La kermesse di Modena, Carpi e Sassuolo
Le eredità perdute
Bauman, Cacciari, Carofiglio, Galimberti, Recalcati, Vandana Shiva, Chiara Sareceno: il festival della filosofia si è interrogato sul nostro vizio di fondo, il presentismo
«La verità» con l’articolo ha tre anagrammi rivelatori: «rivelata», «relativa» e «evitarla». Il festival della filosofia di Modena, Carpi e Sassuolo, che ama anche invitare cultori di altre discipline o personaggi che riflettono su qualcosa di attinente al tema scelto, che per il 2015 era “Ereditare”, ha affidato la chiusura di questa XV edizione allo scrittore ed ex magistrato antimafia Gianrico Carofiglio, che, parlando di memoria, è riuscito a rendere silenziosa e sgomenta la grande folla che gremiva Piazza Grande a Modena, all’ombra dello stupendo Duomo. Carofiglio ha citato subito questo anagramma, per spiegare che la verità legata alla memoria è cosa mutevole e molteplice e ha citato il poeta premio Nobel Brodsky che la paragona a «una biblioteca in cui i libri non sono in ordine alfabetico, ma soprattutto non contiene una sola collezione completa», proseguendo con la citazione del film di Kurosawa Rashomon in cui attori e testimoni di una fatto violento lo ricordano ognuno a suo modo.
Ampliando e puntualizzando quel che ha scritto anni fa in L’arte del dubbio (Sellerio) e sottolineando l’importanza di procedere sempre Con parole precise (appena uscito da Laterza), ha messo in guardia dal credere che il racconto di un testimone oculare sia naturalmente corretto, perché la memoria appunto è modificata da mille stimoli diversi e ci può essere il falso Testimone inconsapevole (titolo del primo romanzo sull’Avvocato Guerrieri). Basta per esempio condurre in un modo o un altro un interrogatorio. Fatto vedere un filmato dell’urto di due auto è stato chiesto tempo dopo agli spettatori a che velocità andassero le due macchine e cosa fosse successo quando, ad alcuni è stato detto, «si sono scontrate» e ad altri quando «si sono schiantate»: i secondi hanno tutti riferito una velocità molto più alta dei primi e hanno ricordato vetri rotti a terra che in realtà non c’erano. Ma gli esempi riportati sono stati moltissimi e sconcertanti, per concludere che un giudice deve fare molta attenzione, essere cosciente di questo, verificare le mille diverse possibilità di un fatto e controllare nel modo più vario e completo ogni testimonianza, per poter poi deliberare la sentenza “al di la di ogni ragionevole dubbio”.
Naturalmente, seppur la memoria sia uno degli elementi che si possono legare all’Ereditare (parlando non di beni materiali ovviamente, ma di storia e processi e scambi tra generazioni), i grandi temi dei filosofi , psicologhi e sociologhi italiani e stranieri intervenuti al Festival sono stati il passaggio tra padri e figli e, passando a una visione più generale, il passaggio di una società e della Terra come la abbiamo ricevuta e come la lasciamo a chi verrà dopo. In questo senso, «i padri non riescono più a trasmettere un’eredità perché non esiste più la continuità del mondo tradizionale che c’era una volta – ha spiegato Umberto Galimberti – oggi superato da trasformazioni velocissime, dalle nuove tecnologie, dalla comunicazione via internet in cui non c’è momento di riflessione, non c’è connessione vera con cose e persone, a parte quella elettronica». «Una volta, negli anni ’60/’70 c’era l’opposizione con i padri, c’erano due linguaggi che si confrontavano senza capirsi: oggi ce ne sono centomila e viene a mancare quindi anche quella contrapposizione che comunque aveva una sua realtà, e resta solo il disorientamento», ha detto invece Massimo Cacciari, per il quale l’assenza di comunicazione e trasmissione tra generazioni, «deriva dalla mancanza di una relazione dialogica forte, consapevole, che porti a lavorare e trasformare la relazione stessa, tanto che diventa difficile definire il proprio futuro». Per Galimberti è così che si arriva a un certo nichilismo: che è mancanza di motivazioni, che ci sono se c’è una visione del futuro che oggi appunto manca.
Jean-Luc Nancy si è chiesto allora: «Da dove veniamo noi, che non sappiamo più dove andiamo, né se andiamo da qualche parte?» e ha sottolineato come l’ereditare una genealogia, una tradizione, una cultura avvenga oggi senza alcuna coscienza. «Siamo eredi nella forma di un’eredità elementare e in forza di una semplice successione temporale. Ciò che è venuto a mancarci è la trasmissione stessa come atto cosciente, il suo senso, la sua effettività», quindi è un qualcosa che non sappiamo elaborare. «Le nuove generazioni – ha concluso il filosofo francese – non vengono più alla luce per rinnovarsi, né per innovare, ma solo per presentarsi a una sorta di inanità dubitativa. Non si dà più né iniziazione a una maturità compiuta, né nascita a un mondo nuovo».
Oggi con la febbre del giovanilismo, la confusione dei ruoli, coi genitori che vorrebbero “stupidamente” per Galimberti essere amici dei propri figli, padri e madri, secondo lo psicanalista Massimo Recalcati – hanno difficoltà a assumersi il loro ruolo, così che «i figli possano sentirsi eredi e riescano a fare qualcosa di quello che gli altri hanno fatto di loro». Del resto oggi le vecchie generazioni non vogliono cedere il testimone, innescando un blocco e uno scontro (si veda quel che accade anche in politica). Recalcati quindi sottolinea come «l’eredità paterna dovrebbe essere il trasmettere le leggi, i limiti e il rapporto di questi con il desiderio, capaci di sostenerlo e non di opprimerlo, mentre la madre dovrebbe trasmettere il senso positivo della vita, cosa che può fare solo se il figlio lo ha desiderato e ha trasformato quindi lei stessa il proprio desiderio in vita».
