L’altro Singer /2
Israel Joshua, l’affabulatore
Seconda e ultima tappa nel territorio narrativo dello scrittore polacco. Dal libro d’esordio che contiene in nuce le sue tematiche principali, ai romanzi di ampio respiro, la sua “specialità”
«Secondo la mia modesta opinione, mio fratello Israel J. Singer è uno scrittore che pochi, nella narrativa contemporanea, possono eguagliare, e la sua forza nel costruire un romanzo è fonte di godimento e d’insegnamento per molti appassionati di letteratura». Così scrisse Isaac Bashevis Singer, premio Nobel per la letteratura nel 1978, a proposito del fratello più anziano, Israel Joshua, di cui in Italia si stanno riscoprendo le opere, scritte in yiddish. Dopo i libri pubblicati da Adelphi, di cui ci siamo occupati in un precedente articolo (https://www.succedeoggi.it/wordpress2015/07/laltro-singer/), bisogna segnalare i titoli stampati da Bollati Boringhieri che, dopo la riproposta di quello che è unanimemente considerato il suo capolavoro, I fratelli Ashkenazi, fa uscire altri due romanzi dell’autore polacco.
A oriente del giardino dell’Eden (pagine 480, euro 18,50) è, al pari dei Fratelli Ashkenazi e della Famiglia Karnowski, una saga familiare e, allo stesso tempo, uno straordinario documento sulla prima metà del cosiddetto “secolo breve”. Nel romanzo si narrano le vicissitudini di Mattes Ritter, soprannominato Mattes la lepre, singolare figura di venditore ambulante che commercia in cianfrusaglie recandosi a piedi presso le famiglie dei contadini dislocate nelle vicinanze di Pyask, un piccolo villaggio polacco, e dei suoi familiari, in particolare di suo figlio Nachmann che si infatua del verbo rivoluzionario comunista a causa del quale abbandona la religione ebraica ed è costretto a subire ogni sorta di angherie in patria, salvo ricredersi quando emigrerà in Russia dove subirà una sorte anche peggiore, tesa a mettere fine alle sue aspirazioni di uguaglianza sociale e di fraternità. Congegno narrativo perfetto, A oriente del giardino dell’Eden – ma perché non rendere il titolo, come presuppone la versione americana da cui è ricavata la traduzione, semplicemente A oriente dell’Eden? – rappresenta uno splendido spaccato sul retaggio ideologico novecentesco e, al contempo, sul tenore di vita delle comunità ebraiche prima dell’Olocausto. La vicenda, quanto mai toccante, riproduce la catabasi di una famiglia che si trova a lottare con ogni sorta di avversità e soprusi, spesso sconfinanti in condanne arbitrarie da parte delle autorità e nei pogrom, in cui la figura dell’ebreo diventa quella del capro espiatorio.
Ho l’impressione che La fuga di Benjamin Lerner (Bollati Boringhieri, pagine 256, euro 16,00) sia il meno riuscito dei romanzi di Singer, nonostante la dimensione corale ed epica lo accomuni alle altre narrazioni. La vicenda, ambientata nell’epoca della prima guerra mondiale, racconta le peripezie di Benjamin Lerner che, dopo essere diventato un disertore, viene dapprima assoldato come operaio in un campo di lavoro tedesco e successivamente si adopera, insieme all’amata cugina Gitta, per la fondazione di una comune agricola che dia un qualche sostentamento ai profughi delle comunità ebraiche. Lo stile di Singer è quanto mai semplice e piano, il suo lessico potrebbe essere quello di un bambino, anche se non c’è niente di naïf negli episodi raccontati che acquistano un valore esemplare di fronte ai fatti tragici della storia. Sembrano calzanti a tal proposito le parole di Claudio Magris: «A parte una dolente simpatia per gli sfruttati e per le vittime, Singer aspira a essere un cronista impassibile e quasi impersonale, che narra e ricrea da una distanza oggettiva vicende e avvenimenti: le incertezze della protesta sociale, la crudeltà della repressione, il caos della guerra, le delusioni della rivoluzione». Il libro si propone di avere un’aderenza ancora maggiore degli altri rispetto agli avvenimenti storici che si susseguivano all’epoca a ritmo incalzante (la grande guerra, la rivoluzione russa ecc.), anche se non riesce ad appassionare e commuovere come i romanzi più volte citati. Si sente maggiormente il lavoro compiuto a tavolino, a cominciare dall’uso frequente del turpiloquio, anomalo in uno scrittore del genere.
Bisogna inoltre avvertire che i romanzi I fratelli Ashkenazi, La famiglia Karnowski e Yoshe Kalb sono adesso disponibili anche in versione economica per l’editore Newton Compton mentre Perle e altri racconti (Passigli Editori, pagine 192, euro 14,50), libro d’esordio di Singer, pubblicato a Varsavia nel 1922, contiene in nuce quelle che saranno le tematiche principali dell’autore polacco. Già in questi quattro racconti le figure degli ebrei si impongono per il loro retaggio religioso, per la loro umanità variegata che costituisce una sorta di universo a sé stante. Ne è una conferma il racconto finale della raccolta, intitolato Lo straniero, in cui si descrive l’inettitudine di Raphael il mugnaio, «un ebreo muscoloso dalla barba nera sempre imbiancata di farina», che escogita un inutile stratagemma per sottrarsi alla spedizione punitiva architettata dai suoi compaesani al fine di rimediare al furto di due cavalli da lui stesso subito a opera di un malfattore. Dopo tale rifiuto Raphael e la moglie saranno costretti a vendere il mulino e i campi, «per vivere in città, tra gli ebrei».
Nonostante il contesto spesso drammatico che fa da sfondo alle sue storie, il senso dello humour in Singer è quanto mai presente e si palesa a più riprese. Ne è un esempio il racconto Sender Praguer in cui si descrive la capitolazione di uno scapolo impenitente a opera di un piccolo rabbino e Dottor Georgie che sembra già prefigurare quella sorta di dissidio generazionale che diventerà uno dei tratti salienti delle sue saghe familiari (si pensi, soprattutto, alla Famiglia Karnowski e ai Fratelli Ashkenazi). Perle è il racconto che dà il titolo alla raccolta e narra le vicissitudini di un anziano commerciante di perle che vive, nonostante i numerosi acciacchi, come una brutta copia di Mr. Scrooge, con l’unico scopo di sopravvivere ai suoi conoscenti e continuare ad arricchirsi. Ma l’impressione è che la misura più congeniale per Israel Joshua Singer fosse quella più articolata del romanzo di grande respiro in cui aveva l’opportunità di esprimere al meglio le sue doti di straordinario affabulatore, tanto che il fratello scriverà: «Sto ancora imparando da lui e dalla sua opera».