Diario dal Festival di Mantova
Le Parole e il potere
Carlo Lucarelli, Gianrico Carofiglio, Zerocalcare, tre incontri diversi ma un denominatore comune: la potenza del libro e della parola nel costruire un mondo più giusto
Italiani di oggi, italiani di ieri. Mentre in diverse città c’è la marcia degli scalzi, che chiedono corridoi umanitari per bloccare l’ecatombe in mare (solo quest’anno i morti accertati sono 2.748. a cui aggiungere i tanti naufragi sconosciuti), e accoglienza dignitosa, solidarietà attiva, Carlo Lucarelli si unisce virtualmente a quel cammino collettivo. Al Festivaletteratura di Mantova avrebbe dovuto parlare del suo romanzo in uscita, La valle dei sicomori, e invece no. Parla d’altro. Anzi, dell’altro.
«Dalla mia cameretta di Parma vedevo la statua di Bottego, l’esploratore – racconta – sotto di lui, inchinati, due tizi seminudi con scudo e lancia. Chi sono? Un esploratore, come Sandokan? Due indiani, come Toro seduto o Tremal Naik? Sono vinti, è chiaro, ma qual è la storia?». Cosa succede se ci confrontiamo, davvero, con l’altro? Se riusciamo a scardinare gli stereotipi, se ci guardiamo nell’immagine di noi che ci rimanda?
Pregiudizi, stereotipi, desideri. A sfogliare le cartoline d’epoca sull’Eritrea ci sono sempre bellissime donne nude, comunque a seno nudo. Mica ci si veste così sull’altipiano, fa freddo, ma così le vedono gli italiani, così le vogliono. Il sogno sexy dell’esotico non fa paura perché lo domini, se non altro con il denaro o il potere. Eppure ci sono anche rare immagini diverse che guardano gli eritrei e le eritree come persone, non come proiezioni di desiderio, racconta Lucarelli: la foto di una donna decorosamente vestita, evidentemente la compagna dell’italiano fotografato con lui. Lei è una persona, rispettata e probabilmente amata.
Cosa c’è negli occhi di chi guarda? Cosa c’è nei nostri occhi quando guardiamo l’esodo dei migranti, dei fuggitivi? È bello farsi domande, anche se non ci sono spesso risposte: s’intravedono mondi nuovi, si aprono cammini sconosciuti. Per esempio: gli italiani di oggi sono poi così diversi dagli italiani di allora? Istruttivo è rileggere i diari di Montanelli, o il manifesto per la difesa della razza. Lucarelli racconta la storia, una di tante, di un italiano in Eritrea, capo dei carabinieri di Massaua, un certo Livraghi. Che nel 1890 si era messo d’accordo con un faccendiere cosicché ufficiali e ascari italiani arrestavano, e portavano fuori città per poi torturarli e ucciderli concorrenti e chiunque gli facesse ombra negli affari. Associazione a delinquere, una volta scoperta è scandalo, Livraghi scappa in Svizzera. Di lì scrive un memoriale, al processo nonostante le parziali ammissioni verrà assolto. Siamo stati così o siamo ancora così, capaci di corruzione e sopraffazione, anche estrema, per interesse?
E poi. Che cosa andiamo a fare nelle colonie? Un arguto osservatore inglese ci disse: venite in Africa senza sapere che fare, e comunque non ne avete i soldi. Per Lucarelli quello che voleva fare Ferdinando Martini, primo governatore d’Eritrea, era chiarissimo: voleva sostituire gli eritrei con gli italiani, e lo diceva. «Bisognava fare come gli americani con gli indiani, sostituire razza a razza. Poi, giacché aveva il mandato di tagliare le spese, tagliò le scuole per i ragazzi autoctoni. Del resto, che ne facciamo della meglio gioventù eritrea? Ascari, meccanici, camerieri, serve: inutile perder tempo con lo studio».
