La (mancata) unità politica europea
Le patate e i migranti
Irlanda 1845: una imprevista malattia aggredisce il raccolto di un paese povero che però produceva ricchezza per tutta l'Europa. Tutta colpa dell'indifferenza alle difficoltà. Come oggi, insomma
Agli inizi di settembre 1845 l’Irlanda è colpita da un fenomeno non nuovo: la ruggine delle patate. Nessuna preoccupazione: il raccolto di agosto ha eccellenti risultati; inoltre la superficie coltivata è talmente estesa da indurre a pensare che anche il raccolto principale dell’anno – quello tra ottobre e novembre – sarà comunque sufficiente ai bisogni della popolazione.
Le cose andranno diversamente. Alla fine dell’anno un terzo del raccolto risulterà perduto; la ruggine – che inizialmente aveva aggredito la fascia occidentale del Paese, si sarà ormai uniformemente propagata anche alle aree orientali, dove l’agricoltura è più prospera. Sarà una sorpresa generale: perché i tuberi appena raccolti vengono immagazzinati entro fosse coperte, e del disastro ci si accorgerà soltanto quando queste saranno scoperchiate.
Qual è l’origine dell’epidemia? In quello stesso anno si erano già avuti segnali negli Stati Uniti, inizialmente lungo la fascia atlantica, e poi anche all’interno. Nell’estate aveva già raggiunto l’Europa: nelle Fiandre, nella Francia meridionale, in Irlanda, in Svizzera, nella Germania orientale … La causa deve essere ricercata in un microrganismo – Phytophthora infestans – contenuto secondo alcuni nel guano che gli agricoltori americani importano dal Perù (altri indicano nel Messico il centro di irradiazione del patogeno). Quale che sia l’origine, il commercio dei semi attraverso l’Atlantico agevola la penetrazione nel Vecchio Continente.
Per l’Irlanda è l’inizio di una tragedia epocale, universalmente nota come The Great Famine. Ancora oggi è impossibile comprendere come questo sia potuto accadere in un paese europeo a metà dell’Ottocento, se non si tiene conto del contesto specifico. Su otto milioni e mezzo di irlandesi, un milione e mezzo di lavoratori senza terra – e le loro famiglie – non hanno praticamente altro da mangiare se non patate. Perciò si guarda all’anno successivo con trepidazione. Nel frattempo una commissione scientifica presieduta dal professor John Lindley approda a conclusioni poco convincenti, e a raccomandazioni discutibili, come quella di aumentare la ventilazione dei tuberi, che risulterà del tutto inefficace. Altri suggeriscono la conversione delle colture dalla patata ai cereali, del tutto irrealistica nel breve periodo.
Il raccolto dell’estate 1846 risulta catastrofico: da 3 a quattro milioni di abitanti sono sotto la minaccia di morire di fame. Soltanto l’Inghilterra può mobilitare risorse adeguate per fare fronte al disastro … Ma per gran parte dell’opinione pubblica inglese gli irlandesi sono fatalisti, indolenti e soprattutto cattolici: e non pochi pensano che si tratti del castigo divino, al quale l’Inghilterra non potrà sottrarsi se persevererà nell’eccessiva tolleranza nei confronti degli odiati papisti.
Quanto alla risposta politica, essa è nei migliore dei casi debole e inefficace. L’Irlanda del 1845 è un paese seriamente vulnerabile, in cui un settore commerciale votato all’esportazione coesiste con una economia di sussistenza, risultato di uno sviluppo capitalistico senza limiti. Il primo ministro Robert Peel , di fronte alla gravità della situazione, adotta una strategia di cooperazione con la proprietà terriera, con l’obiettivo di coinvolgerla da un lato nel rinnovamento delle attività agricole, e dall’altro nel soccorso di coloro che non hanno di che sfamarsi. Si adottano restrizioni alle esportazioni di generi alimentari; sono posti a disposizione prestiti agevolati per realizzare infrastrutture e opere di bonifica da un lato, e dall’altro per creare nuovi posti di lavoro. Nelle intenzioni di Peel si tratta di misure temporanee, alle quali i proprietari debbono contribuire accollandosi parte dei costi: ad esempio, metà di quelli necessari all’apertura di nuove strade ecc. Allo stesso tempo è costituita quella che oggi si direbbe una “cabina di regia”: un Board of Works, sul quale finisce per gravare la responsabilità della maggior parte dei lavori, in quanto la proprietà terriera raramente accede ai prestiti e, se lo fa, si augura di non doverli mai ripagare.
