1985/2015: elogio della memoria
Ricordando Siani
Trent'anni fa la camorra uccideva il giornalista Giancarlo Siani. Napoli, che all'epoca rimase incredula di fronte al delitto, oggi rievoca il suo "eroe"
Aveva da poco compiuto 26 anni quando fu ucciso in un agguato a pochi passi da casa sua, in un quartiere tranquillo di Napoli, la sera del 23 settembre 1985. Stava parcheggiando la sua Mehari, pensava di andare a vedere il concerto di Vasco Rossi, invece finì tutto lì, addio vita. Si chiamava Giancarlo Siani ed era un ragazzo normale e speciale, il cui viso pulito ci è stato tramandato soprattutto da una foto che lo ritrae con la faccia dipinta coi colori anarchici della libertà.
Il suo omicidio produsse un’impressione profondissima sull’opinione pubblica e una eco di commenti attoniti, increduli, rabbiosi tra le persone che gli volevano bene, che lo frequentavano o che l’avevano conosciuto, che non potevano accettare che fosse morto in quel modo. Nei giorni, negli anni a seguire, di lui si è detto e si è scritto veramente di tutto, soprattutto in merito al lungo processo che dopo tanti anni pare abbia accertato le varie responsabilità del suo omicidio.
A Giancarlo sono stati dedicati film e documentari, libri e premi giornalistici, istituti scolastici, vie di Napoli e provincia, aule universitarie e anche l’aula magna del suo liceo. Ma agli amici che lo conobbero, che lo frequentarono a scuola, all’università e nella redazione del Mattino produce ancora oggi lacrime e indignazione la sua morte. Inaccettabile, una sorta di sigillo, di definitivo epilogo della stagione dell’impegno e delle lotte, della speranza di poter cambiare la città.
Sono passati esattamente 30 anni da quel 23 settembre. La città ricorda Siani con una settimana di eventi e incontri, spettacoli e commemorazioni, proiezioni, messe, testimonianze… Fa piacere, la memoria è costitutiva – pure quella – della sostanza di una società. Ma fa anche tanta rabbia, pare non sia cambiato niente, è mai possibile? C’è la preoccupazione che siano solo eventi, solo parole. Ma c’è il dovere di ricordare Giancarlo per la sua naturale vocazione all’impegno civile, Giancarlo come eroe di un giornalismo umile, che consuma le suole delle scarpe, va sui posti a cercare le notizie, parla con la gente. Ricordare Giancarlo per la sua etica del lavoro e per tutta la fatica e la passione che ci metteva a cercare di capire e raccontare il sistema della camorra.
Anche quando gli dicevano lascia stare, «Gianca’, le notizie so’ rotture ‘e cazzo».