Loretto Rafanelli
In Ecuador, poesia ma non solo /1

Appuntamento a Paralelo Cero

Mentre da noi la parola poetica viene sempre più negata, sorprende il seguito che invece ha in America Latina dove si organizzano i più importanti festival nel mondo. Come quello (itinerante) di Quito, la città in cui Papa Francesco ha tenuto il suo discorso politicamente più significativo

Il mio viaggio in Ecuador non è stato dettato da motivi turistici. La mia visita in questo paese è legata alla partecipazione a un grande Festival di poesia chiamato Paralelo Cero. Non tutti forse sanno che i più grandi festival di poesia del mondo si tengono in America Latina. Citiamo, per dare conto del fenomeno, alcune località dove si tengono: Medellín, Città del Messico, Granada, Bogotà, Lima, Caracas, Quito, Saltillo, Torreon, Aguascaliente, San Louis Potosì, Barranca, Assunción, Buenos Aires, Rosario, Guadalajara, Zamora, Bucaramanga, Quetzaltenango. Si può dire che ogni stato dell’America Latina ha un festival di poesia, quando non sono assai di più, come in Colombia, Messico e Argentina. Tanti luoghi di tanti paesi, coinvolti e vivacemente legati alla voce della poesia, e si ha l’idea, anche figurativamente, di un interminabile e fecondo itinerario poetico. Parliamo di grandi festival con la presenza di numerosi poeti provenienti da tutto il mondo e con un pubblico ampio, a volte enorme. Qui a Quito il Festival Paralelo Cero a differenza di quasi tutti gli altri, ha la caratteristica di essere itinerante, quindi le letture dei poeti si tengono a Quito ma anche in altre città. Il Festival ecuatoriano nasce per l’impegno di un grande poeta di quel paese Xavier Oquendo Troncoso, che è riuscito a portare alla settima edizione questo evento, crescendo anno per anno, fino ad avere in questa edizione la presenza di ben 50 poeti provenienti da vari paesi del mondo, alcuni dei quali assai conosciuti: dai messicani Marco Antonio Campos, Myriam Moscona e Luis Armenta Malpica, agli argentini Diana Bellesi e Hugo Mujica, Carlos Aldazábal, all’uruguagio Rafael Courtoisie e Alfredo Fressia, al marocchino Mezouar El Idrissi, agli spagnoli Luis García Montero, José Ramón Ripoll e Juan Carlos Abril, al cileno Sergio Badilla, ai colombiani Piedad Bonnet e Santiago Espinosa, all’italiano Alessio Brandolini, al domenicano Frank Báez.

ecudor festivalUna esperienza molto interessante, seguita da un numeroso pubblico, attento alla poesia; ricordo con piacere anche i numerosi incontri nelle scuole, con gli studenti entusiasti nel poter sentire le letture dei poeti e poter dialogare con loro, una cosa che muove una certa tenerezza, una sincera emozione, pensando anche alle condizioni modeste di questi giovani. È qualcosa che lascia quasi sorpresi, e viene da pensare alla sufficienza con cui viene seguita la poesia in Italia, ormai esclusa dai vari circuiti culturali, messa al bando sui giornali, abbandonata dall’editoria (ma qui si deve ricordare, oltre a questo blog, la straordinaria esperienza di Mobydick, l’inserto settimanale di liberal quotidiano prima che cessassero le pubblicazioni, con le sue due pagine dedicate alla poesia). Pochi e residui fortini resistono, pensiamo soprattutto alla rivista Poesia, un esempio incredibile di tenacia a cui tutti dobbiamo molto, perché ha diffuso la voce della poesia italiana e straniera come nessuno ha fatto. Sappiamo che la decadenza della società occidentale ha grandi ed enormi cause, ma un po’ crediamo possa dipendere anche da questo negare la parola poetica.