Nell’agosto 1846 gran parte dei campi, un tempo lussureggianti, appare coperta da vegetazione putrescente. Allo stesso tempo commercianti e landowners si agitano contro le barriere all’esportazioni, sostenendo che queste aggraveranno la situazione, costituendo per l’avvenire un disincentivo alla coltivazione, in quanto il grano largamente importato per fare fronte all’emergenza alimentare ha un prezzo inferiore a quello destinato all’esportazione in Inghilterra.
Ancora la classe politica non ha dato il peggio di sé. A Peel, che comunque ha sollevato aspettative, succede un governo Whig guidato da Lord John Russell, al cui interno il potente gruppo di “moralisti” è capeggiato da Charles Wood e Lord Grey. Questi ritengono che l’Irlanda non sia un paese sovrapopolato; ma semplicemente sottosviluppato, al quale non fanno difetto i capitali, bensì la volontà di creare ricchezza. Che i senza terra si adoperino per cercare lavoro, e i proprietari si impegnino ad onorare i propri “doveri morali” e a soccorrere i disperati per mezzo dei cosiddetti relief works …
L’esito è prevedibile, aggravato dalla spirale crescente dei prezzi dei generi alimentari, e si registrano i primi decessi. Nella cittadina di Skibberen in County Cork la prima morte è segnalata in ottobre; a dicembre si contano a dozzine, e il locale comitato di soccorso si è dissolto, sopraffatto dalla tragedia montante. Le difese immunitarie si abbassano, e si diffondono l tifo e la febbre gialla, che fanno vittime non solo tra gli ammalati; ma anche tra il personale sanitario. Russell a questo punto cambia indirizzo. Occorre fare in modo che la gente sopravviva: alla politica dei lavori pubblici e al Board of Works viene improvvisamente sostituita quella delle soup kitchens, e poiché anche la più terribile delle tragedie ha i suoi lati paradossali, si cerca di licenziare tutti i lavoratori addetti ai cantieri promossi in precedenza prima ancora che le “mense dei poveri” entrino in funzione … Alla fine di giugno 1847 28.000 hanno perduto il lavoro, e per migliaia di irlandesi le soup kitchens arriveranno troppo tardi. Ma Charles Wood è convinto che sia giunto il tempo della “rigenerazione” irlandese attraverso il purgatorio della miseria e della fame. Secondo la prospettiva malthusiana, gli irlandesi sono troppi: soltanto una drastica riduzione del loro numero ed uno stretto controllo sociale sugli “altri” potrà creare i presupposti per lo sviluppo dell’agricoltura.
Il raccolto del 1847 è migliore delle aspettative, e qualcuno comincia a pensare che il peggio sia passato e di fatti il prodotto per acro risulta pari a poco più di 7 tonnellate, contro la tonnellata e mezza dell’anno precedente; ma la superficie coltivata è contemporaneamente scesa da due milioni a meno di mezzo milione di acri. Ciò nonostante, il governo inglese si convince che la situazione sia tornata alla normalità, e che – sotto la pressione dei risultati elettorali di quell’anno – occorra porre fine allo spreco del denaro dei contribuenti. Alle soup kitchens si sostituiscono gli ospizi di mendicità, progettati con lo scopo dichiarato di imporre “disciplina” ai poveri: evidente il timore di sommovimenti o insurrezioni. Nel giugno 1848 si contano circa 800.000 ospiti, dei quali solo due quinti sono occupati in qualche attività; quanto agli altri, le loro condizioni non sono meno dure.
