Dal terrorismo ai migranti
Chi c’è dietro l’Is?
Dal primato degli estremisti waabiti nel mondo arabo a quello degli affaristi del consenso xenofobo in occidente. Qualche considerazione sulla criminalità globale
Chi c’è dietro Stato Islamico e Boko Haram? Chi li finanzia? Perché è cosi difficile da capire un fenomeno che nel mondo islamico conoscono anche le pietre? Cosa ci fa sottovalutare alcuni fenomeni del radicalismo armato? Queste sono solo alcune domande, peraltro tutt’altro che esauistive, cui proveremo a rispondere nello spazio ristretto e semplificatorio di un articolo.
Non ci sono dubbi che tra i maggiori finanziatori del radicalismo violento e bestiale ci siano alcune fondazioni waabite saudite ma non solo. Il waabismo è presente anche in Qatar e negli Eau, quasi assente in Kuwait e nel Barhein. La sua forza deriva dal potere “politico” che esercitano, specialmente in Arabia Saudita, dove nominano il ministro della Giustizia, e dal ricatto morale che utilizzano per tenere sotto scacco una famiglia reale pletorica, dedita ai complotti intestini e sostanzialmente corrotta.
Perché il fenomeno waabita esplode dagli anni Settanta, con la fondazione di centinaia di madrasse e istituzioni in mezzo mondo? Semplice, grazie ai petrodollari. Scuole, borse di studio, network internazionale, rapporti personali e consuetudini, possibilità per molti giovani di umili origini di riscattare il proprio stato grazie all’aiuto del waabismo, sono alcune delle componenti che hanno fatto mettere radici e crescere il movimento ultraortodosso islamico che, come vedremo, è la risposta storica (sbagliata) a momenti “difficili”, come il salafismo di Ibn Taymiyah fu la risposta, qualche secolo fa, alla piccola (crociate) e alla grande tragedia (invasione mongola) dell’Islam.
L’Islam del Golfo. Ma perché il waabismo e l’Islam del Golfo sono così diversi da quello del Maghreb o del Meshrak? Se potessimo coniare un neologismo, diremmo che la “geopolitica” dell’Islam ha una parte importante nell’aver modellato stili così diversi nella religione. Proveremo a darne una lettura, con cenni storici e riferimenti culturali, senza peraltro avere la pretesa di avere verità di alcun genere in tasca. Ma dopo quasi tre anni in giro tra Maghreb, Golfo e Medioriente, evitando accuratamente salotti, abitudini e velleità da expat e avendo l’umiltà di frequentare moschee radicali e quartieri “difficili”, qualcosa da dire al di fuori del coro l’abbiamo trovata, per spiegare, almeno in parte, l’affermazione di questa versione di Islam nominalistico.
Occorre innanzitutto parlare di spazi e dividere la storia dello sviluppo dell’Islam in tre aree principali. Le medine, le città che permettevano la nascita di comunità ricche e colte, disponibili a cedere parte delle proprie libertà a un controllo centralizzato. Le campagne, meno ricche ma comunque floride, dove una popolazione stanziale era la più soggetta alla dipendenza “statale” per la necessità di infrastrutture come le opere irrigue o la difesa del territorio da razzie e conquiste. Poi esisteva una grande e vasta terra incognita, costituita da deserti o territori inospitali: il regno delle popolazioni nomadi. Tra questi, i beduini ne erano una parte importante. Da nomadi erano liberi di muoversi. Impossibile o quasi assoggettarli a un controllo da parte di un governo qualsiasi. Razziatori, briganti e impermeabili alle leggi degli “stanziali”, ne taglieggiavano gli spostamenti. Dopo la “grande tragedia” l’invasione mongola (le crociate sono definite la “piccola tragedia”) anche loro popolazioni nomadi, questa componente antropologica del mondo arabo e quindi anche islamico ha continuato a prosperare. Giocoforza tra queste genti, che in linguaggio biblico avremmo chiamato “corinzi” (i puristi mi perdoneranno) non poteva che prendere piede un Islam duro, severo, violento come lo stile di vita che li distingueva dagli abitanti delle madine e da quelli delle zone coltivabili. Quindi un’interpretazione della religione più cruda fino alla mistificazione, burocratica fino all’incomprensione. A onor del vero il lavoro del radicalismo è sempre partito dalla Sunna, la raccolta dei “detti” del Profeta (pbGuh) gli hadith che, come i Vangeli, hanno subìto un lungo vaglio perché riportati da fonti plurime e in tempi diversi. Un lavoro continuo. Lasciamo immaginare al lettore a quale genere di influenze siano stati soggetti i risultati finali. La parola di Dio è solo nel Corano: materia quindi indiscutibile per ogni musulmano. Come lo sono gli altri due libri sacri inviati da Allah in tempi precedenti: la Torah e i Vangeli.
