Ritratto d'artista
Il teatro al ketchup
«Mi piace divertire e divertirmi e affrontare con leggerezza anche le cose più pesanti. Per questo vorrei essere diretto da Franz Kafka». La comicità secondo Andrea Cosentino
Nome e cognome: Andrea Cosentino.
Professione: Attore, drammaturgo e comico.
Età: 48 anni.
Da bambino sognavi di fare l’attore? No. In compenso da grande sogno spesso di smettere.
Cosa significa per te recitare? Divertirmi e divertire innanzitutto. Poi raccontare storie e smontarle. Dichiarare il mio narcisismo per disfarmene. Mettere in comunione. Arrivare a squarci di verità attraverso una finzione dichiarata. Creare aspettative e sviarle. E far si che gli sviamenti siano delle rivelazioni. Comiche o poetiche. A volte, di rado, giocare a far credere di essere un personaggio. Ancora più di rado, e solo per necessità professionali, giocare a far credere di essere un attore.
Il tuo film preferito? Tanti e nessuno.
Il tuo spettacolo teatrale preferito? (Fatto da te o da altri) Per non dispiacere ai colleghi mi vedo costretto a compiacere me stesso: Primi passi sulla luna. Mi emoziono ancora quando lo porto in scena.
Qual è l’attore da cui hai imparato di più? Philippe Gaulier.
Qual è il regista da cui hai imparato di più? Philippe Gaulier.
Il libro sul comò: Foster Wallace, Il cavaliere pallido. Ma è lì da un pezzo.
La canzone che ti rappresenta: Like a rolling stone di Bob Dylan.
Descrivi il tuo giorno preferito. Caffè, fumare, mangiare, amare. Se poi butto giù una bella idea posso dirmi quasi felice. E poi dormire anche, forse sognare…
Prosecco o champagne? Tra le bollicine preferisco coca e chinotto.
Il primo amore, lo ricordi? Non abbastanza.
Il Primo bacio: rivelazione o delusione? Rivelazione.
Strategia di conquista: qual è la tua? Sorniona.
Categorie umane che non ti piacciono? I furbi.
Classifica per sedurre: bellezza, ricchezza, cervello, humour. Bellezza e humour, direi inscindibilmente. Cioè cervello. Della ricchezza non riesco a interessarmi.
Il sesso nobilita l’amore? O viceversa? Viceversa.
Meglio le affinità elettive o l’elogio degli opposti? Le affinità degli opposti.
Costretto a scegliere: cinema o teatro? Un concerto, ma anche del teatro. Però con amici e birra e spazio attorno. Sopporto sempre meno di uscire di casa per andare a sedermi in una poltrona. Quella che ho in soggiorno è comoda a sufficienza.
C‘è qualcosa che rimpiangi di non avere detto a qualcuno? Dovrei pensarci. Evidentemente non rimpiango nulla con tanto vigore.
Shakespeare o Beckett? Beckett.
Qual è il tuo ricordo più caro? Tra tanti, la nascita di mia figlia.
E il ricordo più terribile? Ne ho tratto uno spettacolo. E adesso è un ricordo caro.
L’ultima volta che sei andato a teatro, cos’hai visto? Io se voglio fischiare, fischio. Di Andreea Valean.
Racconta il tuo ultimo spettacolo: Si intitola Not here not now È una riflessione critico-comica su alcune aporie dell’arte contemporanea, sui suoi irrisolti rapporti con l’economia e con la verità, che prende a pretesto e capro espiatorio Marina Abramovic e la body art. Mi sono divertito a percorrere quel sottile crinale, sul quale si muove tanta arte contemporanea, in bilico tra la genialità e la corbelleria totale. È uno spettacolo articolato e destrutturato, come molti miei lavori, che comprende riflessioni semiserie, azioni performative deliranti, una retrospettiva video delle principali opere (completamente inventate ma non per questo meno plausibili) del clone di Marina, e l’apparizione della medesima e suo dissanguamento finale. Il sottotitolo è abbastanza eloquente: just another fuckin’ theatre entertainment.
