Un racconto inedito
Elpidio, detto Mrdillo
«Elpidio, chiamato Mrdillo, aveva appena 17 anni, doveva essere l’ultimo dei cinque a possedere la ragazza, ma gli veniva il vomito e l’erezione era a zero»
Il recepimento quotidiano del male alimenta la fantasia e la condiziona, anche nella finzione narrativa, ai temi della criminalità. Certo per un narratore è possibile inseguire e frequentare altri argomenti e motivi, ci mancherebbe, ma l’evasione da quel tipo di immaginazione, così fortemente legata alla realtà, l’esserne sempre lontano, deliberatamente, come scelta letteraria, sarebbe una sorta di viltà, un’assenza di coraggio di fronte alla verità, attitudine che, io credo, nessun autore di storie dovrebbe coltivare.
Rosalba era figlia di donna Nannina, che tutti chiamavano la vaccara, perché apparteneva a una famiglia proprietaria di caseifici. il padre era don Ciro, il boss, uno che faceva paura solo a guardarlo. Aveva lineamenti regolari, ma uno sguardo fermo, che incuteva rispetto e, insieme, spavento, forse perché lo si associava ai suoi comportamenti violenti e implacabili.
Don Ciro non si sporcava le mani direttamente, ma aveva a disposizione un clan di uomini esperti e quando decideva di dover punire anche una piccola mancanza nei suoi riguardi, non era per le mezze misure: comandava la morte, senza mai un ripensamento e chi riceveva l’ordine non avrebbe mai osato disobbedire. “Risolvete la cosa in giornata, non voglio ritardi!”- diceva.
I nemici di Don Ciro non erano pochi, ma alcuni, da lungo tempo, pensavano a una vendetta che non riguardasse solo il dominio del territorio e, conseguentemente, dello spaccio, questi ritenevano che se lo avessero fatto fuori, non ci sarebbe stata la punizione che gli si doveva infliggere, c’erano altri modi più sofisticati e feroci per bilanciare l’odio che era cresciuto negli ultimi mesi come un cancro, e questi altri modi furono materia di un progetto studiato nei particolari.
Lei, Rosalba, la ragazza, somigliava alla nonna materna e aveva gli stessi occhi chiari e lo stesso carattere mite. Il boss, per questa figlia, sembrava in armonia con la natura umana di padre, ma in netta contrapposizione con la sua natura criminale, insomma l’adorava, l’amava con una sorprendente tenerezza e quando si parlava di lei sembrava che il suo sguardo si trasfigurasse e alla terribile tensione, improvvisamente si sostituiva e prendeva luce un che di dolce, una sorta di pacificazione con l’ambiente domestico che lo circondava e, perfino, coi killer al suo servizio. Qualcuno alle spalle aveva mormorato che chiunque fosse entrato negli affetti o nelle simpatie di Rosalba, avrebbe avuto in mano il cuore di Don Ciro.
Lui la fece studiare pianoforte al conservatorio di Napoli e la ragazza crebbe fine, sensibile, dolcissima. Alla fine dell’anno avrebbe conseguito il diploma.
La rapirono, la stuprarono e l’uccisero con pugnali militari, una pugnalata per uno.
Elpidio, chiamato Mrdillo, aveva appena 17 anni, doveva essere l’ultimo dei cinque a possedere la ragazza, ma gli veniva il vomito e l’erezione era a zero. La ragazza si era morso il labbro inferiore che sanguinava. Sembrava svenuta, però.
“Non mi sento bene” disse Elpidio.
“Ma fa che fossi ricchione?” disse Tommaso, che era il capo branco, uno vistosamente zoppo e deturpato nel viso dal vaiolo.
“ Non so’ ricchione, ma non sto bene, tengo la febbre.”
Anche per la pugnalata, doveva eseguire per ultimo. Le avevano tolto il nastro adesivo dalla bocca, ma la ragazza non era ancora morta e Elpidio vide che il labbro inferiore si muoveva leggermente, come per un ultimo segnale di dolore. Lui chiuse gli occhi e affondò il pugnale con forza, anche se gli tremava tutto il braccio e questo, in verità, non lo poteva nascondere.
Le cose si erano messe male, perché era germinato il sospetto che, o prima o poi, il ragazzo avrebbe parlato e avrebbe accusato i mandanti e tutto il branco.
“Elpi’, avvicinati al suv. Se vedi movimenti, vattene lontano dalla grotta e chiamami col cellulare! Se tutto è a posto e non vedi nessuno, porta qui la macchina, le chiavi stanno nel cruscotto.”
Avevano nascosto la macchina in una grotta a un mezzo chilometro di distanza e avevano coperto l’imboccatura con fascine, che abbondavano in quella zona.
Tommaso aveva escogitato questa scusa della macchina per poter parlare ai suoi e appena Elpidio si fu allontanato, disse: “ A me ‘u Mrdillo non me la conta giusta. Non se l’è voluta chiavare, dice che tiene la febbre.”
“Però la pugnalata l’ha data pure lui” – disse Gaetano.
“ Si, però, hai visto come tremava?” Disse Tommaso.
Alfonso, detto l’Auciello, uno che realmente sembrava col suo naso a becco un uccello rapace, intervenne con la sua voce roca: “Allora vediamo quello che dobbiamo fare, invece di fare chiacchiere, non possiamo correre rischi! Io, lo sapete, non ero d’accordo che Mrdillo facesse parte dell’operazione e mi sono convinto che avevo ragione al cento per cento; queste non sono cose da mocciosi pisciasotto, lo dissi da subito, appena avemmo l’incarico”
“Certamente – disse Tommaso – una decisione la dobbiamo prendere.”
Tommaso si era assunto con i mandanti la responsabilità di tutto il branco e aveva dato assicurazioni sull’affidabilità di ciascuno, Elpidio compreso, ma ora non poteva restare nel dubbio.
“ Allora, Tommasi’, a chi tocca?”
“ Tocca a Gaetano che è il migliore amico suo”
“A me? – disse Gaetano – e perché proprio a me?”
Tommaso sembrò assumere il tono di un capo le cui parole non andavano discusse: “Gaetano, sentimi bene, te lo dico una sola volta. E’ una decisione che pigliamo tutti insieme, però tocca a te, perché, dopo, se ci devi accusare, dato che sei amico suo e ti può venire lo scrupolo, devi accusare te stesso per primo. Chiaro? Mi sono spiegato?”
“Ti sei spiegato, però io non tengo intenzione di accusare nessuno.”
“Meglio così! Prepara la 38 e nasconditi là dietro.
Si sarebbe dovuto nascondere dietro un pilastro del cascinale, ma di Elpidio nessun sentore.
“Che cazzo starà facendo?” Aspettarono a lungo. Ognuno fumava nervosamente senza parlare, finalmente capirono.
Che stronzata aveva fatto Tommaso a mandare Mrdillo a vedere la macchina! Che stronzata colossale!
Lasciarono il cascinale e si sparpagliarono nei campi con la merda in culo. Ognuno correva per conto proprio, senza avere un’idea di un luogo dove nascondersi in quella pianura di sterpi, arsa dal sole.
Nel pomeriggio, verso le cinque, erano tutti in manette.
Elpidio aveva preso il suv ed era andato dritto dritto alla caserma dei carabinieri.
Sì, lui aveva contribuito all’uccisione, per non essere ucciso a sua volta, ma se non si poteva lavare la coscienza con quella spiata, poteva almeno frenare i conati di vomito.