“Comprensione del crepuscolo”
Gli attrezzi del poeta
Il distacco dalla madre e l’emozione del paesaggio nella raccolta di Luca Nicoletti che traccia vie nuove ponendo interrogativi e dosando con maestria semplicità, ricerca teorica, senso aureo della parola
Il poeta scrive per ritrovarsi dopo uno smarrimento, ci ricorda Valerio Magrelli, dove le ragioni di tale situazione si perdono nella geografia complessa della nostra mente, del nostro agire, con quel nucleo di dolore, di angoscia, di sorpresa, di dispersione, di stupefazione che ci accompagna. Il poeta trova poi le giuste tensioni per inseguire una parola esatta. Rendere le evidenze di tali ragioni, di un tale smarrimento, è il lavoro essenziale che il critico compie, che è poi lʼesigenza di leggere la poesia interrogandosi, come giustamente Alberto Casadei ricorda in un suo recente libro (Letteratura e controvalori, Donzelli). Un esercizio complicato ma sicuramente il più corretto per aprire una luce sul testo poetico (quindi dare una indicazione e una ʻeducazioneʼ al lettore, per “formare un lettore di poesia”), sapendo tuttavia che vaste zone dʼombra rimarranno, perché la poesia è comunque un labirinto da cui difficile è uscire, come diceva Bigongiari.
Da parte nostra proviamo ancora una volta a inseguire le tracce e porci le relative domande su una raccolta in versi, quella di un poeta cinquantenne, quasi esordiente, Luca Nicoletti, che per lʼeditore Passigli ha scritto Comprensione del crepuscolo, dove lo smarrimento e il tentativo di ritrovarsi sono le linea guida del suo racconto poetico. Si parte inevitabilmente dalla morte della madre del poeta. La morte di una donna, Rosita, che ha fatto un po’ la storia recente di Riccione, con la sua personalità di artista, di grande fotografa, omaggiata in Italia e allʼestero, di grande albergatrice, di vivace fomentatrice di cose culturali cittadine, di amante della natura. Nicoletti sa dire bene quanto questo rapporto filiale fosse straordinario: una sintonia dʼinteressi, una ammirazione profonda, un dialogo intenso («Hai nascosto il futuro/ nel tuo nome, in un fiore/ e hai inteso il tuo sguardo/ nellʼessere un fiore/ hai insegnato con gli occhi/ che il non-essere è mai./ Rosita, fintanto che al mondo/ rimane una rosa»).
Poi cʼè la malattia, che diviene un calvario, un rimettersi al male che avanza senza tregua, quelle lunghe e disperate veglie, quello stare continuamente con la pena, tra ospedali e viaggi della speranza, vivendo sempre con il disagio della morte incombente. Nulla è più presente nella poesia, che la disperazione per la perdita della madre, chiaro assieme allʼamore, ma pure quello della madre è un codice dʼamore. È stato detto che il poeta può usare, col manifestare il dolore per una perdita, una sorta di ricatto verso il lettore, come dire: guarda il mio pianto e sappi che da qui nasce la mia poesia e tu non puoi che apprezzarla, perché un lutto è un dolore condiviso. È vero, questo può succedere, ma non è il caso di Nicoletti, che non cerca consensi attraverso quelle parole estreme, egli si ripiega nel ventre della sua angoscia e la racconta, perché semplicemente quelle sono le uniche parole che può dire, gli unici gutturali suoni che il suo respiro affannato sa emettere, raro è infatti trovare come qui il sabiano necessitante impiego di una parola onesta («dovrai scrivere qualcosa…/ su ogni giorno che muore/ su quella rosa,/ unico fiore/ allʼincontro di ottobre/ fino allʼautunno/ ce lʼha fatta a portare/ il rosso velluto,/ su uno sfondo di foglie/ appena prima del vento»). Un dato semplice che vogliamo sottolineare, perché non si confonda il dolore con lʼabuso del dolore a fini di promozione come accade di leggere. Nicoletti pare non saper che percorrere quella strada, che diviene una gabbia ansimante e asfittica, cruda e colma di pena e ciò anche per il lettore, che sarà trascinato nei meandri di un tragitto di sangue, nel vortice cieco di una vita, rappresa nel vuoto di una sentenza.
Ma crediamo che si possa cogliere in questo libro, in questo martellare continuo che ferisce le tempie, una interpretazione ulteriore. Pensiamo che Nicoletti con queste poesie non cerchi solo di definire un dialogo con la madre, o sfidare le leggi della vita nel momento in cui stabilisce con ella un vociare post mortem, bensì in qualche modo, con questo contatto ultimo, voler uscire da una gabbia luttuosa, per poter fissare i temi di una svolta. Cioè voltare i connotati della fine e darsi pace, darsi alla vita che scorre tra il mare Adriatico e le vie verdi della collina riminese. Chiudere necessariamente una pagina dovuta, per poi consegnarsi a uno sguardo mirato al dopo, come si rileva emblematicamente in questi versi: «io so che tu/ sei lʼoccasione aperta/ alla vita che continua,/ sei il sorriso, gli occhi, il viso/ di una notte così dolce,/ cara come il tuo saluto». E con ciò superare non solo la morte di Rosita, ma, forse, anche una presenza che forte della sua straordinaria personalità, aveva sospeso lʼistanza artistica del poeta, racchiusa nel fuoco dellʼamore materno e nella accondiscendenza a un soggetto creativo ʻaltroʼ.
Ma nella sostanziale adesione a questo tema, nel poeta romagnolo scorgo anche nuove vie, che mi preme mettere in risalto perché sarà, penso, lo scenario futuro a cui il suo occhio guarderà: sono le poesie in cui la parola si confronta con i paesaggi di mare che si stagliano pieni di incanto («il mare in fondo alla strada/ sempre a raccogliere il tempo»), di sorpresa, di mistero, con le colline abbacinanti di tensione («le colline hanno voce lontana/ stringono forte le notti dʼestate/ il grano verde è il respiro/ di unʼonda dʼoceano»), con la natura, con il paesaggio avvolto nelle consuetudini («…dopo la curva del Prete Basso/ lʼinfinitesimo dettaglio/ lʼassenza nel paesaggio/ appena giù dalle colline/ di Saludecio e Mondaino») o nei colori che spruzzano emozioni («…Cinzia…/ quali occhi avevano cercato/ sopra i tetti di Parigi, scrutando/nel rosarancio del crepuscolo»). È il sostanziale abbraccio alla propria terra, fatta di colline e vallate, di vie tanto animate, fatta di mare, mare struggente, mare amico, mare serale e notturno che prende alla gola, quel rosato fragile che si specchia nella vita e fa sussultare di gioia, di infinita passione. C’è altro dato che ci fa propendere per una simpatia e una fiducia per gli esiti poetici di Luca Nicoletti: la semplicità, il tratto dellʼinterrogazione, il senso della ricerca, la consapevolezza dellʼimportanza dellʼaspetto teorico, il gusto per la lettura, il senso della grandezza aurea della parola poetica. Gli ʻattrezziʼ indispensabili del poeta.