Viaggio in Italia/1
Lucania, l’altro Sud
Viaggio in Basilicata, oltre i luoghi comuni della natura meravigliosa, del mito dei Sassi e del cemento di Potenza. Per scoprire, da meridionale, un Meridione molto diverso
Per molti, moltissimi anni, la Basilicata è stata per me solo la corta e frastagliata costa di Maratea, con le sue spiagge bellissime, il suo centro storico intatto e severo dove si andava per mangiare la pasta frolla all’amarena di una pasticceria con i banchi di marmo, le sue tre stazioni ferroviarie che mi scorrevano sotto gli occhi sull’Interregionale senza aria condizionata che mi portava in vacanza in Calabria. Poi un’estate sono stata a Scanzano Jonico e ho dovuto prendere atto che la regione aveva un altro, diverso affaccio sul mare: una lingua di sabbia lunga 35 chilometri, a tratti preceduta dalla pineta, con un mare basso e calmo sul quale sorgevano, grazie ai finanziamenti della Comunità Europea per le aree depresse, improvvisi e isolati villaggi turistici che avvinghiavano i loro ospiti nelle spire della pensione completa e dell’animazione, dissuadendoli dall’andare a visitare qualche posto all’esterno. Finiva qui la mia conoscenza della regione timida, stretta – e però indenne – tra le tre più grandi del nostro meridione. Della Basilicata, che prima si chiamava Lucania, non sapevo quasi nulla, non ero neanche mai andata a vedere i Sassi di Matera; solo una volta – ma è un ricordo sfuocato – ero passata per Potenza, e non m’era piaciuta, avevo visto solo salite e palazzoni alti di cemento.
Così, in quest’estate volutamente italiana, ho deciso di colmare la lacuna, di conoscere un’altra faccia del nostro Sud. Quest’estate ho fatto un breve viaggio in Basilicata.
La Basilicata – ho studiato, prima di partire – ha una superficie di quasi 10.000 km2 e meno di 600.000 abitanti, che corrispondono all’1% della popolazione italiana, con una densità molto bassa, superiore solo a quella della Val d’Aosta (dove però, con tutte quelle montagne, di territorio abitabile ne tengono davvero poco).
Anche il territorio lucano è prevalentemente montuoso, ma di montagne più modeste, e ha molti fiumi, qualche lago, una diga che è la più grande d’Europa e una piana fertile, tra Metaponto e Policoro, che produce ed esporta frutta, verdura, ortaggi e milioni di fragole. È un vanto, questa fertilità e molte trattorie e ristoranti, con semplicità, senza scomodare la definizione a chilometro zero, lo scrivono nei loro menù, “cucina con prodotti locali”.
Ho cominciato la visita percorrendo la Basentana, che taglia da ovest a est la regione seguendo il tracciato del Basento: una strada che sale e scende, si allarga e si restringe, attraversa montagne, vallate con le pale eoliche, radi insediamenti industriali. Un percorso di 100 chilometri con poche stazioni di servizio, che passa per Potenza, sfiora Matera e finisce proprio come il fiume nel mare della Magna Grecia di Metaponto. Sovradimensionata rispetto all’esiguo traffico che la solca, offre scorci molto belli, che subito dicono qualcosa del carattere aspro e insieme generoso di questa terra.
Ho dato una chance a Potenza, e sono salita in centro usando la scala mobile Marconi, comoda, gratuita, con le pareti in parte decorate dagli studenti dell’Accademia e del Liceo Artistico. Ho trovato un centro lindo, vivace, con la piazza Mario Pagano sistemata dallo studio di Gae Aulenti e i bar sotto i portici ancora con insegne e arredamento anni ’70. Ho respirato l’aria buona che si trova sopra gli 800 metri, non ho incrociato nessun turista ma ho trovato gentilezza, disponibilità e ottimo materiale al locale Ufficio APT. Ciò che mi è rimasto davvero in mente però sono le anziane contadine incontrate in una strada a due passi dallo shopping di via Pretoria, con le loro sporte di frutta e verdura appoggiate a un muretto e lo sguardo curioso e pacifico.
