Luca Fortis
Parla l'artista napoletana

La pittura sensoriale

«La mia pittura appartiene allo spazio e nasce dallo spazio, sconfina, supera i limiti fisici della bidimensionalità e diviene istallazione»: incontro con Mariangela Levita

Entrare nella casa napoletana dell’artista Mariangela Levita, è un viaggio attraverso mille sensazioni diverse. Si è avvolti in un vortice in cui appaiono antiche piastrelle partenopee, opere astratte dai tocchi mistici e sensoriali, antichi mobili napoletani e oggetti che parlano della Campania, di Londra o di Berlino. Affacciandosi dalla finestra, appare il Golfo di Napoli con le isole e le sue barche. Mariangela Levita ha studiato alle Belle Arti di Napoli e ha vissuto tra Aversa, Napoli e Londra. Ha esposto in numerosi musei e gallerie in Italia e all’estero ed è nota per le importanti opere d’arte pubblica permanenti realizzate, tra cui a Napoli i “wall Painting” per il padiglione Palermo dell’Ospedale Cardarelli, l’installazione per il Ponte Don Bosco, “Flag-Down” per la casa dei Cristallini e l’intervento “Self Definition” per la linea 6 della metropolitana.

Attualmente, le sue opere sono in mostra allo SPSI Art Museum di Shanghai, nell’esposizione “Contemporary Visions” e alla Certosa di San Giacomo, Capri, con la mostra “Dipingere il Presente”. Dal 2014 una sua opera “site specific” per il progetto «Sette Opere per la Misericordia in dialogo con Caravaggio» è presente nella collezione permanente nella pinacoteca del Pio Monte della Misericordia di Napoli.

mariangela levita ritrattoMariangela Levita, lei pone al centro della sua arte la pittura e la estende allo spazio oltre la tela, cosa la spinge a questo?

La pittura è la mia esperienza sensoriale del visivo, in un continuo divenire di volta in volta, rispetto a una visione dello spazio, sia esso mentale, che fisico. Per questo la mia pittura appartiene allo spazio e nasce dallo spazio, sconfina, supera i limiti fisici della bidimensionalità e diviene istallazione. Per me dipingere è un mezzo per intervenire nello spazio architettonico.

Nel 2007 ha realizzato un’opera “site-specific” permanente per il Padiglione Palermo dell’Ospedale Cardarelli, un progetto insolito in un luogo di cura, dove sono ricoverati anche i detenuti sotto sorveglianza.

Certo, sono pochi gli esempi d’interventi d’artista, all’interno di strutture pubbliche, in cui la funzione sociale è vincere la sfida contro la malattia, ma è stato proprio questo senso di miglioramento, anche dell’ambiente, a spingere gli architetti addetti alla ristrutturazione a valorizzarne la struttura con un mio intervento. Durante i lavori strutturali dell’edificio sono stata invitata a fare un sopralluogo dello spazio. Inizialmente mi è stato indicato come luogo d’intervento il soffitto della hall d’ingresso, trovai questa proposta limitante e proposi di estendere l’intervento anche ai due spazi delle scale che percorrono i sei piani dell’edificio. Ritenevo quello spazio più interessante perché di passaggio per raggiungere i reparti e perché vissuto dai medici, infermieri, pazienti e familiari. Le scale erano per me l’unico luogo in cui il progetto avrebbe avuto senso. Da subito capii che volevo lavorare sul concetto di detenzione, dalla malattia e dal carcere ed esprimere attraverso la forma, il segno e colore, il senso della sospensione come evasione percettiva, mentale e visiva. Ecco perché il titolo dell’opera è Uno Sguardo Sospeso. Lo spazio è immerso nel colore e ogni colore è giustapposto secondo un criterio che modula i sentimenti e le emozioni generando effetti sensoriali. In questi anni ho ricevuto molti commenti di stupore da parte dei fruitori della struttura. In tanti hanno definito l’opera un caleidoscopio tridimensionale pulsante di buon auspicio.

Permanent Vocation_2013 installation view- Voice Gallery, Marrakech  jpgIn occasione della mostra “Permanent Vocation”, realizzata nel 2013 a Marrakech, ha messo in relazione il suo lavoro con la cultura del luogo. Ha fatto dialogare la sua arte di tradizione occidentale con l’arte islamica. Quali sono le ragioni di questa scelta?