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Ecuador papa e presNon rinuncio, tuttavia, a tracciare queste note non per informazione geografica ma per trasmettere il fascino raro di questo paese. Non poteva che iniziare dall’Ecuador la visita di Papa Francesco in America Latina, perché qui abbiamo percentualmente la più grande comunità cattolica, si dice il 92% dell’intera popolazione, che è di 16 milioni di abitanti, e una presenza molto forte nel mondo dell’istruzione (con i salesiani e i gesuiti, l’Università cattolica e l’Università Pontificia che hanno formato intere generazioni di ecuadoriani), dell’informazione e della cultura. Papa Francesco nel suo giro pastorale ecuatoriano ha tenuto vari incontri, a Guayaquil, la “perla del Pacifico”, davanti a oltre un milione di persone (la città è la più grande e popolata del paese coi suoi oltre 2,5 milioni di abitanti e un porto di grandissima importanza per tutto il continente), quindi nel grande Parco del Bicentenario di Quito. Ma il discorso politicamente più significativo il Papa l’ha tenuto il primo giorno a Quito, dalla terrazza del Palazzo del Governo che si affaccia nella bellissima Piazza Grande, un incrocio fra un giardino e una spazio civico dove batte il cuore più profondo non solo della città ma dell’Ecuador. Qui il Papa ha parlato avendo al suo fianco il presidente della Repubblica Rafael Correa, da mesi fortemente contestato da opposizioni di destra e di sinistra, e da una parte della Chiesa. Chiaro che tutto ciò non è stato casuale e riveste un significato preciso, perché anche per un personaggio come Bergoglio, irrituale e libero, stare vicino a questo presidente, era, pensiamo, come lanciare un messaggio ai tanti oppositori, come dire: «lasciatelo lavorare, le opposizioni si chetino, si badi al bene comune».

Ecuador papaPeraltro il tema della concordia e del superamento dei conflitti è stato il filo continuo dei discorsi del Papa in America Latina, che ha ribadito il concetto che «affidarsi all’altro è qualcosa di artigianale, la pace è artigianale. È impensabile – ha aggiunto – che risplenda l’unità se la mondanità spirituale ci fa stare in guerra tra di noi, alla sterile ricerca di potere, prestigio, piacere o sicurezza economica». Il Pontefice ha così parlato di una “ricerca di comunione” e politicamente si è fatto interprete di un riconoscimento storico decisivo, ricordando ed esaltando il bicentenario della Liberazione bolivariana (da Simón Bolívar il leggendario rivoluzionario, eroe continentale, definito “L’uomo d’America”, che ha favorito nell’Ottocento la nascita e la diffusione in diversi stati latinoamericani di fondamentali ideali libertari e democratici), che ha restituito dignità e sovranità ai popoli del Sudamerica, ricordando in particolare «quel grido di indipendenza dell’America Ispanofona, un grido nato dalla coscienza della mancanza di libertà, di essere spremuti e saccheggiati, soggetti alle convenienze contingenti dei potenti di turno». Quindi l’appoggio a Correa è l’appoggio a un presidente che tenta di capovolgere il quadro economico esistente, dove il 2% della popolazione ha in mano buona parte dell’economia del paese.

Ecuador peopleE, ancora, non a caso il Papa in questa piazza si è fermato davanti alla lapide che ricorda Gabriel Gregorio Garcia y Moreno, un grande presidente che per quanto conservatore cattolico permise al suo paese di divenire il primo in America Latina nel settore dell’educazione e della scienza. Subì una sorta di martirio a opera dei latifondisti, nel 1875, che, prima di ucciderlo gli gridarono «Muori, carnefice della libertà!», e lui rispose: «Dios no muere». Dio vive forte nelle parole del Papa, che auspica però anche una rivoluzione sociale ed economica, una «giustizia sociale ampia e significativa» come ha avuto modo di dire, riaffermando la sua parte di prete vicino al disagio e alla povertà e sostenendo chi nell’America Latina si muove su queste linee a prescindere dalle colorazioni politiche, che sono forse l’ultimo assillo di Papa Francesco.
(continua)

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