia in quanto alawita alleato con gli sciiti e perché l’ex presidente, protettore delle cospicue minoranze etniche, ha compiuto molti crimini di guerra.

palmira 1L’Occidente ha poi permesso alla Turchia, paese sospettato di aver aiutato l’Isis perché gruppo sunnita che combatte gli sciitti, di portare avanti la sua guerra contro i movimenti curdi. Ankara da mesi invece di bombardare l’Isis, come dichiara a parole, bombarda l’unico esercito che può combattere lo Stato Islamico, quello curdo. Questo perché il governo di Erdogan che ha perso la maggioranza assoluta in parlamento, ha pensato di radicalizzare la battaglia contro gli autonomisti curdi in Turchia e contro i curdi siriani per creare un fronte esterno e vincere le nuove elezioni parlamentari turche che si terranno a breve essendo falliti tutti i tentativi di creare un governo.

In tutto questo le uniche due potenze che sembrano avere una visione chiara del conflitto sono la Russia e l’Iran. Mosca è consapevole che se vuole salvare le sue basi in Siria deve aiutare Bashar al Assad inviando soldati e armamenti. Facendo questo coglie un secondo risultato, difendere sul terreno gli yazidi, i cristiani, gli alawiti e gli sciiti dal genocidio che l’Isis sta meticolosamente pianificando. Perfino Israele sembra aver compreso che Putin potrebbe essere l’unico attore con le idee chiare. Netanyahu, che finora sembrava più preoccupato di far fallire l’accordo tra gli Stati Uniti e l’Iran sul nucleare, che a combattere l’Isis, aveva fin qui impedito, anche con bombardamenti, qualunque rifornimento di armi da parte iraniana alla Siria o a Hezbollah, il gruppo sciita libanese che combatte a fianco di Bashar Al Assad, in quanto temeva che poi potessero essere utilizzate in un secondo momento contro Israele. Di fronte all’entrata in guerra diretta della Russia, ha firmato un accordo con Putin in cui da una parte la Russia si impegna a far sì che Damasco e Hezbollah non utilizzino le armi avute dalla Russia contro Israele e dall’altra Tel Aviv si impegna a non ostacolare le operazioni Russe in Siria. In fondo Israele già collabora con il governo egiziano del generale Al Sisi, contro l’Isis in Sinai, ed un collasso completo di Damasco farebbe si che Israele si trovi circondato dall’Isis. Nel frattempo continua la sanguinaria guerra tra sciiti e sunniti in Yemen. Attualmente l’Iran manda soldi e aiuti agli Houthi, la fazione sciita, mentre l’Arabia Saudita e altri paesi arabi, tra cui l’Egitto, bombardano il paese per aiutare la riconquista sunnita. In tutto questo Al Qaeda e forse l’Isis, tentano di guadagnare terreno.

palmira5In Iraq, la situazione sembra non mutare di molto, con l’Isis che controlla tutta la parte che confina con la Siria, e i curdi e gli sciiti che controllano il resto. La novità sta nel fatto che il governo sciita ha chiesto anche esso aiuto alla Russia di Putin, allontanandosi così dal governo americano.

In Libia, paese precipitato in una guerra civile in cui si sono mischiate istanze tribali e internazionaliste, esistono ormai tre governi. Quello di Tobruk, finanziato dall’Arabia Saudita e alleato con l’Egitto, quello dei Fratelli Musulmani di Tripoli, finanziato dalla Turchia e dal Qatar e quello dell’Isis che controllerebbe, secondo alcune fonti, ormai qualche centinaio di chilometri di costa. Pare che un accordo tra il governo di Tripoli e quello di Tobruk, in funzione anti Isis, sia però in dirittura di arrivo. Bernardino Leòn, l’inviato dell’Onu, sta lavorando in modo febbrile a questo scopo e pare che l’accordo sia vicino. Nel caos libico sembra che si sia inserendo anche il gruppo terroristico nigeriano Boko Haram che si è affiliato all’Isis.

Quello che appare chiaro è che se si vogliono risolvere molte di queste crisi e combattere seriamente l’Isis, bisogna bussare alle porte dell’Iran, della Turchia, dell’Arabia Saudita, del Qatar e dell’Egitto. Inoltre, non si può pensare di non coinvolgere la Russia tornata protagonista nell’area come dimostra l’attivismo, in questi giorni, di Mosca all’assemblea generale dell’Onu.

Palmira2Il Medio Oriente è una polveriera, così come parte dell’Africa islamica, e anche nel momento in cui si pacificassero Siria, Iraq, Yemen, Libia e Nigeria, non si sarebbe vinta la guerra. Questo perché gli attori dei tre conflitti paralleli, quello tra chi crede nelle libertà di interpretazione del Corano e chi no, tra sciiti e sunniti (Iran versus Arabia Saudita) e tra potenze sunnite su chi sia il paese che ha maggior influenza (Arabia Saudita versus Qatar e Turchia), aprirebbero nuovi fronti.

Inoltre, il non coinvolgimento europeo in questa guerra sembra del tutto un’illusione, in quanto i jihadisti dell’Isis arrivano da tutto il mondo e decine di migliaia sono europei. Solo gli italiani che combattono per lo stato islamico sarebbero un ottantina. Questa gente se non morirà in guerra prima o poi tornerà in patria. Inoltre, la crisi migratoria di questi mesi, dimostra in modo chiaro che siamo già pienamente toccati da questo conflitto. Questa marea umana che bussa disperatamente alle nostre porte rappresenta anche il primo passo falso dell’Isis. Le opinioni pubbliche cominciano infatti a pensare che forse sarebbe meglio intervenire direttamente in Medio Oriente per risolvere la guerra che accogliere un marea umana che scappa dall’inferno in Europa.

Dimmi che è vino, quel vino che versi: non toglie mai sete un segreto se non lo riveli.
Il nome preciso di amore voglio sentire: l’enigma è perfetto soltanto se dietro si staglia un altro velo.
Abu Nuwas, poeta medioevale iracheno

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