In scena a Viterbo
Il papa sui trampoli
Echi rinascimentali e tensioni contemporanee: ecco i fondamenti della rassegna "Quartieri dell'arte” inaugurata sabato scorso da una sorta di precessione laica
Sabato 29 agosto. Arrivo a Viterbo nel primo pomeriggio. La bellezza della città mi appare ancora più decisa e misteriosa di quanto non ricordassi. Ne attraverso il centro a piedi facendo a ritroso parte di quel percorso artistico, performativo e storico che, in pieno stile postmoderno, i direttori del Festival Quartieri dell’Arte, Gian Maria Cervo e Alberto Bassetti, hanno ideato quest’anno per inaugurare la 19° edizione della collaudata vetrina. L’evento, una vera e propria processione cittadina scandita in sette snodi principali per un tragitto di oltre 1330 metri, si intitola Corpus 1462 e l’idea portante è quella di rievocare in chiave contemporanea il fastoso spettacolo rinascimentale che proprio in quell’anno papa Pio II organizzò nel centro della Tuscia.
Dunque, si tratta innanzitutto di un originale omaggio a quel modello di “festa” cittadina, e perciò di perfetta integrazione tra luoghi e creatività, spazio urbano e spazio mentale (se vogliamo anche utopico), che fu una delle maggiori invenzioni della civiltà spettacolare italiana del ‘500. Ma si tratta anche di un contenitore di eventi di alta qualità (performance, letture, concerti, mostre, installazioni, wall-mapping, degustazioni, dj set) molto diversi tra loro e tuttavia concepiti come un unicum in cui disseminare, ampliare, perdere lo sguardo. Me ne accorgo subito, notando i numerosi manifesti rosa di Corpus che arredano le strade cittadine: chiese, sale, palazzi, bar, fontane, ristoranti trasformati in un eclettico palcoscenico all’aperto che in definitiva vuole essere anche – e forse soprattutto – un grande regalo ai cittadini viterbesi.
Zona di partenza è Piazza della Rocca, nei pressi di Porta Fiorentina. Sono circa le diciassette ma fa ancora molto caldo. Buona parte del corteo degli spettatori si assiepa davanti alla grande fontana centrale per assistere alla performance Michelangelo as himself di Paolo Angelosanto, Eleonora Chiesa e Carlos Concha: una visione fortemente legata alla storia religiosa e controriformistica di Viterbo dove il cardinale Reginald Pole (che qui ebbe una casa e un circolo non scevro da influenze luterane) diventa un porporato su trampoli dall’andatura traballante e instabile, Michelangelo (che proprio per il Pole aveva eseguito una Pietà) trasfigura in un Adamo declinato su registri marcatamente pop e Vittoria Colonna (notoriamente frequentata dall’uno e dall’altro) ci appare come una nobildonna scalza che distribuisce fiaccole accese al pubblico. Al seguito di un instancabile Gian Maria Cervo, guida ciceroniana autocandidatasi (e volentieri) a dispensare spiegazioni storiche e architettoniche, ci muoviamo poi verso Piazza della Vittoria dove ci attende l’atmosfera trascendente e al contempo umanissima di Installazione per tre angeli e donna delle pulizie di Dimitri Prigov (progetto in collaborazione con l’Ermitage di San Pietroburgo), che racconta in pochi minuti e con raffinata forza evocativa il rapporto tra Dio e gli umili, il confine tra pietas e orrore, tra spiritualità e morte. Una donna pulisce una lunga vetrata che divide il luogo della rappresentazione dal luogo della visione. Guardando attraverso il vetro, ci appaiono prima due poi tre angeli sospesi per aria che dondolano nel vuoto abbacinante della scena e versano secchi di vernice rossa – dunque di sangue – a terra, mentre un grande occhio centrale (l’occhio di Dio appunto) lacrima sangue anch’esso. Un’immagine di eccellente nitore che mi porto dietro per molte ore, mentre gli eventi si accavallano; mentre altre immagini, altre parole mi raccontano la possibilità di mettere insieme il rock con Orfeo, Leon Battista Alberti con il gusto odierno, le opere di Paul Whitehead (storico illustratore dei Genesis) con Gerolamo da Cremona e la macchina di Santa Rosa.
Via via che attraverso il Corso, Piazza delle Erbe, Piazza Plebiscito, dove a breve Valter Malosti e la Enrico Mianulli Band daranno vita ad una lettura in musica del La fenice e la tortora di Shakespeare che farà a sua volta da preludio ad una ricostruzione video della Fontana d’Ercole ideata dallo scenografo Premio Oscar Gianni Quaranta, penso al coraggio di un’operazione così complessa e articolata, dove però l’intento di fare cultura sposa l’esigenza e il desiderio di rendere questa cultura popolare e accessibile a tutti. Un coraggio che rimanda in fondo al coraggio stesso della parola. Al coraggio di quel “linguaggio” teatrale che in questo festival è sempre stato valorizzato come costruttore di senso e di drammaturgia: «Anche questa seconda edizione del ciclo Ci sarò non ci essendo come ci sarò essendoci – spiegano i due direttori artistici – accosta le drammaturgie rinascimentali d’invenzione linguistica (Shakespeare e i suoi debiti europei, soprattutto italiani) al language playwriting contemporaneo». E la linfa del contemporaneo può arrivare sulle scene anche da fuori del teatro stesso: altro interessante appuntamento della manifestazione è infatti la lettura, ad opera della compagnia Biancofango, di un articolo pubblicato nel 2012 da Olivier Py (noto drammaturgo e regista francese nonché direttore del Festival di Avignone) su Le Monde e intitolato L’intollerabile intolleranza sessuale della Chiesa: Luca Tilli al violoncello accompagna la rabbia di un Andrea Trapani che si fa voce robusta contro la discriminazione omofoba e l’orrore (torniamo agli angeli di Prigov) di un messaggio evangelico tradito nella sua più intima, compassionevole sostanza.
E allora metto insieme le tessere: tra storia, arte, mitologia (la stessa fontana di Quaranta viene immaginata come monumento ideale per accogliere la vicenda di un Ercole marmoreo che sogna di uccidere quel leone leggendario divenuto secoli dopo simbolo della città), utopia, spiritualità e riflessioni etico-politiche, questo Corpus rappresenta davvero un contenitore dentro cui abbattere ogni confine e mescolare, ieri come oggi, l’arte con la vita.
Viterbo è ormai buia. Palazzo dei Papi sembra uno scenario irreale. Gigantesche immagini proiettate colorano chiese e monumenti e questi, stagliati contro il cielo notturno, sembrano quinte di cartapesta: perfezioni geometriche che fanno venire in mente le ricerche scenografiche di Baldassarre Peruzzi, dello stesso Leon Battista Alberti. Ma quel nostro passato glorioso stasera si anima di energie tutte moderne: il Dj Jolly Mare intrattiene la massa di ragazze e ragazzi riversatasi nelle vie e nelle piazze. Si beve. Si balla. La musica è alta. La processione postmoderna continua. E continua soprattutto l’interessante cartellone 2015 di Quartieri dell’Arte, con titoli italiani e stranieri in scaletta sino a fine ottobre (programma consultabile nel sito www.quartieridellarte.it), sbirciando tra i quali non è difficile intercettare riprese, richiami, espansioni progettuali di quanto visto durante la lunga, vitale, maratona di oggi.