Alessandro Boschi
Il nostro inviato al Lido

Il bandito Johnny

A Venezia è il giorno di Johnny Depp, un gangster irlandese trapiantato a Boston. Ma ha avuto molto successo anche “Francofonia” di Alexander Sokurov sui rapporti tra arte e potere

Nel giorno in cui sbarca al Lido Johnny Depp, riecheggiano ancora le parole di Alexander Sokurov: «Voi italiani ci avete insegnato tantissimo». Il suo Francofonia presente alla Mostra di Venezia in concorso, riesce ad esplorare il complicato rapporto tra arte e potere sottolineando la capacità della prima di rappresentarci anche durante i conflitti più gravi. Come lo stesso Sokurov afferma, è evidente ciò che sta succedendo anche in questi giorni, con l’assassinio di persone dedite alla difesa non solo di opere di grande valore artistico ma della cultura umana stessa. Ed è proprio a questa cultura umana che il regista si riferisce quando regala proprio a noi quel bellissimo complimento. Egli afferma anche che il suo museo preferito è Firenze (nonostante tutto, ndr) e che ciò che gli ha procurato la visione della Cappella Sistina è impossibile da raccontare con le parole. Per questo ci auguriamo che prima o poi lo faccia con lo strumento che egli meglio sa usare: le immagini.

Johnny Depp, dicevamo, protagonista dell’applaudito Black Mass (fuori concorso). Diretto da Scott Cooper è il racconto, che prende spunto da una storia vera, della vita del gangster Whitey Bulger, irlandese trapiantato a Boston (città molto presente nei film festivalieri). La trama non di discosta molto da quelle di decine di altri film di genere. Ciò che però fa la differenza è la capacità di regista e sceneggiatori di non affidarsi ad un unico filone narrativo legato ad un personaggio o ad una delle vicende raccontate. Black Mass riesce infatti a rimanere un film corale del quale si riconosce, sì, il protagonista ma in cui ogni aspetto viene mantenuto in primo piano e in cui alla fine tutto risulta perfettamente omogeneo e collegato.

Oltre al già citato Francofonia, è passato, sempre in concorso, anche Looking for Grace dell’australiana Sue Brooks. Con tempi scanditi fin troppo cautamente, la regista cerca di coniugare il dramma della scomparsa di Grace, che però dramma non sembra troppo almeno a giudicare dalle controllate reazioni familiari, con temi esistenziali più alti attraverso l’indeterminatezza di situazioni e paesaggi. In concorso anche Beasts of no nation di Cary Fukunaga (proprio lui, quello di True detective). un tema senza dubbio importante come quello dei bambini guerriglieri, trattato però senza un’idea registica forte, che procede per accumulo, molto spesso di luoghi comuni. Prodotto e interpretato da Idris Elba resta comunque un film importante, il che non significa che sia un film bello.

Spotlight di Thomas McCarthyNotevole invece Spotlight di Thomas McCarthy, fuori concorso. Robusto dramma giornalistico giudiziale che ripercorre la storia di una indagine giornalistica poi Premio Pulitzer sui preti pedofili di Boston (ancora) e non solo e della copertura ottenuta dalle istituzioni religiose. Ottime prove di Michael Keaton, Mark Ruffalo e di una serie impressionante per bravura di comprimari e anche semplici gregari. Sarebbe stato interessante vederlo al festival di Roma, in particolare per il cartello finale. Che ci ricorda che il cardinale Law (proprio così) responsabile principale della ignobile vicenda, è stato trasferito a Roma e tuttora occupa un posto di prestigio in Vaticano. Aggiungiamo anche che lo scopo della indagine e quindi del film, non è tanto raccontare le vicende di sacerdoti pedofili, ma di veri e propri predatori che scelgono con accuratezza le proprie vittime tra le famiglie più disagiate e, in secondo luogo, di come sia stato il cosiddetto sistema a tentare di coprire tutto. Si scrive sistema, si legge chiesa. Meretrice direi, questa volta.

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