Due autori a confronto
Follett & Hobsbawm
A leggere in parallelo il saggio "Il Secolo breve" e la trilogia «The century» si coglie il senso di un tempo fatto di contraddizioni e grandi speranze. Non tutte fallite
Il lungo, sterminato, romanzo del Secolo breve: si potrebbe definire così la trilogia di Ken Follett The century, edizioni Mondadori, diversi formati e prezzi. Ma innanzitutto dovremmo spiegare cos’è il Secolo breve secondo Eric Hobsbawm, storico inglese che ha concentrato i suoi lavori sul 1700 e 1800 ma che con la sua opera più famosa, appunto Il Secolo breve, Rizzoli, diverse edizioni e prezzo, porta a compimento il suo percorso storiografico. Per Hobsbawm il ‘900 andrebbe preso in considerazione a partire dal 1914 e terminare con la caduta dell’Urss, in questo arco di tempo tanti sono stati i sommovimenti, l’evoluzione e l’involuzione da rendere quasi “inutili” gli anni restanti. La sua è una trattazione, come dice lo stesso autore, non da storico ma da testimone dell’epoca che comunque mette sul campo le sue conoscenze per narrare gli avvenimenti tragici del ‘900, «… mi accosto a questo periodo senza la conoscenza della letteratura scientifica che lo riguarda e solo con una qualche infarinatura delle fonti archivistiche che i numerosissimi storici del ventesimo secolo hanno accumulato». Una precisazione che, giunti al termine del bellissimo saggio del 1994, sembra più un vezzo di modestia che una seria avvertenza.
Un periodo tutt’altro che pacifico specialmente nella prima parte, fino al 1945, ma che non ha visto una vera pace negli anni successivi. L’autore divide i 76 anni del secolo breve in tre periodi principali, il primo lo chiama L’età della catastrofe, e non penso ci sia bisogno di spiegazione; il secondo L’età dell’oro, anche qui è chiaro che si riferisce alla ripresa economica e sociale del dopoguerra con le sue conquiste sociali, scientifiche, culturali, economiche per arrivare al terzo, La frana, che non si attiene solo alla caduta del socialismo reale e dell’Urss ma all’inizio dell’involuzione in tutti i campi e che proprio in questi giorni sta toccando l’acme. Giorni in cui si mette in crisi il concetto di solidarietà, di uguaglianza, di tolleranza, di sviluppo sociale tra i diversi gruppi etnici. Involuzione che politicamente sta portando in auge, nella vecchia Europa e non solo, ideologie che qualcuno, ottimisticamente, pensava di aver costretto in un angolo e che fossero ormai residuali. A nulla sono bastati gli allarmi, siamo di nuovo al punto che lo spettro di politiche parafasciste o paranaziste si aggira nei nostri paesi. Ecco, Hobsbawm nel suo libro si preoccupa di illustraci la genesi, lo sviluppo e le presunte soluzioni delle crisi che hanno caratterizzato il ‘900 in tutto il mondo. Da rileggere, subito, per tentare di ricreare qualche minimo di anticorpi alla malattia che rapidamente si sta diffondendo e colmare buchi nella conoscenza della storia moderna e contemporanea.
Anche Follett si concentra, per la sua trilogia, principalmente sul Secolo breve e divide in tre periodi la sua opera, il primo volume La caduta dei giganti va dal 1911 alla fine della Prima guerra mondiale; il secondo, L’inverno del mondo, dal 1933 e l’avvento al potere di Hitler alla fine della seconda guerra mondiale; il terzo, I giorni dell’eternità, il restante periodo fino al 2008. Ken Follett sa come tenere avvinti i lettori con la storia di cinque famiglie, minatori gallesi, nobili inglesi, nobili tedeschi, benestanti americani e poveri russi. Nei tre libri seguiamo l’evolversi, l’ascesa e la caduta, delle diverse famiglie e l’intrecciarsi delle loro storie, da quelle sentimentali a quelle sociali e politiche, attraverso la prima e la seconda guerra mondiale, la guerra fredda e il periodo che ancora oggi viviamo di guerra diffusa non dichiarata.
Insomma, entrambe le opere – parleremo della trilogia come di un unico libro – si occupano dello stesso periodo e degli stessi temi, ovviamente Hobsbawm con un tocco di serietà in più, ma ciò non vuol dire che Follett non lo abbia fatto dal suo punto di vista. Per alcuni tratti, si potrebbe dire quasi coincidenti essendo lo storico di formazione marxista e lo scrittore laburista ma anticomunista, cosa molto evidente in alcune pagine: «Il laburismo non vuole la rivoluzione, perché l’hanno già provata altri popoli e abbiamo visto che non funziona. Però vuole un cambiamento, e subito». Per chi non avesse letto Follett sarebbe meglio leggersi prima Il secolo breve per avere una visione d’insieme dei fatti che lo scrittore inglese, invece, tratta mescolando «… le fredde argomentazioni dello storico di professione con storie, sentimenti, fatti della gente comune». Oddio, proprio comune non si può dire se si parla di nobiltà inglese russa, tedesca e benestanti americani. Le famiglie inventate da Follett non fanno altro che vivere scene «… avvenute davvero o che potrebbero essere avvenute» così come «quelle parole sono state pronunciate o potrebbero esserlo state». E queste due semplici regole fanno sì che nulla suoni come falso o semplicemente inverosimile, con qualche eccezione, nelle avventure delle cinque famiglie protagoniste delle tremila pagine della saga follettiana.
Della trama, quindi, ci sarebbe poco da dire: i gallesi fanno i minatori che cercano di difendere i loro diritti e di conquistarne di nuovi; gli inglesi i nobili politici, un po’ retro un po’ lungimiranti, per censo e, verrebbe da dire, per occupare il tempo come tanta letteratura ci ha insegnato; i tedeschi i militari obbedienti ma non tutti; i russi i poveri sfruttati da nobili poco lungimiranti che daranno loro lo stimolo per quella rivoluzione che è stata fonte di speranza per tanti diseredati per poi finire per creare una grande delusione; gli americani i salvatori del mondo senza che essi tralascino di trarre benefici dal loro sacrificio. Tre libri dove non manca nulla: le lotte sociali, la guerra, un poco di sesso, gli omicidi, gli attentati di qua e di là dal mare, i buoni e i cattivi. Insomma il completamento romanzato e possibile di ciò che Hobsbawm ci aveva raccontato con ben altre parole e pathos. Una storia del Novecento apprezzabile da chi non ama affidarsi alle dure parole dei documenti ufficiali e una lettura piacevole per chi è uso ai saggi storici. Basta tenere sempre a mente che la trilogia rimane pur sempre un romanzo, per quanto bello e ben scritto (e tradotto), la storia vera resta ben altra cosa come ci dimostra Il secolo breve. Allora è tutto bello e tutto buono? No, alla trilogia si possono e si debbono fare delle critiche a iniziare da una certa prevedibilità degli sviluppi familiari dei personaggi, una certa artificiosità più che evidente di alcune situazioni, un’eccessiva prolissità che in alcune parti appesantisce la lettura.