Zygmunt Bauman (nella foto accanto al titolo) ha dialogato con Ezio Mauro, direttore de La Repubblica (assieme hanno pubblicato Babel, Laterza) parlando dell’impasse odierna, della grave crisi della democrazia, il cui meccanismo, faticosamente nato nel ‘900, da solo non si tramanda, non si protegge e non ci protegge, come dimostra l’entrata in crisi del rapporto tra cittadino e stato e il crescere enorme delle diseguaglianze sociali, che sfuggono oggi a ogni possibilità di contratto e controllo. Per Mauro siamo sospesi tra un “non più e non ancora”, che è poi “l’interregno” di cui parla Bauman, dove ci sentiamo soli e non si riescono a dare più risposte collettive ai bisogni individuali. «Uno stato di cose che disegna come suo interprete ideale il populismo» per Mauro, la banalizzazione, che riempie la sostanza democratica di rabbia mentre l’opinione pubblica rinuncia al suo ruolo, alla capacità di distinguere invece di fare di ogni erba un fascio. Il tutto porta alla ormai famosa modernità liquida teorizzata da Bauman, che la definisce «condizione di irreparabile precarietà» che diviene fragilità e mezzo di dominio delle persone. La società vive di conflitti ma non riesce più a pensare allora come necessario il trovare un accordo, una mediazione. È la capacità di confronto e dialogo che è venuta meno, dialogo tra individui e collettivo che sia dialettico e arricchente per tutti, da cui possono uscire soluzioni e interrogativi utili.
L’atto di Ereditare, è stato sottolineato più volte, non è un’azione passiva, anzi è un lavoro: l’eredità bisogna volerla e conquistarla, sentire il vuoto da riempire, come ha sottolineato pere esempio Chiara Saraceno, ricordando che l’eredità può anche essere cattiva, ed è la più faticosa da elaborare, perché «se la rimuovi, se non la pensi più è lei che pensa per te» e ti lavora dentro, creando un blocco che ci priva del futuro. L’esempio più eclatante, non individuale, per la Saraceno sono i conti che la Germania, seppur tardivamente a partire da Willy Brandt, ha fatto col proprio tragico passato, e, avendolo elaborato, tanto più su rende conto oggi di quanto possa essere importante l’essere accolti e apre ai migranti. Cosa che non accade per esempio in Polonia, dove il passato e il coinvolgimento avuto nella persecuzione degli ebrei, è stato appunto rimosso.
«Perché la gente possa imparare a prestare attenzione e a essere sensibile all’importanza della diversità culturale, occorre che ne faccia esperienza in prima persona», ha ricordato allora Christoph Wulf, docente di antropologia e educazione filosofica all’Università di Berlino. E aggiunto che «solo chi è in grado di riconoscere l’alterità dentro di sé può riconoscere anche l’alterità fuori di sé e imparare a relazionarvisi». L’attenzione all’altro si lega anche all’attenzione all’ambiente in cu noi e lui viviamo e c’è stato il generale Costante De Simone, ex direttore del Servizio metereologico dell’aereonautica, che ha illustrato le reali e presunte variazioni del clima e come questo sia una spia di altro, serva a capire dove si sbaglia e cercar di correggersi. Si tratta insomma di rispettare il mondo e l’uomo sapendo, come dicevano gli indiani d’America, che «questa terra non l’abbiamo avuta in eredità dai nostri padri, ma in prestito dai nostri nipoti». Lo ha ricordato anche Stefano Rodotà parlando di “fame ereditaria” e del fatto che dovrebbe essere una priorità assoluta combattere la millenaria eredità maledetta della fame e rendere attivo quel diritto al cibo che ci sono voluti secoli perché venisse riconosciuto. Sono temi cari anche a Vandana Shiva, studiosa di ecologia sociale e fondatrice della Research Foundation for Science, Technology and Ecology, celebre per la sua lotta senza quartiere agli Ogm. «Nessuno vuole fermare – ha detto – la ricerca genetica e la sua utilità nel capire la vita molecolare. Cosa diversa è utilizzare questa per speculazioni dannose e illegittime, come quando le multinazionali brevettano dei semi, che non sono invenzioni creative, e li sostengono nonostante i risultati disastrosi, lo stravolgimento di colture e pesi e popoli».
Bisogna, insomma, smettere di essere “prigionieri del presente”, che è stato il sottotitolo di questa edizione del festival, sottolineando la frattura odierna col passato e la mancanza di futuro e di capacità di elaborare l’eredità. È stato Francois Hartog, direttore della sezione storia della Ecole des Hautes Estudes di Parigi, a parlare di quello ciò ha definito ”presentismo”, sottolineando come questo abbia per lui una data di inizio, il 1989 con la caduta dei muri e la fine del comunismo, che ha creato una vera frattura col passato e pian piano ha spinto il mondo a vedere il domani in modo negativo e inquietante: «l’impegno oggi è difendere il presente dalle minacce del futuro, minacce che abbiamo creato noi stessi», e che quindi siamo noi a dover eliminare.
Insomma, da questo festival sono arrivate analisi pessimiste, ma tutti hanno sottolineato come sia solo una vera presa di coscienza a poter aiutare a trovare un punto per ripartire. Allora forse non è un caso che la parola-tema scelta per la prossima edizione 2016 del festival Filosofia sia “Agonismo”, inteso naturalmente in tutte le sue possibili accezioni e ambientazioni, dallo sport alla politica, dalla scienza all’economia.