Perché il pubblico dovrebbe venire a vederlo? Ti cito una della frasi preferite di Marina Abramovic: «Theatre is very simple: in theatre a knife is fake and the blood is ketchup. In performance art a knife is a knife and ketchup is blood». Io inverto i termini di questa affermazione. Il mio è un incontro/scontro da teatrante con la body art, il lazzo del clown che gioca con il martirio del corpo come testimonianza estrema, usando i miei cialtroneschi strumenti abituali, che sono parrucche martelli di gomma e nasi finti. E ketchup, in questo caso, naturalmente. Al fondo questo spettacolo vuole essere un inno alla leggerezza, e un elogio della verità della finzione contrapposta alla pretesa di verità del reale, che ci viene sbattuto continuamente in faccia, non solo dall’arte, ma dai media e ovunque.
Il mondo del teatro è veramente corrotto come si dice? Se anche fosse poco corrotto, sarebbe comunque troppo. È un ambiente troppo marginale perché valga la pena inquinarlo. Ma poi si sa, le lotte tra poveri sono spesso le più crudeli.
Come e dove ti vedi tra cinque anni? Più o meno qui.
La cosa a cui nella vita non vorresti mai rinunciare. Amare, essere amato.
Quella cosa di te che nessuno ha mai saputo (fino ad ora). Non lo rivelerò certo qui e ora.
Piatto preferito: Pasta alla gricia e arrosticini. Un po’ di Roma e un po’ di Abruzzo.
Le scuole di recitazione servono o quel che conta è avere fortuna? Quel che conta è la passione.
C’è parità di trattamento nel teatro tra uomini e donne? Si dice di no.
Mai capitato di dover rifiutare un contratto? Contratto è una parola un po’ grossa, ma si, direi di sì.
Di lasciarti sfuggire un’occasione di lavoro e di pentirtene subito dopo? Non mi pare.
Quale ruolo ti sarebbe piaciuto interpretare nel cinema? Sono come certi indigeni: non mi piace vedermi fissato su un supporto. In generale non amo ciò che è finito e definito una volta per tutte.
Quale ruolo ti sarebbe piaciuto interpretare in teatro? Il pompiere. A contratto indeterminato.
Da chi vorresti essere diretto? Franz Kafka.
Tre doti che bisogna assolutamente possedere per poter fare l’attore. Autoironia, pazienza, leggerezza.
Tre difetti che non bisogna assolutamente avere per poter fare questo mestiere. Narcisismo, pretenziosità, sicumera.
Cosa accadrebbe all’umanità se il teatro scomparisse? Forse una notizia di coda al tg3.
Gli alieni ti rapiscono e tu puoi esprimere un solo ultimo desiderio. Quale? Conoscere i desideri degli alieni.
La frase più romantica che ti sia capitato di dire in scena. «Non c’è nessun motivo per cui tu non potresti essere come io avrei desiderato che tu fossi, se non avessi sempre saputo che non saresti mai diventato diverso da quello che sei sempre stato».
La frase più triste che ti sia toccato di dire in scena. «Comunque…».
Dimentiche le battute: graziato o condannato? Sono l’autore dei miei spettacoli, e un autore permissivo. Mi consento di cambiare battute a ogni istante. In ogni caso mi è impossibile tradirmi, il che a volte è anche un peccato.
Cosa vorresti che la gente ricordasse di te? Se ho scelto il teatro e non la letteratura o il cinema, è per condividere emozioni con chi c’è. Proiezioni e illusioni non mi interessano. Ma per non apparire più pedante di quel che sono, mettiamola così: «era tanto una brava persona» mi andrebbe già bene.
Hai mai litigato con un regista per una questione di interpretazione del personaggio? Non mi pare. Nei rapporti interpersonali sono accomodante fino alla remissività. È per questo che di base lavoro da solo. Con me stesso so essere più esigente.
Se potessi svegliarti domani con una nuova dote, quale sceglieresti? La musica. Saper suonare la tromba. Ma mi sto applicando.
Se potessi scoprire la verità su te stesso o sul tuo futuro, cosa vorresti sapere? Non mi interesso troppo.
Se sapessi di dovere morire, che cosa cambieresti nella tua vita? Sono abbastanza certo di dover morire.
Che cosa è troppo serio per scherzarci su? La comicità vera non può che occuparsi di cose serie.
Progetti futuri? Fare il clown trombettiere.
Un consiglio ad un giovane che voglia fare l’attore. Mah…