Dopo il capoluogo mi sono diretta verso le Dolomiti Lucane e ne ho percorso le strette strade senza quasi mai incrociare altre automobili, fermandomi tutte le volte che volevo per fotografare queste montagne di arenaria che si aggrappano al cielo. A Pietrapertosa, “borgo sospeso tra cielo e terra” ho confuso le case e la roccia, ho percorso le scalelle, ho letto i versi del poeta Gallicchio, ho apprezzato l’ombra dei fichi e il gusto delle more selvatiche. Per andare a Castelmezzano senza voler fare il volo dell’angelo (un percorso di quasi 1500 metri imbracati e appesi a un cavo d’acciaio alla velocità massima di 120 km/ora), ho preferito percorrere una strada solo parzialmente asfaltata, dove ho incontrato un contadino rinsecchito che mi ha fermato per chiedermi un passaggio di 500 metri. Durante i pochi minuti trascorsi insieme non ha mai smesso di lodare l’aria e l’acqua di queste parti, di dolersi di essere rimasto solo.
A Castelmezzano, che dal belvedere della piazza principale appare come una deliziosa quinta di case gialle e bianche incorniciate dentro un quadretto, ho trovato un gran caldo, nonostante l’altitudine. Ma il giro per le stradine assolate è stato premiato dal “Gran percorso della civiltà rurale”, una serie di cartelli che raccontano la storia del paese e dei suoi abitanti più famosi, briganti inclusi.
La tappa successiva mi ha portato in un altro universo, Metaponto, anzi Lido di Metaponto, frazione di Bernalda. Sono venuta qui per il mare, non per l’area archeologica, e infatti trovo una spiaggia lunga e bianca compresa tra la foce del Basento e quella del Bradano, al confine con la Puglia. Trovo una ininterrotta distesa di ombrelloni, lidi, bar, ristorantini e tavole calde, un comprensorio di seconde case e villette, per metà disabitate. Sul lungomare, di sera, incrocio il passeggio di famiglie modeste, di anziani, di bambini, che mangiando un gelato buttano l’occhio a terra, alle solite mercanzie contraffatte: borse, occhiali e cover per telefonini, bigiotteria e cappelli, orologi. Al centro del lungomare c’è la statua stilizzata di Alessidano, recordman dei Giochi olimpici di Delfi, che brilla nella luce del tramonto e ricorda un passato più glorioso. Poco distante osservo che in certi tratti di spiaggia libera gli ambulanti neri hanno lasciato incustodite le loro bancarelle su ruote, cariche di salvagente, canottini e giochi per la spiaggia. Sono solo ancorate con una fune alla ringhiera del lungomare, non sorvegliate, pronte per essere trascinate avanti e indietro sulla battigia, domani. In questa Rimini dei poveri, mi dico, almeno la microdelinquenza non esiste.
Per arrivare a Matera percorro la provinciale 175, ben tenuta e pressocché deserta come la Basentana, che attraversa un paesaggio di dune gialle, di cespugli, di campi coltivati e bellissime nuvole basse. Anche qui la presenza dell’uomo è molto discreta, tranne che per l’enorme facciata con le colonne doriche di un’opera incompiuta, con l’insegna enorme iscritta nel frontespizio, Atlantide. Forse sarebbe dovuto diventare un parco giochi, un albergo, tutt’e due, chissà.
Matera, che dire di Matera che non sia già stato detto? Un posto super turistico, ma ancora incredibilmente fascinoso, dove sia la vista d’insieme da uno dei tanti possibili belvedere che la faticosa passeggiata per vicoli e gradini riservano sempre una sorpresa, un’emozione, una curiosità. Da una parte l’ingegnoso sistema idrico che le è valso l’inserimento nel Patrimonio Unesco, l’abitato costruito sull’orrido della gravina, le decine di grotte scavate nella roccia che nascondono segreti, memorie di vita vissuta, echi di parole. Dall’altra i ricordi dei vecchi, quelli che hanno vissuto la legge speciale per il risanamento dell’area, del 1952, come un’ingiusta cacciata, i progetti dei giovani consapevoli dell’alto valore turistico della loro città e preoccupati di non perdere la grande occasione del 2019, quando Matera sarà Capitale della Cultura. In mezzo la vita di tutti i giorni, i turisti che affollano il Sasso Caveoso e il Sasso Barisano, i cittadini che riempiono le strade della città nuova, dense di vita, automobili, negozi. Una città-monumento, un insediamento umano abbandonato, riconquistato, ora parzialmente abitato, da gente gentile, misurata, a cui piace conversare, che non da la sensazione di voler sfruttare il turista. Matera, a dispetto del prevedibile, un posto dell’anima.
1. Continua