Tanti echi tra ieri e oggi, troppi. «Bisogna sradicare stereotipi e razzismi dannosissimi per inconsapevoli che siano – conclude Lucarelli – Perché tutti sono l’altro, il diverso, il differente, il nuovo, l’originale. Tutti siamo l’altro, persino se fratello. Senza l’altro, chi siamo?».
Se Lucarelli vuole scardinare gli stereotipi, Gianrico Carofiglio nel suo nuovo libro, Con precise parole,indaga le verità nascoste nelle metafore nell’affollato incontro a Palazzo Ducale. Perché la metafora veicola concetti, produce passione politica, crea comunità riconoscimento reciproco. Può essere usata per scopi malvagi e per ottime imprese, bisogna saperla leggere. Cosa c’è di più efficace e evocativo della “scesa in campo” annunciata da Berlusconi? Scende in campo una squadra di calcio, di qui il nome di Forza Italia, e “gli azzurri” invece che “i forzisti”: metafora calcistica esplosiva in un paese di tifo sgangherato ed emotivo come il nostro. Cosa c’è di più efficace di quel «mettere le mani nelle tasche degli italiani» che equipara le tasse al furto? Monti provò a ribaltarla sostenendo «Non metteremo le mani nelle tasche degli italiani», l’effetto fu di riconfermare che le tasse sono un furto. Inutile la negazione; come dimostra l’efficacissimo pamphlet di George Lakoff, Non pensare all’elefante, è anzi un rafforzativo.
Perché la sinistra, il centrosinistra, non sa trovare metafore positive, condividere valori? Obama lo ha fatto: yes, we can evoca una grande possibilità collettiva, c’è il sì, c’è il noi, c’è il futuro davanti. La traduzione veltroniana, «si può fare», non è efficace. Se pure si prescinde dall’indimenticabile Frankenstein junior, è impersonale, apre una visione parziale, modesta. Il noi non c’è. Né sono più efficaci le metafore bersaniane, insiste Carofiglio che pure ha sostenuto e votato Bersani con convinzione: dannosissimo quel richiamo al partito come “ditta”, impresa commerciale, oppure gli stralunati «tre prosciutti non vengono da un maiale» o ancora «meglio un passerotto in mano che un tacchino sul tetto». Chi l’ha mai visto un tacchino sul tetto?
Infine quelle renziane, già quasi dimenticate: «asfaltare», «rottamare». «Al di là dell’indubbia violenza, sono immagini meccaniche. Buone per vincere le elezioni, non per cambiare il mondo. Diceva De Gasperi, e aveva ragione: il politico guarda alle prossime elezioni, lo statista alle prossime generazioni». La lingua del potere, anche nell’epoca della velocità e della pubblicità, va analizzata e decrittata: cruciale questione di democrazia e del vivere civile.
Affollatissimo l’incontro con Zerocalcare, fumettista di culto ormai fenomeno editoriale. In attesa dell’ultimo libro, “L’elenco telefonico degli accolli”, ha sedotto i giovani volontari del Festival che gli hanno riservato un’accoglienza smagata e ironica, ma poi si sono arresi: lui risponde sempre, onestamente e seriamente. Eppure le sue risposte sono spesso accompagnate da risate, risate di riconoscimento, sì anche io penso così, dai, anche tu, possibile? «Se la gente non sa chi sono ci sta – commenta un video in cui anziani mantovani interpellati sul suo nome evocano saponi e bucati – mica tutti leggono libri, e poi i miei sono di una categoria infima come il fumetto, perché dovrebbero conoscermi? In fondo parlo solo di cose personali, fatti miei». Invece s’appassiona, racconta di Kobane, il suo viaggio con la Rojava calling in sostegno della lotta di liberazione curda, racconta il legame antico dei centri sociali con il Kurdistan. E questi ragazzi che di queste vicende sanno così poco ascoltano, domandano, forse approfondiranno. Intanto, tutti in fila fino a notte fonda per il disegnetto di rito sul libro, a rischio di tunnel carpale: «Ma siccome è tardi – dice Zero – non chiedetemi la cappella Sistina addobbata a festa. Solo cose semplici, per favore».