Antropologia e storia. La forza dell’Islam “beduino” waabita è poi legata a tre fattori principali. La complessa psicologia araba che nei momenti difficili della storia ha sempre sublimato con l’estremismo situazioni di sostanziale impotente frustrazione, il cinismo britannico che dopo la caduta dell’Impero ottomano incoronò i Saud custodi della Mecca e legati storicamente al waabismo. Tradendo sostanzialmente i patti con gli hashemiti, quelli di Lawrence d’Arabia per intenderci. E il petrolio che ha conferito a questa corrente ultrafondamentalista un potere che altrimenti sarebbe rimasto sostanzialmente marginale, nonostante abbia sempre coltivato il proselitismo a livello “globale” ante litteram, fino ad arrivare in India qualche secolo addietro. È una delle tante declinazioni del salafismo, alcune delle quali non sono violente, ma potremmo perfino definirle “francescane”.
Il waabismo prende il nome dal suo fondatore e nacque agli inizi del XIX secolo. È utile citare un episodio storico per capire facilmente di che razza di “versione” di Islam parliamo.
Agli inizi dell’800 i seguaci di Wahab riuscisono a creare qualche scompiglio nell’Impero Ottomano, già in fase discendente. Conquistò la Mecca e distrusse la tomba del Profeta (pbGuh) in pieno fervore iconoclasta. I fedeli non potevano distrarsi nel culto di altre figure oltre che Dio. Questo tanto per dare la misura del livello di radicalismo che affligge Boko Haram e Stato Islamico e che spiega lo scempio di reperti storici a Timbuctù o ultimamente a Palmira. Tanto per fare un esempio. Per non dire dello scempio di vite umane. E la recente adesione di BH a SI è stata decisa essenzialmente in seno alle fondazioni waabite che le finanziano. E che esercitano una sorta di regia, forti del potere di ricatto presso la corte di Riad e della rete internazionale costruita in oltre mezzo secolo grazie ai petrodollari. E grazie anche alla distratta attenzione dell’Occidente. Sarebbe meglio dire interessata distrazione. Per i Saud era meglio far diventare i waabiti dei globetrotter piuttosto che averli in casa a sfidare continuamente la legittimità del loro potere. E per molti altri impegnati a prendere i loro soldi, era meglio non fare troppo domande.
Oltre al sostanzioso sostegno waabita, IS e BH hanno potuto annoverare alleati “occasionali”. Attori nazionali e interessi economici che cinicamente vedevano la violenza scatenata da questi “figli del diavolo” come una opportunità da sfruttare per i fini più disparati. Sullo sfondo di una considerazione agghiacciante quanto banalmente atroce: la vita di un musulmano non vale nulla.
Faccio un esempio verosimile, tanto per essere chiaro sul tipo di mondo che stiamo costruendo. Le dinamiche globali, sfuggite ormai a qualsiasi controllo e una sempre più evidente debolezza politica, legata anche a una intrinseca fragilità dei sistemi democratici di fronte proprio a queste dinamiche, ha portato a un pericoloso gioco di rimessa. Prendiamo l’Unione europea. I conti di sistemi pensionistici e sanitari vanno verso l’insolvenza a causa dell’invecchiamento della popolazione. Gli immigrati servono eccome. Ma sfortunatamente questa necessità è in controtendenza rispetto all’umore dell’opinione pubblica che vira verso la xenofobia. Così si fa finta di voler combattere l’immigrazione clandestina, schierando navi militari nel Sud Mediterraneo che sostanzialmente fanno parte della catena di “rifornimento” di manodopera. La politica non sarebbe oggi in grado di imporre una politica di immigrazione di massa senza scatenare le piazze. Guerre, violenze e teste che volano non sono un elemento che crea problemi a questi interessi non dichiarati e aiutano a virare verso modelli di governo più “veloci” e giocoforza meno democratici.
Le foto sono di Pierre Chiartano