L’ultima tappa in questa tristissima saga è rappresentata dal fenomeno degli “esodati” (evicted). A partire dall’estate del 1847 una nuova classe sociale è colpita dalla tragedia: quella dei medi e piccoli affittuari, che non sono più in grado di corrispondere l’abituale salario sotto forma di patate ai propri dipendenti, ed allo stesso tempo non hanno i mezzi pagare la rendita al landlord. Per avere una idea delle dimensioni di quest’ultimo fenomeno, tra il 1849 ed il 1854 circa 50.000 famiglie (un quarto di milione di abitanti) sono sfrattate permanentemente dalle loro case. Spesso i proprietari usano la violenza, che a sua volta genera violenza: cresce il numeri dei rapimenti e degli omicidi. L’aggravamento della miseria e l’inadeguatezza della risposta politica da parte del governo inglese concorrono ad alimentare il movimento nazionalista della Giovane Irlanda: la ribellione esplode nel luglio 1848 a Ballingarry, County Tipperary, dove una folla di contadini si è riuniti per ascoltare il leader confederato William Smith O’Brien dichiarare guerra, salvo disperdersi non appena è chiaro che non ci sarà distribuzione di cibo. Ciò nonostante, un centinaio di disperati malamente armati si scontra con la polizia; qualcuno riesce a sfuggire per unirsi a bande sulle colline circostanti; ma alla fine della giornata la rivolta è domata.
Nel complesso l’azione governativa si confermerà largamente inadeguata: tra il 1845 ed il 1850 il Tesoro inglese spenderà poco più di 8 milioni di sterline, metà dei quali sotto forma di prestiti all’Irlanda da rimborsare.
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Quale il prezzo complessivo della Irish famine? La carestia continuerà nel 1849 e nel 1850, lasciando dietro di sé conseguenze che si protrarranno per anni. Il censimento del 1851 registrerà 6 milioni di abitanti: 2.400.000 in meno del numero che ci si sarebbe atteso in condizioni normali. Di questi, 1.100.000 morti in conseguenza alla carestia: per lo più indigenti, ma anche – come ho detto – medici, sacerdoti e personale addetto ai soccorsi. E gli altri? Alla fine del 1847 ben 247.000 irlandesi sono emigrati in America o in Australia; decine di migliaia in Inghilterra. Nel 1848 si registra un vero e proprio esodo in massa. Si calcola che nel 1849 e nel 1850 il numero degli emigranti in America abbia superato le 200.000 unità annue, con un picco di un quarto di milione nel 1851. Solo in seguito queste cifre hanno iniziato lentamente a declinare. In totale circa un milione e trecentomila emigrati in poco più di 4 anni e per di più soltanto da un piccolo paese …
Un numero e una storia che dovrebbero fare riflettere, di fronte al modo in cui il fenomeno dell’immigrazione viene oggi trattato dai media, recepito dalla pubblica opinione e affrontato dalla politica. Per lo più opportunistici i primi (l’immagine dei barconi è pur sempre uno scoop), pregiudizievolmente spaventata la seconda e inadeguata la terza: oggi come allora.
Allora si trattò di un fenomeno epocale, e questa dimensione sfuggì del tutto ad una classe dirigente meschina. Certamente non inferiore – quanto a dimensioni – alle cosiddette invasioni barbariche (delle quali però i Romani seppero leggere la natura eccezionale …), all’Orda d’Oro e a tante altre. Non inferiore neppure ai movimenti migratori che riempiono ogni giorno i notiziari televisivi e le pagine della stampa: anche in questo caso siamo di fronte ad un processo epocale mal compreso.
Gli irlandesi, gli italiani, i polacchi, i russi, i tedeschi (anche loro!) che hanno cercato una nuova vita negli Stati Uniti, in Canada o in Australia non hanno compromesso lo sviluppo di questi paesi. Anzi … Non hanno sopraffatto i valori di una cultura preesistente. Caso mai l’hanno arricchita …
Peccato che gli europei dimentichino in fretta.