Durante il progetto Permanent Vocation alla Voice Gallery di Marrakech ho studiato molto per mettermi in relazione con la tradizione visivo-formale di un paese islamico. Ho creato degli insiemi percettivi ispirandomi a segni, forme e colori provenienti dalla mia memoria visiva acquisita in due permanenze nella città di Marrakech e relazionandomi, sia con gli strumenti e le tecniche acquisite nel mio percorso creativo,  che  con quelle locali come le polveri di colore e le materie utilizzate nei processi di colorazione dei tessuti locali. Ogni opera ha un “wall-paper” che funge da sfondo, essi hanno una unica matrice  ripetuta, che rimanda concettualmente alle decorazioni delle abitazioni marocchine, ma questa volta  intesa come icona e pattern stilizzato. La scelta è sperimentare e quindi creare. Questo è il mio compito d’artista anche di fronte a una cultura diversa e antica come quella araba.

Lei ha vissuto tra Aversa e Napoli, Londra e ha a lungo soggiornato a Berlino…

Il luogo in cui vivo ha sempre un valore emotivo molto forte, ogni posto è diventato parte del mio bagaglio evolutivo e percettivo ed esce fuori, in maniera istintiva nel mio lavoro. Ho anche soggiornato a lungo a New York negli anni novanta, ma da ragazza Napoli ha rappresentato il cuore e la salvezza. Aversa è la mia infanzia, ci sono nata. Mi ha dato l’opportunità di trovarmi di fronte alla diversità, dico questo dato che ad Aversa è esistito il più grande manicomio italiano, molti degenti, sono sempre usciti di giorno nel paese ed erano per me persone familiari. Camminando per le strade di Aversa li osservavo e cosi ho trovato in loro tanti possibili Van Gogh. Uno dei primi attori della compagnia teatrale di Pippo del Bono, Bobo era un degente del manicomio aversano. Io ricordo Bobo da sempre e ora sorrido perché Pippo Del Bono incontrando Bobo a raccolto un Van Gogh.

Perché si è trasferita a Londra?

Volevo ritrovarmi come individuo in una società più cosmopolita e conoscere la globalizzazione all’interno di una metropoli contemporanea spinta come Londra. Una realtà che in Italia non esiste. È stato un percorso sia mentale, che umano e professionalmente molto arricchente.

Solaris_2015_ wall paintingChe rapporto ha con Berlino?

Berlino la vivo in maniera parallela con Londra e Napoli. Non ci ho abitato, ma la frequento in modo assiduo. Sia a Londra che a Berlino, mi sono sempre sentita a mio agio. Napoli, Berlino e Londra sono città molto diverse e avere la possibilità di viverle e sperimentarle è un privilegio. Sono tre caratteri forti. Sono luoghi dove ti ritrovi immerso in quell’humus creativo che definisco: “overground e underground”. Nella loro singolarità queste tre città offrono, in modo individuale, l’opportunità di essere presenti e partecipi ai flussi di una cultura contemporanea. Berlino sicuramente dà la possibilità di essere immersi in una esperienza aurale, anche in termini energetici. Qui tutte le culture e le diversità si incontrano per abbattere le proprie barriere al ritmo del beat, offrendo dei club considerati “templi sacri” dalle generazioni attuali, che hanno completamente sostituito i rituali tradizionali della domenica mattina.

Uno dei suoi ultimi interventi riguarda il Byblos Art Hotel Villa Amistà nella Val Pollicella.

Al Byblos Art Hotel ho realizzato due opere “site-specific”. L’albergo è in una villa palladiana ed è un museo con una ricchezza di opere d’arte contemporanee non indifferenti, tutte inserite nello spazio come si farebbe in una casa privata. Il mio primo intervento è stato realizzato nel 2014 e si ispira al servizio web  “Wetransfer”, che trasferisce files ad alta definizione. Ho trasformato un corridoio in un percorso di trasferimento dati, con forme geometriche dai molteplici colori che percorrono l’intero corridoio: “wall-painting” su tutta la superficie delle pareti e del soffitto e tappeti che corrono lungo tutta la lunghezza dello spazio. Nel secondo livello della villa, sempre in un corridoio, ho invece creato un’opera dal titolo Solaris riferendomi al concetto di solarizzazione percettiva, che per alterazione e amplificazione, della vista permette di percepire i colori della natura in tonalità fluorescente. In questo caso ho utilizzato pigmenti sintetici e fluorescenti con l’esaltazione dell’oro e dell’argento che esasperano e annullano ogni rimando naturalistico. I colori sono trattati con sfumature e densità differenti per creare effetti, spiazzanti, profondità prospettiche e riverberi di luce, come un miraggio ipnotico. Chi passa nel corridoio si trova portato in una percezione altra, in un futuro imprecisato. Sono opere che ti immergono a 360 gradi in percezioni sensoriali in cui ognuno può trovare il suo binario.

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